LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Amministratore di fatto: la Cassazione e la bancarotta

La Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta di un’imprenditrice, ritenuta amministratore di fatto di una società. L’imputata aveva svuotato il patrimonio della società di famiglia, indebitata, a favore di una nuova impresa da lei gestita. La Corte ha stabilito che per essere considerati amministratori di fatto è sufficiente un’ingerenza continuativa e significativa nella gestione aziendale, anche attraverso una singola operazione fraudolenta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore di fatto e bancarotta: la responsabilità penale va oltre la carica formale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nel diritto penale societario: per essere ritenuti responsabili del reato di bancarotta fraudolenta non è necessaria una nomina formale. Chi agisce come amministratore di fatto, esercitando poteri gestionali in modo continuativo, risponde penalmente delle proprie azioni come se fosse l’amministratore di diritto. Il caso analizzato offre uno spaccato chiaro di come una strategia di svuotamento aziendale possa portare a una condanna, anche quando orchestrata da chi, sulla carta, non ricopre ruoli apicali.

I fatti del caso

La vicenda riguarda una società storica, operante nel commercio di combustibili e gestita formalmente da un imprenditore. Sua sorella, pur essendo solo un’impiegata contabile, era l’amministratrice di una seconda società, di nuova costituzione, operante nello stesso settore.

La prima società, gravata da un debito tributario di oltre due milioni di euro accumulato negli anni, è stata progressivamente spogliata dei suoi beni a vantaggio della seconda. Le operazioni contestate includevano:

* La locazione di un immobile aziendale strategico alla nuova società per un canone ritenuto “inadeguato”.
* La vendita di beni strumentali (veicoli e una cisterna) il cui pagamento è avvenuto tramite “artifici contabili”.
* L’utilizzo del personale della vecchia società per le attività della nuova, lasciando però i costi contributivi a carico della prima, ormai avviata al fallimento.

L’imputata, secondo l’accusa, era la mente dietro questa strategia di spoliazione, avendo di fatto gestito la contabilità e le operazioni della società fallita, pur senza averne la carica.

La qualifica dell’amministratore di fatto

Il punto centrale della difesa era negare il ruolo di amministratore di fatto dell’imputata, sostenendo che le sue azioni rientrassero nelle mansioni di un’impiegata contabile. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, confermando le decisioni dei giudici di merito.

Per la Corte, la qualifica di amministratore di fatto deriva dall’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della funzione gestoria. Non è necessario esercitare tutti i poteri, ma è sufficiente un’ingerenza apprezzabile e non occasionale nelle decisioni aziendali. Nel caso specifico, l’imputata non si era limitata alla contabilità: era stata la figura chiave nella creazione e gestione della nuova società che ha beneficiato dello svuotamento e ha preso parte attiva alla strategia fraudolenta. La Corte ha inoltre specificato che, in un piano finalizzato a dismettere una società, anche una singola operazione distrattiva può essere sufficiente a dimostrare la posizione di amministratore di fatto.

La responsabilità penale dell’amministratore di fatto per l’aggravamento del dissesto

Un altro motivo di ricorso riguardava il fatto che il dissesto della società fosse iniziato anni prima dell’intervento più incisivo dell’imputata. La Cassazione ha ritenuto irrilevante questo aspetto. Ai fini della responsabilità penale per bancarotta, contano anche le condotte successive all’insorgere di una crisi irreversibile, se queste aggravano ulteriormente la situazione. Il dissesto non è un evento istantaneo, ma un processo. Qualsiasi azione che contribuisce ad aumentarlo, anche quando la situazione è già compromessa, assume rilevanza penale. Nel caso in esame, continuare a mantenere in vita la società solo per concentrarvi le passività, omettendo il versamento di contributi e tributi, ha integrato un aggravamento del dissesto di cui l’imputata è stata ritenuta responsabile.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la condanna. I giudici hanno sottolineato che la difesa non è riuscita a scalfire la logicità della ricostruzione operata dalla Corte d’Appello. Le prove hanno dimostrato un inserimento organico e direttivo dell’imputata nella gestione della società fallita, finalizzato a un progressivo svuotamento del suo patrimonio a favore della nuova entità a lei riconducibile. Le argomentazioni difensive, come la presunta congruità del canone di locazione o il tentativo di giustificare le operazioni come negozi autonomi, sono state giudicate irrilevanti e non in grado di fornire una lettura alternativa e credibile dei fatti. Infine, anche il motivo relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante per il risarcimento del danno è stato respinto. L’offerta di 30.000 euro è stata considerata modesta e inidonea a rappresentare una reale riparazione a fronte di un passivo di quasi quattro milioni di euro. Per la Corte, un risarcimento parziale non dimostra quel ravvedimento che giustifica una mitigazione della pena.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza che la responsabilità penale in ambito societario si fonda sulla sostanza e non sulla forma. Chiunque si ingerisca nella gestione di un’impresa, assumendo un ruolo decisionale, diventa un amministratore di fatto e risponde delle conseguenze delle proprie scelte, soprattutto quando queste portano a condotte distrattive ai danni dei creditori. La decisione serve da monito: nascondersi dietro un ruolo formale di minor rilievo non è sufficiente a eludere le proprie responsabilità quando si partecipa attivamente a un disegno fraudolento che porta una società al fallimento.

Cosa si intende per amministratore di fatto e quando ne risponde penalmente?
Un amministratore di fatto è una persona che, pur senza una nomina ufficiale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri gestionali di una società. Risponde penalmente, ad esempio per bancarotta fraudolenta, quando le sue azioni, come quelle di un amministratore di diritto, causano un danno al patrimonio sociale e ai creditori.

Una condotta può essere penalmente rilevante se la società era già in uno stato di dissesto irreversibile?
Sì. Secondo la Corte, anche le condotte successive al momento in cui il dissesto diventa irreversibile sono penalmente rilevanti se lo aggravano. Il dissesto è un fenomeno progressivo e ogni azione che contribuisce ad aumentarlo può integrare il reato di bancarotta.

Un risarcimento parziale del danno può essere considerato un’attenuante?
No. La Corte ha stabilito che, ai fini della concessione dell’attenuante, il risarcimento del danno deve essere integrale. Un’offerta modesta, sproporzionata rispetto all’entità del danno causato, non è considerata una prova tangibile di ravvedimento del reo e quindi non giustifica una riduzione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati