Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 129 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 129 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GRAVEDONA ED UNITI il 20/04/1976
avverso la sentenza del 29/04/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il difensore COGNOME del foro di COMO insiste per raccoglimento del ricorso con la migliore formula assolutoria.
Il difensore COGNOME NOME del foro di COMO si riporta integralmente ai motivi del ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con la sentenza impugnata, emessa in data 29 aprile 2024, la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano di condanna di COGNOME NOME alla pena di anni due di reclusione, oltre pene
accessorie e risarcimento del danno, perché ritenuta responsabile dei reati di cui agli att. 110,223, comma 1, in rel. all’art. 216, comma 1, e 224 legge fall. commessi nella qualità di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE , fallit il 16/10/2017, in concorso con COGNOME NOME, amministratore di diritto della medesima società. Nei confronti di COGNOME NOME veniva accolta la richiesta di concordato, previo riconoscimento del vincolo della continuazione rispetto ad altri reati precedentemente giudicati.
La sentenza impugnata ha ricostruito i rapporti intercorsi tra la società dichiarata fallita (attiva fin dal 1971 per l’esercizio del commercio al dettaglio d combustibili, fondata dal padre dell’imputata ed amministrata dal fratello) e la società RAGIONE_SOCIALE costituita nell’anno 2008 e gestita dalla medesima imputata, mettendo in evidenza che: la società fallita aveva accumulato un consistente debito tributario, per effetto di cartelle esattoriali non pagate fin da 2004, stimato nel 2017 in un importo superiore a due milioni di euro; nell’anno 2012, la stessa società era stata destinataria di decreti ingiuntivi ed aveva subito, nel 2014, una conseguente procedura esecutiva immobiliare che aveva innescato la richiesta di fallimento; precedentemente, in data 04/06/2010 era stato sottoscritto un contratto di locazione tra la società fallita e la società RAGIONE_SOCIALE amministrata dalla ricorrente per l’uso di un immobile, ad un canone annuo complessivo pari ad euro 18.000,00 ritenuto “inadeguato” dal curatore, considerato il valore reale dell’intero complesso ed i costi, anche tributari, ad esso correlati; la medesima società fallita aveva, altresì, venduto alla suddetta società RAGIONE_SOCIALE, tra il novembre 2011 ed il gennaio 2014, due veicoli ed una cisterna, per un importo pari ad euro 75.000,00, il cui pagamento era stato successivamente regolato attraverso “artifici contabiili”; infine, la società RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato il personale della società fallita, pagando gli stipendi dei dipendenti, ma non i relativi oneri contributivi ch erano rimasti in capo alla medesima società fallita. L’imputata è stata ritenuta coinvolta nelle superiori condotte, considerate distrattive, dato il carattere familiare della società fallita ed il ruolo della medesima nella creazione e gestione della società RAGIONE_SOCIALE, risultata essere destinataria degli effetti di svuotamento del patrimonio della società fallita. È stato, altresì, considerato che: la medesima aveva tenuto la contabilità aziendale della società fallita e c durante una verifica fiscale nei confronti di quest’ultima società, aveva fornito ogni informazione; l’imputata quale titolare della neocostituita società RAGIONE_SOCIALE , ricevendo l’intero compendio aziendale di RAGIONE_SOCIALE aveva preso parte ad una strategia di fraudolenta spoliazione della fallita; la medesima aveva retribuito i lavoratori che lavoravano per la sua società, lasciando in capo alla società RAGIONE_SOCIALE il relativo carico contributivo e fiscale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputata per mezzo del suo difensore.
2.1. Deduce, con primo motivo, vizio di violazione di legge, in particolare degli artt. 216 e 223 legge fall. e 2639 cod.civ., nonché vizio di motivazione anche in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc.pen.
La Corte di appello aveva ritenuto la violazione dell’art. 2639 cod.civ. e l’assunzione di un ruolo di amministratore di fatto da parte della ricorrente, valutando in modo erroneo le fonti probatorie in quanto: l’imputata si era occupata della contabilità della società fallita solo in virtù di un rapporto di lav dipendente, quale impiegata contabile e, per la medesima ragione, la stessa si era occupata dei rapporti con i finanzieri che avevano eseguito la verifica fiscale nei confronti della società fallita; era irrilevante il fatto che la medesima fosse stata amministratore di diritto della società RAGIONE_SOCIALE ed era irrilevante, e comunque non dimostrata, la circostanza indicata nella sentenza impugnata in ordine al presunto coinvolgimento di quest’ultima società in un supposto giro di fatture per operazioni inesistenti. Per contro la sentenza impugnata non aveva considerato altri elementi di segno contrario ( come la circostanza che il contratto di locazione dell’immobile aziendale fosse stato sottoscritto dal solo NOME COGNOME e non dalla ricorrente) da cui inferire la mancanza di un ruolo effet gestionale nell’amministrazione della società fallita.
2.2. Con secondo motivo deduce vizio di violazione di legge, in particolare degli artt. 216, comma 1, n.1, e 223 legge fall., nonché vizio di motivazione anche in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc.pen.
Le condotte distrattive in relazione alle quali è intervenuta condanna penale sono state compiute nel triennio 2009-2011, quando la società RAGIONE_SOCIALE era gestita dal solo NOME COGNOME. Non si sarebbe considerato che: la metà del sedime sul quale operava la società fallita era stato locato, due anni prima, ad altra ditta ( di NOME COGNOME) che aveva continuato a pagare i canoni fino a tutto il 2013; l’assunto accusatorio, relativo alla non congruità del canone di locazione dell’altra metà del compendio immobiliare concesso in locazione alla TRE PIEVI, era stato, pertanto, sconfessato dovendosi sommare al canone di locazione di euro 18.000,000 quello di pari importo relativo alla parte concessa in locazione al suddetto NOME COGNOME; quanto al prezzo pattuito per la cessione dei beni aziendali, pari ad euro 75.000,00, la Corte di appello ( pur ritenendolo congruo) aveva svi gli elementi a favore, ritenendo concretizzato il pagamento in virtù di art contabili, collegati all’utilizzo del personale della società RAGIONE_SOCIALE da par società RAGIONE_SOCIALE; in realtà non vi era stato un trasferimento simulato, la stipula di negozi autonomi e a corrispettivi congrui; non era stato effettuato
alcun approfondimento istruttorio riguardo al tema dell’avviamento ( ancorchè ritenuto dalla Corte di appello, a pag. 31 della sentenza impugnata).
2.3.Con terzo motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 217 e 224 legge fall. e vizio di motivazione. Deduce l’illogicità dell motivazione della sentenza per avere ritenuto che dal mantenimento in vita della società sarebbe derivato un aggravamento del dissesto della medesima pur in mancanza di approfondimento, non essendo stata dimostrata l’ingravescenza del passivo nella sua dimensione numerica, tanto più considerato che la società fallita aveva mantenuto il proprio capitale sociale ed il proprio patrimonio netto positivo. Vi è stato un travisamento in quanto la società non ha perduto il proprio capitale sociale.
2.4.Con quarto motivo deduce vizio di violazione di legge penale in relazione all’art. 62 n. 6) cod. pen. in relazione alla ritenuta inidoneità dell intervenuta transazione con la curatela fallimentare a giustificare la concessione dell’invocata attenuante.
3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. I difensori della ricorrente hanno insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo è infondato. La difesa contesta genericamente l’attribuzione all’imputata del ruolo di amministratore di fatto senza considerare che la sentenza impugnata risulta avere fatto buon governo dell’insegnamento di questa Corte secondo cui: ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto”, è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534); la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, senza che la significatività e continuit comportino necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, richiedendo soltanto l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017,
Rv. 271754 – 01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Rv. 232456); il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore “di fatto” di un società è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto” (Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Rv. 250094; Sez. 5, n. 7203 del 9 11/01/2008, Rv. 239040)
È stato, in particolare, altresì, affermato che «nel caso di una società deprivata di una reale autonomia, per essere avviata al fallimento, la prova della posizione di amministratore di fatto non può desumersi da elementi sintomatici di un inserimento organico all’interno dell’ente solo formalmente operante, ma può evincersi dal compimento anche di una singola operazione distrattíva, quando questa sia ideata per attuare il predetto disegno fraudolento di dismissione della fallita (Sez. 5, n. 30197 del 01/06/2021,Rv. 281867)» (Sez. 5, n. 7824 del 30/11/2022,dep.2023, Rv. 284223 – 01).
1.1.AI lume di tali principi, la doglianza difensiva appare aspecifica, GLYPH in quanto priva della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849), non essendo stato messo a fuoco il nucleo essenziale del ragionamento operato. La sentenza impugnata ha ricostruito i passaggi che hanno determinato un sostanzialmente svuotamento della società RAGIONE_SOCIALE in quanto destinata al fallimento anche per via dell’irreversibile crisi di liquidità nella quale si era trovata a causa principalmente dell’accumulo di debiti tributari risalente all’anno 2004 divenuto, via via, incontrollabile- in favore dell società RAGIONE_SOCIALE riconducibile alla ricorrente e sostanzialmente speculare alla società fallita in quanto operante nel medesimo settore, avendo una ragione sociale sovrapponibile a quella della società fallita. Ha, inoltre, considerato che la società RAGIONE_SOCIALE è stata destinataria della cessione dell’immobile e dei beni strumentali della società fallita, mantenuta in vita per avviare e consolidare la prima attraverso lo spostamento progressivo di beni verso di essa, con l’effetto di attuare un sostanziale trasferimento di azienda alla nuova società, al di fuori di atti formali che avrebbero potuto rimanere esposti al rischio di azioni revocatorie: particolare rilievo, in tale ottica, è stato attribuito all’utilizzo del personale d società fallita, da parte della società RAGIONE_SOCIALE pur con mantenimento della titolarità formale del rapporto di lavoro e dei relativi oneri contributivi in capo al prima. Le doglianze espresse, a fronte della puntuale ricostruzione fornita da sentenza impugnata in ordine al sostanziale svuotamento della società fallita favore della società riconducibile alla ricorrente, oltre che la sottolineatu carattere sostanzialmente familiare sotteso ad entrambe le società, rende del tu
irrilevanti le circostanze dedotte dalla difesa ricorrente, in quanto inidonee ad incidere sulla logicità della motivazione resa dalla Corte territoriale.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Le censure, oltre che reiterative di analoghe doglianze espresse attraverso i motivi di appello, si risolvono nella generica richiesta di una reinterpretazione del quadro probatorio, che potrebbe, a tutto voler concedere, concretizzarsi in un riesame del merito del provvedimento impugnato, precluso in sede di legittimità, essendo il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità circoscritto al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, senza possibilità alcuna di risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o in un’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti ( Sez. 5, n. 23757 del 05/06/2006, Rv. 234492 – 01; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 – 01). La sentenza di appello, confermando l’iter logico motivazionale seguito dai primi Giudici, ha fatto buon governo dell’insegnamento di questa Corte secondo cui deve ritenersi sussistente il reato di cui all’art. 223, comma 1, I.fall. quando siano realizzati atti di disposizione dei beni societari caratterizzati, secondo una valutazione “ex ante”, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata (Sez. 5, n. 33306 del 23/05/2016, Cosci, Rv. 268023) in quanto ha ritenuto che la locazione del capannone di Dongo (nel quale risultavano collocati importanti beni strumentali quali cisterne, pompe di carico, serbatoi, necessari all’esercizio dell’attività di impresa) a un canone annuo manifestamente inadeguato e la vendita fittizia di beni strumentali in favore di RAGIONE_SOCIALE,siano state operazioni volte a sottrarre i beni aziendali alla garanzia dei creditori ed a far sì che l’attività continuasse con la nuova società RAGIONE_SOCIALE In ordine, poi, alla prospettata adeguatezza del complessivo canone di locazione riferito al compendio aziendale nel suo complesso- avuto riguardo al contestuale canone di locazione concordato dalla società fallita con il COGNOME, così da fare ascendere il corrispettivo complessivo realizzato dalla cedente all’importo di euro 36.000,00- la doglianza non si confronta con la motivazione conforme spesa sul punto dalle due sentenze, secondo cui è improprio collegare l’adeguatezza del canone di locazione degli immobili anche all’altro contratto di locazione ( stipulato, peraltro, per una porzione più ridotta di mq 360 e comunque in essere solo fino al 2013) in quanto il contratto di locazione ha, piuttosto, costituito il principale strumento attraverso il quale si è realizzata una sostanziale cessione dell’intera attività aziendale, essendosi evidenziato come la società di nuova costituzione RAGIONE_SOCIALE sia passata, nel breve volgere di tempo, da zero a oltre due milioni Corte di Cassazione – copia non ufficiale
e mezzo di ricavi lordi, a fronte di un altrettanto rapido azzeramento delle attività della società fallita.
