Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18775 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18775 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a ORANI il 13/06/1948
COGNOME NOME nato a ORANI il 19/07/1949
avverso la sentenza del 04/07/2024 della Corte d’appello di Cagliari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il Sostituto Procuratore generale conclude per il rigetto del ricorso proposto in difesa di COGNOME NOMECOGNOME e per l’ inammissibilità del ricorso in difesa di COGNOME NOME. si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l’accoglimento dello stesso; insistendo nel ricorso;
udito il difensore di fiducia dell’imputato NOME COGNOME avv. NOME COGNOME che udito il difensore del ricorrente COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso udito il difensore del ricorrente NOME COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Oristano del 17.06.2022, che condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME il primo, quale amministratore unico, dal 16 febbraio al 20 luglio 2007 e, comunque, sino a tale data, a partire dalla costituzione della società, avvenuta il 21/09/2001, il secondo, quale amministratore unico e socio al 50%, dal 20 luglio al 9 agosto 2012 e, da tale data sino al fallimento, quale liquidatore, nonché dalla costituzione della società al fallimento, quale amministratore di fatto, della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Oristano del 21/02/2013, per diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta distrattiva (distrazione della somma complessiva di euro 235.834,50, costituente il totale dei ricavi non dichiarati dalla società fallita, relativi agli anni 2004, 2005 e 2006 che, anziché come tali, facevano figurare quali finanziamenti infruttiferi eseguiti dai soci alla stessa società, successivamente restituiti, in più soluzioni, ai soci medesimi, entro il 15 marzo 2010), e per la bancarotta fraudolenta documentale specifica, per avere, al fine di procurarsi un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, falsificato i libri e le altre scritture contabili della società fallita che, a ogni modo, tenevano in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari, facendo figurare, nelle relative iscrizioni, ricavi della società fallita, pari ad euro 235.834,50, come finanziamenti non fruttiferi eseguiti dai soci, nonché COGNOME quale amministratore unico dal 2 aprile 2008 al 22 agosto 2012 e, successivamente, di liquidatore, nonché di amministratore di fatto, dalla costituzione in poi della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Oristano del 7 gennaio 2014, in concorso con la moglie COGNOME, per avere distratto la somma complessiva di euro 217.600, ricevuta da diversi acquirenti di immobili di proprietà della società fallita, e non fatturata, che, in parte, depositavano sui propri conti personali e, in parte, versavano nelle casse della predetta società, a titolo di anticipazioni soci, con obbligo di restituzione, e non a titolo di ricavo.
La Corte d’appello ha riqualificato la bancarotta fraudolenta distrattiva della somma di euro 211.124,11 e dell’immobile, sito in INDIRIZZO di Oristano, contestati al solo COGNOME, in bancarotta preferenziale, e riconosciute a COGNOME le attenuanti generiche, equivalenti all’aggravante della pluralità di fatti e alla recidiva, ritenuta la continuazione, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai reati di bancarotta preferenziale perché estinti per prescrizione, rideterminato la pena inflitta nei confronti di quest’ultimo, e confermato, nel resto, la sentenza impugnata e, condannato NOME COGNOME alle spese del giudizio di appello.
Contro l’anzidetta sentenza, l ‘ imputato NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta erronea applicazione dell’art.62 bis cod. pen. e vizio di inesistenza e di manifesta illogicità della motivazione. Si deduce la erroneità della valutazione della Corte d’appello , in punto di trattamento sanzionatorio, che, nel confermare la sentenza di primo grado, non ha tenuto conto che la fattispecie contestata al ricorrente era perfettamente sovrapponibile a quella contestata alla coimputata, NOME COGNOME che ha avuto un diverso trattamento sanzionatorio, ed alla quale sono state applicate le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, con condanna alla pena di anni due di reclusione.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato NOME COGNOME propone ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1 Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di manifesta illogicità della motivazione conseguente a travisamento della prova nonché vizio di contraddittorietà della motivazione, in relazione al reato di bancarotta distrattiva. Si deduce che l’affermazione di responsabilità , in concorso, per il reato di bancarotta distrattiva del ricavato delle operazioni di cessione degli immobili, avvenute negli anni 2004, 2005 e 2006, in massima parte, sarebbe fondata su accertamenti di carattere induttivo, quanto meno per i primi due anni di riferimento; che la somma dell’importo complessivo di euro 235.834,50, superiore a quella di euro 191.150,00, risultante dall’audizione degli acquirenti degli immobili di quegli anni , costituirebbe il risultato di un’operazione di calcolo , effettuato sul presupposto, non provato, che gli importi, versati nelle casse della società, a titolo di finanziamento infruttifero, non potessero provenire da provviste di carattere personale delle due socie ma dai pagamenti non dichiarati e conseguenti alle compravendite. Deduce la difesa che, nei periodi oggetto di accertamento, il ricorrente non rivestiva alcuna carica o svolgeva funzioni per conto della società, che la qualifica di amministratore era in capo a NOME COGNOME e che tutte le attività di carattere gestorio venivano svolte dal coimputato COGNOME e dalla moglie COGNOME, quest’ultima con partecipazione al 50% nella RAGIONE_SOCIALE Deduce la difesa che l’unico interessamento dell’imputato sarebbe stato nell’operazione coinvolgente la sig.ra COGNOME relativa alla cessione, nel dicembre 2004, di una servitù di passaggio, per il costo complessivo di euro 10.450,00, di cui euro 2.000,00 versati in sede di compromesso, non registrati, sebbene ricompresi nella fattura del 21.12.2004, che non era stato accertato chi avesse materialmente
ricevuto l’acconto versato dall’acquirente e che , comunque, l’intera posta , derivante dall’operazione , veniva annotata (si riporta il verbale stenotipico dell’udienza del 29.11.2018 , contenente la deposizione della teste COGNOME). Si deduce che i giudici di merito avrebbero dovuto escludere la responsabilità del ricorrente per dette sottrazioni tanto più che, per determinare la somma complessiva contestata, è stato preso come riferimento l’insieme dei versamenti operati nelle casse sociali da altri soggetti (le socie COGNOME e COGNOME) e, in relazione a tali posizioni, veniva operato il raffronto, in termini di sproporzione, con il reddito dichiarato, per ritenere confermata la prospettiva degli accertatori.
