Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26091 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26091 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Bagno a Ripoli il 02/03/1982 COGNOME NOMECOGNOME nato a Biella il 25/09/1968 avverso la sentenza del 28/11/2023 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; Il difensore di COGNOME ha depositato conclusioni scritte con cui insiste nell’annullamento della sentenza con ogni conseguente provvedimento ritenuto opportuno ed in ogni caso ritenuti prescritti i reati di cui ai capi A e B.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze con la quale gli imputati erano stati condannati, alle pene di giustizia, in relazione ai reati di cui agli artt. 110 cod.pen., 8 d.lg marzo 2000, n. 74 (capi A e B) in relazione all’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte di CMT, e di cui agli artt. 81 comma 2, 110 cod,pen., 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo e) in relazione all’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti emesse da RAGIONE_SOCIALE nella dichiarazione fiscale di RAGIONE_SOCIALE negli anni di imposta 2015 e 2016.
Avverso la sentenza hanno presentato separati ricorsi gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, e ne hanno chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Il ricorso nell’interesse di COGNOME NOME è affidato a due motivi di ricorso.
2.1.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 110 cod.pen. e art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, capi A) e B) in relazione alla configurazione del concorso del Morandi nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla CTM.
Sotto un primo profilo sussisterebbe la denunciata violazione di legge non essendo ravvisabile la qualifica di coamministratore di fatto della CTM in capo al ricorrente, come indicato nei capi A e B dell’imputazione. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la qualifica di amministratore di fatto del ricorrente senza confrontarsi con i pacifici e unanimi principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di amministratore di fatto secondo cui tale è il soggetto che in modo continuativo e significativo esercita i poteri tipici inerenti alla qualifica alla funzione di amministratore di diritto. Ebbene, nel caso di specie, il quadro probatorio non consentirebbe di attribuire la qualifica di amministratore di fatto in capo al ricorrente. La Corte territoriale avrebbe fondato la dimostrazione della qualifica di amministratori di fatto sulla scorta della circostanza del rinvenimento delle fatture presso la RAGIONE_SOCIALE, di cui l’odierno ricorrente è legale rappresentante, nonché di numerose mail, una delle quali asseritamente inviata dal COGNOME, legale rappresentante di CTM, che non costituirebbe alcuna prova dell’esercizio del potere gestorio del RAGIONE_SOCIALE con riguardo alla società RAGIONE_SOCIALE. In secondo luogo, vi sarebbe assoluta carenza di elementi per ritenere sussistente il concorso da parte del RAGIONE_SOCIALE nella emissione delle fatture in questione. Anche in relazione a questo profilo di censura non sarebbe sufficiente per configurare il concorso nel reato la circostanza del rinvenimento delle fatture presso la sede della società del ricorrente e delle numerose mail intrattenute con il COGNOME e ciò a fronte delle dichiarazioni rese dal teste sig. COGNOME Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 110 cod.pen. e art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, capo e).
Si tratta della medesima censura svolta nel primo motivo, ma riguardante la contestazione di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla CTM. Anche in questo caso, argomenta il ricorrente l’assenza di elementi per ravvisare in capo al RAGIONE_SOCIALE la qualifica di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE alla luce dei principi giurisprudenziali di cui primo motivo. Ed invero il ruolo svolto dall’imputato era limitato, secondo il contratto di consulenza direzionale, nel dare consigli e suggerimenti in ambiti specifici di sua competenza, così per coadiuvare l’attività del legale rappresentante della società. Sul punto, peraltro, le dichiarazioni del COGNOME indicavano nel Vezzù
colui che gestiva la società. Né i testi COGNOME e COGNOME avrebbero indicato il COGNOME quale amministratore di fatto. Allo stesso modo, non vi sarebbero elementi per ritenere il concorso nel reato di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, non essendo condivisibile il ragionamento della corte territoriale che aveva fondato la prova sulle dichiarazioni testimoniali di COGNOME, COGNOME e del teste di COGNOME e del contenuto di varie e-mail. L’istruttoria dibattimentale avrebbe reso un quadro probatorio secondo cui le decisioni sulla gestione della RAGIONE_SOCIALE erano prese in totale autonomia dal Vezzù, non essendo mai entrato nelle scelte decisionali della società, il COGNOME. Né sarebbe ravvisabile la prova del contributo concreto seriale, ripetitivo del professionista che, secondo la giurisprudenza di legittimità costituisce il concorso nel reato di cui all’art. 2 cit., sicché non potrebbe dir raggiunta la prova al di là di ragionevole dubbio della partecipazione del COGNOME nel delitto de quo.
2.2. Il ricorso nell’interesse di COGNOME NOME è affidato a tre motivi di ricorso
2.2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all’elemento oggettivo e soggettivo dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi A e B. La motivazione della Corte territoriale sarebbe carente contraddittoria illogica. Contesta il ricorrente la ricostruzione operata da giudici del merito che muove principalmente dalle dichiarazioni del signor COGNOME che troverebbero riscontro, secondo il giudicante, in altre prove. Sarebbe vero invece l’esatto contrario: quanto dichiarato dal signor COGNOME non troverebbe alcun riscontro in nessun documento e nemmeno nella corposa corrispondenza tra il medesimo e l’imputato. Non sarebbe configurabile in capo al COGNOME la qualifica di amministratore di fatto, e la circostanza che il COGNOME abbia ammesso di non avere mai emesso alcuna fattura sarebbe stata inspiegabilmente considerata dalla Corte territoriale come un argomento a sostegno dell’esistenza di un accordo fraudolento tra i diversi soggetti. Al contrario, la Corte territoriale avrebbe valuta positivamente affermazioni diffamatori e prive di ogni riscontro rese dal titolare di un’azienda animato da un forte astio nei confronti del signor COGNOME. Ciò che emerge dalla deposizione del signor COGNOME sarebbe un quadro assolutamente impreciso, contraddittorio e inattendibile avendo offerto una fantasiosa versione dei fatti che lo vedrebbe come ignaro vittima di occulte trame ordite alle sue spalle; in realtà, a ben vedere, tali affermazioni non potrebbero in alcun modo essere ritenute credibile dal momento che egli era il titolare della CMT, quindi, non poteva sapere che le fatture erano emesse per lavori mai effettuati. Il percorso logico argomentativo operato dai giudici del merito sarebbe censurabile nella misura in cui avrebbero ricostruito, i giudici del merito, le dinamiche dei fatti sulla base mere supposizioni e in realtà gli accadimenti potrebbero essere parimenti ricostruiti offrendo un’alternativa versione degli stessi; si pensi ad esempio alla
circostanza di aver rinvenuto in sede di perquisizione le fatture della CMT unicamente nell’ufficio del consulente COGNOME. Allo stesso modo a sostegno di una non effettiva operatività della CTM il giudice territoriale avrebbe valorizzato le dichiarazioni del COGNOME che, per le ragioni già esposte, sarebbero del tutto inattendibili; allo stesso modo sarebbe tautologica e apodittica la motivazione in punto elemento soggettivo del delitto in esame, il COGNOME, in particolare, quale soggetto del tutto estraneo alla compagine aziendale che ha emesso le fatture contestate risulterebbe coinvolto in dette dinamiche solo in ragione del fatto che le richieste economiche avanzate dalla CMT di NOME COGNOME per lavori svolti regolarmente pagati, venivano necessariamente inoltrate alla società del Vezzù quale appaltatrice della CMT. In conclusione, sarebbe assolutamente destituita di ogni fondamento la ricostruzione avallata dal giudice dell’impugnazione che vedrebbe il ricorrente come amministratore di fatto della CMT di NOME COGNOME in concorso col COGNOME, con conseguente estraneità dello stesso al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
2.2.2. Col secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all’elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui al capo e). La motivazione del giudice d’appello sarebbe carente, contraddittoria e illogica in relazione al ruolo svolto dall’imputato che effettivamente ricopriva un ruolo di primo piano in qualità di institore di RAGIONE_SOCIALE, ma limitato al disbrigo di pratiche amministrative o contabili e in quanto tale non svolgeva alcun potere gestorio della società. Anche in questo caso il difensore contesta la ricostruzione offerta dall’accusa e confermata nella sentenza impugnata in punto di potere decisionale del ricorrente da cui scaturisce l’affermazione di responsabilità per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. In conclusione, il suo ruolo di institore non sarebbe sufficiente per fargli assumere ancora una volta il ruolo di amministratore di fatto. Sul punto la motivazione della Corte territorial sarebbe illogica e altresì illogico sarebbe l’affermazione secondo cui “il dolo specifico di evasione appare riscontrato alla luce dell’ammontare rilevante delle fatture emesse e delle conseguenti imposte evase a favore della società gestita dall’imputato”. Infine, il giudice avrebbe ritenuto che al caso in esame non si applichi l’art. 9 del d.Lvo 74 del 2000.
2.2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione alla estinzione dei reati per prescrizione.
Il difensore di COGNOME NOME ha depositato memoria di replica con cui ha insistito nell’accoglimento del ricorso in quanto non può dirsi raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio né in ordine alla asserita qualifica di amministratore di fatto in capo al sig. COGNOME né della RAGIONE_SOCIALE, né de RAGIONE_SOCIALE, né tantomeno può dirsi raggiunta la prova in ordine ad un qualsivoglia contributo causale in capo
all’odierno ricorrente nella emissione di fatture asseritamente false e nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante emissione di fatture false oggetto di contestazione; e in subordine ha eccepito la prescrizione di tutti i reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché i motivi sono manifestamente infondati.
Occorre premettere che risultano pronunziate nei confronti dei ricorrenti due sentenze conformi, per cui opera in questa sede il principio per cui «le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (cfr. Sez. 3, n.13926 del 01/12/2011 Rv.252615 COGNOME; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 Argentieri), come risulta chiaro dal tenore dei motivi di ricorso di COGNOME e il primo motivo di COGNOME che censurano l’attribuzione del ruolo di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, mentre il secondo motivo di ricorso di COGNOME risulta inammissibile perché diretto a richiedere una diversa e alternativa ricostruzione dei fatti.
Il terzo motivo di ricorso di COGNOME che eccepisce la prescrizione dei reati, nonché l’analoga richiesta formulata nelle conclusioni scritte di COGNOME risulta manifestamente infondato.
Stante la pregiudizialità dell’eccezione di prescrizione, deve rammentarsi che il termine di prescrizione del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti inizia a decorrere, per l’unitarietà del reato previsto dall’art. 8, comma secondo, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non dalla data di commissione di ciascun episodio, ma dall’ultimo di essi, nel caso di rilascio di una pluralità di fatture nel medesimo periodo di imposta (Sez. 3, n. 47459 del 05/07/2018, Melpignano, Rv. 274865-01; Sez. 3, n. 10558 del 06/02/2013, COGNOME, Rv. 254759-01; Sez. 3, n. 6264 del 14/01/2010, COGNOME, Rv 246193-01).
Quanto al capo A – art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 – tenuto conto che il reato risulta consumato alla data dell’ultima fattura il 31/12/2014 e dei termini di prescrizione di cui agli artt. 157-161 cod.pen. e art. 17 comma 1 bis d.lgs n. 74 del 2000, e del periodo di sospensione del corso della prescrizione pari a giorni 172 per Vezzù e a giorni 137 per COGNOME, la prescrizione non è ad oggi maturata (il 17/09/2025 è il termine di prescrizione piu breve per COGNOME).
Quanto al capo B) – art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 – tenuto conto che il
reato risulta consumato alla data dell’ultima fattura il 29/05/2015 e dei termini di prescrizione di cui agli artt. 157-161 cod.pen. e art. 17 comma 1 bis d.lgs n. 74 del 2000, e del periodo di sospensione del corso della prescrizione pari a giorni 172 per Vezzù e per giorni 137 per COGNOME, la prescrizione non è ad oggi maturata (il 09/10/2025 è il termine più breve per COGNOME).
Quanto al capo E – art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 – dichiarazioni relative agli anni 2015 e 2016, i reati non sono parimenti prescritti alla data della decisione.
Passando all’esame, congiunto, dei motivi di ricorso di COGNOME con i quali si censura l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto di CTM (coamministratore), ma le considerazioni valgono anche per la posizione di COGNOME, sono inammissibili perché manifestamente infondate alla luce deiprincipi espressi dalla giurisprudenza di legittimità ai fini dell’attribuzione della qualifica amministratore “di fatto” in capo all’imputato.
Il ricorrente argomenta che il giudice territoriale non avrebbe motivato per delineare la figura dell’amministratore di fatto secondo i criteri stabiliti dall’ 2639, cod. civ. e non avrebbe individuato la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, come reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 – 01; Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, COGNOME, Rv. 264009-01, in relazione ai reati tributari, e Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 246534-01).
La questione, già sollevata in primo grado e da quei giudici disattesa con motivazione congrua, appare manifestamente infondata sotto un duplice profilo.
Secondo quanto accertato nelle conformi sentenze di merito, ben delineato a pag. 12 e 13 dal Tribunale, sulla scorta delle dichiarazioni del COGNOME, legale rappresentante della CTM, società inattiva, e delle acquisizioni documentali, era emerso che la CTM era una mera cartiera, priva di dipendenti e che non aveva svolto i lavori indicati nelle fatture; proprio il COGNOME aveva riferito che av accettato di buon grado di usare la sua società RAGIONE_SOCIALE per emettere le fatture che erano materialmente emesse da COGNOME, a cui aveva affidato la tenuta della contabilità, e con il quale aveva concordato anche il prezzo di emissione, avendo pattuito C 1.000,00 mensili che il Morandi doveva corrispondere (cfr. pag. 5 sentenza del Tribunale).
Le acquisizioni documentali, secondo la sentenza impugnata, confermano la bontà delle dichiarazioni rese dal COGNOME in quanto presso l’abitazione del COGNOME e presso lo studio della società RAGIONE_SOCIALE di cui il COGNOME era presidente, venivano rinvenuti, oltre a numerosi contratti di consulenza e mail, due raccoglitori con la dicitura fatture CTM 2013- 14, CTM 2015, contenenti
entrambe le fatture emesse dalla CTM nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 8 sentenza corte d’appello). L’unica copia originale delle fatture era stata rinvenuta presso lo studio del INDIRIZZO ove collaborava il Vezzù il quale aveva una postazione di lavoro.
9. Quanto alla posizione del COGNOME, soggetto che aveva utilizzato le fatture per operazioni inesistenti nelle dichiarazioni fiscali della società RAGIONE_SOCIALE ( capo E) e che dunque era il diritto interessato all’emissione, rileva, ai fini del concorso nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, la circostanza che non solo egli collaborava con il COGNOME nello studio di consulenza, ma era indicato “per conoscenza” in tutte le mail del carteggio tra il COGNOME e il COGNOME che concernevano l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, elementi che, secondo i giudici del merito erano indicativi del concorso del Vezzù e del Morandi nell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, essendo costoro gli ideatori dell’intera operazione (cfr. pag. 13).
Ed allora, rileva anche un secondo profilo di manifesta infondatezza delle censure in quanto i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità pe l’individuazione della figura dell’amministratore di fatto sono stati elaborati nell’ambito di società e imprese che operano nel contesto economico; criteri che non appaiono trasferibili ed applicabili in un contesto nel quale la società è la mera veste attraverso cui si pongono in essere condotte di reato. La società in tali casi assume il ruolo di “schermo” per l’autore materiale del reato, fenomeno tipico delle società c.d. cartiera. Si tratta, come è noto, di società priva di una reale autonomia e costituita per essere utilizzata come “cartiera” in un meccanismo fiscalmente fraudolento volto ad evadere le imposte.
In tali casi, la dimostrazione della figura dell’amministratore di fatto si traduce in quella del ruolo di ideatore ed organizzatore del suddetto sistema fraudolento, atteso che non è ipotizzabile l’accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all’interno di un ente solo formalmente operante (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 279829 – 02; Sez. 5, n. 32398 del 16/03/2018, COGNOME, Rv, 273821).
Consegue l’inammissibilità del ricorso di COGNOME NOME per manifesta infondatezza di entrambi i motivi di ricorso e l’inammissibilità per manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso di RAGIONE_SOCIALE.
10. Il secondo motivo di ricorso del COGNOME che contesta l’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti emesse da CTM, nelle dichiarazioni fiscali per gli anni di imposta 2014 e 2015, è inammissibile perché versato in fatto e diretto a richiedere una diversa ricostruzione del fatto e segnatamente delle dichiarazioni rese dai testimoni senza effettivo e critico confronto con la decisione impugnata. Proprio sulla scorta delle dichiarazioni
testimoniali, di cui il ricorrente contesta la valenza attribuita dai giudici territor risulta che il COGNOME non solo ricopriva, in seno alla società RAGIONE_SOCIALE, utilizzatrice delle fatture emesse da CTM, la figura dell’institore che, a mente dell’art. 2203 cod. civ., è colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa, ma effettivamente esercitava il potere institorio gestendo la società come dimostrato dalle mail in atti.
11. Infine, rammenta il Collegio che l’art. 9 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contenente una deroga alla regola generale fissata dall’art. 110 cod. pen. in tema di concorso di persone nel reato, esclude la rilevanza penale del concorso dell’utilizzatore nelle condotte del diverso soggetto emittente, ma non trova applicazione quando la medesima persona procede in proprio sia all’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione (Sez. 3, n. 19247 del 08/03/2012, De COGNOME, Rv. 252545 – 01; Sez. 5, n. 36859 del 16/01/2013, COGNOME, Rv. 258038 – 01; Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012, COGNOME, Rv. 255396 – 01 in cui si è espressamente chiarito che il regime derogatorio previsto dall’art. 9 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non trova applicazione quando l’amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti coincida con il legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate).
Ancora più recentemente si è affermato che la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall’art. 9 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non si applica al soggetto che cumuli in sé la qualità di emittente e quella di amministratore della società utilizzatrice delle medesime fatture per operazioni inesistenti (Sez. 3, n. 34021 del 29/10/2020, COGNOME, Rv. 280370 – 01).
Attesa la materiale effettuazione della condotta di emissione e di utilizzazione, e diversità dei due soggetti giuridici (emittente RAGIONE_SOCIALE e utilizzatore RAGIONE_SOCIALE) non trova, dunque, applicazione la deroga prevista dall’art. 9, che mira ad impedire che il potenziale utilizzatore di documenti o fatture emesse per operazioni inesistenti può concorrere, ove ne sussistono i presupposti, con l’emittente, secondo l’ordinaria disciplina dettata dall’art. 110 cod. pen., non essendo applicabile in tal caso il regime derogatorio previsto dall’art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Sez. 3, n. 41124 del 22/05/2019, COGNOME, Rv. 277978 – 01; in motivazione, la Corte ha osservato che la norma appena richiamata mira ad evitare che la sola utilizzazione, da parte del destinatario, delle fatture per operazioni inesistenti possa integrare anche il concorso nella emissione delle stesse così come, all’inverso, il solo fatto dell’emissione possa integrare il concorso nella utilizzazione, da parte del destinatario che abbia ad indicarle in dichiarazione, delle medesime, determinandosi, altrimenti, la sottoposizione per due volte a sanzione penale dello stesso soggetto per lo stesso fatto, che, invece, non può verificarsi allorquando il destinatario delle fatture non ne abbia fatto utilizzazione).
12. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna
i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 15/04/2025