Inoltre, è stato anche considerato- a conferma della riconducibilità dell’operazione ad una unica strategia di svuotamento della società RAGIONE_SOCIALE – che il pagamento del canone è stato effettuato utilizzando un artifizio contabile ovvero ricorrendo ad una sorta di compensazione tra il credito spettante alla società RAGIONE_SOCIALE, derivante dalla locazione, ed il debito della medesima società per le retribuzioni dovute ai dipendenti, il cui pagamento è stato effettuato dalla società RAGIONE_SOCIALE quale corrispettivo per l’utilizzazione del medesimo personale che pur continuava a rimanere formalmente in carico alla RAGIONE_SOCIALE con relativo carico contributivo, nonostante sostanzialmente svuotata e di fatto non operativa.
È irrilevante che l’incipit del dissesto sia risalente ad un’epoca (anni 20082009) in cui il dominus della società era il padre dell’imputata dato che, secondo l’insegnamento di questa Corte, assumono rilievo ai fini della responsabilità penale nel caso di bancarotta fraudolenta impropria, anche le condotte successive alla irreversibilità del dissesto, in quanto sia il richiamo alla rilevanza delle cause successive, espressamente contenuto nella norma predetta -che disciplina il legame eziologico tra il comportamento illecito e l’evento-, sia la circostanza per cui il fenomeno del dissesto non si esprime istantaneamente, ma con progressione e durata nel tempo, assegnano influenza ad ogni condotta che incida, aggravandolo, sullo stato di dissesto già maturato (Sez.5, n. 16259 del 04/03/2010, Rv. 247254 – 01; Sez.5, n. 29885 del 09/05/2017, Rv. 270877 01).
Le altre censure, sulla mancanza di approfondimento in merito al valore dell’avviamento, sono generiche, frutto di una lettura parcellizzata del materiale probatorio, e non in grado di disarticolare la tenuta del ragionamento probatorio compiuto dai Giudici di merito.
3.È inammissibile il terzo motivo. La sentenza impugnata ha ricavato la prova della penale responsabilità dell’imputata dall’utilizzo della società fallita come soggetto giuridico su cui concentrare le passività, che altrimenti sarebbero gravate sulla società RAGIONE_SOCIALE sottolineando come la medesima sia stata posta nelle condizioni di non potere più operare e di creare la liquidità necessaria per fronteggiare la propria esposizione debitoria. Sotto il profilo soggettivo, è stato sottolineato il risalente coinvolgimento della ricorrente nelle vicende societarie e che, al dicembre 2011, la medesima era certamente consapevole dello stato di dissesto della società collegato all’esistenza di un debito consistente verso la Banca Popolare di Sondrio oltre che al consistente debito verso l’Erario ( fin dal 2004). L’avere mantenuto in vita la società anche per gli anni successivi, senza
la contestuale adozione di un piano di risanamento, nonché l’avere omesso di versare i contributi previdenziali per i lavoratori che prestavano la loro attività in suo favore e l’avere, infine, omesso il versamento dei tributi locali per l’immobile di cui usufruiva, ha aumentato l’esposizione debitoria della medesima società. La Corte territoriale, inoltre, ha risposto ad analoga censura sollevata dalla difesa evidenziando che: la società era insolvente fin dal 2004 ( da quando non ha più soddisfatto le proprie obbligazioni verso l’Erario); dal 2011 tale insolvenza è diventata irreversibile; il patrimonio netto della società, al febbraio 2017 era azzerato; il compendio immobiliare (venduto all’asta per la somma di euro 760.000,00) è risultato del tutto inadeguato a coprire l’esposizione debitoria, quantificata, limitatamente ai soli debiti erariali, in oltre due milioni di euro, e co un passivo fallimentare pari a quasi quattro milioni di euro. Le doglianze difensive, a fronte della puntuale ed analitica ricostruzione delle scansioni temporali attraverso le quali si è snodato il percorso che ha condotto al dissesto societarionon riescono a disarticolare la tenuta dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata.
4.È manifestamente infondato il quarto motivo, con profili anche di inammissibilità, essendo la doglianza concernente la mancata considerazione del risarcimento del danno non accompagnata da alcun rilievo critico rispetto alle ragioni che hanno indotto la Corte di appello nell’escludere la rilevanza dell’offerta alla curatela della somma di euro 30.000,00 ai fini di una mitigazione della pena, in quanto ritenuta modesta e non idonea a rappresentare una forma di riparazione del danno. Va ricordato che, secondo l’insegnamento di questa Corte, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019,Rv. 278368 – 02) in quanto l’attenuante, di natura soggettiva, trova la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa quanto nel rilievo che il risarcimento del danno prima del giudizio rappresenta una prova tangibile dell’avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale, solo se totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
o
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/11/2024