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Amministratore di fatto: la Cassazione sulla responsabilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26129/2024, ha definito le diverse responsabilità penali in un caso di bancarotta fraudolenta. La Corte ha confermato la condanna per l’amministratore di fatto, ritenendolo il vero gestore della società, ma ha annullato con rinvio quella dell’amministratore di diritto, un mero prestanome, per carenza di prova sul suo contributo causale e sul dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore di Fatto: Responsabilità Piena nella Bancarotta Fraudolenta

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, torna a delineare i confini della responsabilità penale nei reati fallimentari, distinguendo nettamente la posizione di chi gestisce effettivamente un’impresa da chi ne ricopre solo formalmente la carica. La figura dell’amministratore di fatto emerge ancora una volta come centrale: chi comanda realmente, risponde di tutto. Al contrario, per il cosiddetto ‘prestanome’, la condanna non può essere automatica, ma necessita di una prova rigorosa del suo contributo concreto e della sua intenzione colpevole.

Il caso in esame: due amministratori, un solo fallimento

Il caso riguarda il fallimento di una società a responsabilità limitata operante nel settore dell’ottica. Sul banco degli imputati finiscono due figure: la prima, considerata l’amministratore di fatto, ovvero colui che, senza una nomina ufficiale per l’intero periodo, ha di fatto gestito l’azienda dalla sua costituzione fino al fallimento. La seconda è un amministratore di diritto, rimasto in carica formalmente solo per un trimestre, agendo di fatto come un prestanome.

Entrambi vengono accusati di bancarotta fraudolenta documentale, per aver sottratto o comunque occultato le scritture contabili, e l’amministratore di fatto anche di bancarotta patrimoniale. Mentre i giudici di merito confermano la colpevolezza di entrambi, la questione approda in Cassazione con due ricorsi distinti che avranno esiti opposti.

La Posizione dell’Amministratore di Fatto: Responsabilità senza Sconti

Il ricorso dell’amministratore di fatto viene dichiarato inammissibile. La Suprema Corte ribadisce un principio consolidato: chi esercita in concreto i poteri gestionali di una società è equiparato in tutto e per tutto all’amministratore di diritto. Su di lui gravano tutti i doveri imposti dalla legge, inclusa la corretta tenuta delle scritture contabili.

Nel caso specifico, era emerso che quest’ultimo era l’unica persona a detenere le chiavi dei locali, a poter prelevare denaro dalla cassa e, in generale, a gestire gli affari. Pertanto, la sua responsabilità per la sparizione dei beni e dei documenti contabili è stata ritenuta una diretta conseguenza del suo ruolo di dominus effettivo, rendendo il suo ricorso generico e infondato.

Il Prestanome e la Prova del Dolo Specifico

Di tutt’altro avviso è la Corte riguardo la posizione dell’amministratore di diritto, il prestanome. Il suo ricorso viene accolto e la sentenza di condanna annullata con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello. La motivazione della condanna, secondo la Cassazione, è ‘apodittica e monca’.

I giudici di legittimità sottolineano due carenze fondamentali:
1. Mancanza di prova del contributo materiale: Non è stato provato con certezza che sia stato il prestanome a sottrarre materialmente il computer contenente la contabilità.
2. Mancanza di prova del dolo specifico: Per il reato di bancarotta documentale per sottrazione o occultamento non basta il dolo generico (la coscienza e volontà di non tenere i libri contabili), ma serve il dolo specifico, ossia la finalità di recare un pregiudizio ai creditori. Questa specifica intenzione non era stata adeguatamente dimostrata, limitandosi i giudici di merito a una presunzione di colpevolezza.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione su principi giuridici chiari. Per l’amministratore di fatto, il riferimento è all’art. 2639 del codice civile, che equipara chi esercita poteri direttivi a chi è formalmente investito della carica. Se una persona agisce come amministratore, ne assume tutti gli oneri e le responsabilità, anche penali. La sua condotta è valutata in base alla sostanza del potere esercitato, non alla forma dell’incarico.

Per il prestanome, invece, la Corte sottolinea che, pur potendo concorrere nel reato, la sua responsabilità non può essere presunta. La motivazione dei giudici di merito è stata giudicata gravemente carente perché non ha ricostruito la posizione del prestanome come extraneus che concorre nel reato proprio dell’amministratore. Mancava la dimostrazione di un suo contributo causale effettivo (aver materialmente sottratto i documenti) e, soprattutto, la prova del dolo specifico. Secondo la Corte, per integrare questa forma di bancarotta, la condotta deve essere finalizzata a procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o a recare pregiudizio ai creditori, e tale finalità deve essere provata con elementi di fatto ulteriori rispetto alla mera scomparsa dei libri contabili.

Le conclusioni

La sentenza traccia una linea netta: la giustizia penale societaria guarda alla sostanza, non all’apparenza. Chi gestisce un’azienda non può nascondersi dietro la mancanza di una nomina formale e risponderà pienamente degli illeciti commessi. D’altra parte, chi accetta di fare da ‘testa di legno’ non può essere condannato automaticamente per il solo fatto di ricoprire una carica. L’accusa ha l’onere di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, il suo concreto e consapevole contributo alla commissione del reato, specialmente per quelle fattispecie che, come la bancarotta documentale per sottrazione, richiedono un’intenzione specifica di danneggiare i creditori.

L’amministratore di fatto di una società fallita risponde dei reati di bancarotta come l’amministratore di diritto?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che l’amministratore di fatto è gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto e, di conseguenza, assume la piena responsabilità penale per i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili.

Per condannare un amministratore ‘prestanome’ per bancarotta documentale è sufficiente che le scritture contabili siano scomparse durante il suo mandato?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, l’accusa deve fornire una prova concreta del contributo causale del prestanome alla sottrazione o all’occultamento dei documenti e, soprattutto, deve dimostrare la sussistenza del dolo specifico, cioè l’intenzione di recare pregiudizio ai creditori.

Cosa si intende per ‘dolo specifico’ nel reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione?
Si intende la finalità specifica di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto oppure di recare pregiudizio ai creditori. La Corte chiarisce che tale elemento psicologico deve essere desunto da circostanze di fatto ulteriori e non può coincidere con la semplice scomparsa o omessa tenuta dei libri contabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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