3.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta inosservanza o erronea applicazione di legge e vizio di manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla distrazione della somma di euro 235.834,50. Si deduce che la condotta avrebbe dovuto essere qualificata, al più, in termini di bancarotta preferenziale, in relazione all’elemento soggettivo, perché si trattava di finanziamenti erogati dal socio a favore della società, configuranti un capitale di credito e non di rischio, con la conseguenza che, trattandosi di diritto di credito, liquido ed esigibile sin dall’atto della erogazione del finanziamento, il rimborso, effettuato in periodo di insolvenza della società e in danno degli altri creditori, non ha valenza distrattiva.
3.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali e di inosservanza o erronea applicazione della legge penale per il reato di bancarotta fraudolenta documentale delle false iscrizioni delle poste patrimoniali, per l’importo di euro 235.834,50, in relazione alla disciplina di cui all’art.2 639 cod. civ., per la estensione della qualifica soggettiva, in capo all’imputato , per la supposta attività gestoria. Si deduce che i ricavi riguardavano operazioni immobiliari, indicate quali finanziamenti infruttiferi, intercorse negli anni (2004, 2005 e 2006) precedenti l’assunzione della carica di ammin istratore unico della società, da parte del ricorrente , che all’1.01.2017, prima dell’ingresso nella società del ricorrente , come socio al 50% e come amministratore, i debiti societari annotavano, all’interno del saldo complessivo, detto importo come esborso dei soci, che dalle dichiarazioni della teste COGNOME, amministratore unico della società, sarebbe escluso ogni genere di coinvolgimento dell’imputato in attività di carattere gestorio o, comunque, inerenti la qualità o funzione di imprenditore, che solo il coimputato COGNOME avrebbe assunto il ruolo di amministratore, come ritenuto dai giudici di merito, che a svolgere attività di carattere contabile e documentale erano la stessa COGNOME e la moglie di COGNOME, COGNOME senza alcun interessamento o intromissione da parte del ricorrente, che tale circostanza veniva riscontrata dalle dichiarazioni degli acquirenti degli immobili, sentiti in dibattimento, che non riconducevano in capo al ricorrente compiti significativi per il buon esito delle cessioni, eccetto la teste COGNOME che per la cessione della servitù di passaggio, avvenuta nell’anno 2004 ,
riferiva, in seno al PVC, di avere avuto contatti con COGNOME e COGNOME, nella fase delle trattative (circostanza giustificabile per la posizione di socia al 50% della moglie di COGNOME, Putzolu), mentre nel corso del processo non emergevano riscontri probatori, né in ordine alla ricezione da parte del ricorrente dell’acconto di euro 2000,00 né in relazione all’attività svolta dall’imputato , con riferimento agli adempimenti contabili. Deduce la difesa il travisamento, da parte dei giudici di merito, delle risultanze probatorie, ricavabili dalle deposizioni dei testi e dalle acquisizioni documentali, circa la attribuibilità al ricorrente di condotte interessanti le scritture contabili della società fallita.
3.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali conseguenti al travisamento della prova, in relazione alle considerazioni del curatore fallimentare sulla situazione di inattendibilità della contabilità della società e sul l’impossibilità di stabilire se i proventi delle due vendite immobiliari (a favore dei coniugi COGNOME e NOME COGNOME COGNOME) siano stati versati nelle casse sociali, a titolo di anticipazione infruttifera, ma successivamente restituite ai soci, che avrebbero dovuto condurre ad una pronuncia assolutoria, tenuto conto che trattavasi di operazioni immobiliari compiute a notevole distanza dalla dichiarazione di fallimento, e che la originaria imputazione, fondata sugli esiti degli accertamenti tributari, che vedeva la rideterminazione della somma di cui si ipotizzava la distrazione (da euro 217.600,00 ad euro 63.600,00), muoveva da un dato, insussistente, di supposta coincidenza tra il c.d. incasso in nero, proveniente dalle vendite, e gli accrediti pervenuti sui conti dei coniugi COGNOME, nell’anno 2006 .
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
NOME COGNOME.
2. Il ricorrente lamenta vizi di motivazione in punto di mancata applicazione delle riconosciute attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti della recidiva e di quella di cui all’art.219 L.F., deducendo la disparità di trattamento rispetto alla posizione della coimputata COGNOME
Il motivo è inammissibile.
Il motivo è inammissibile in quanto inedito, posto che non risulta dall’incontestata sintesi dei motivi di appello, per come riportata nella sentenza impugnata, che il deducente avesse formulato doglianze in ordine, appunto, al tema dedotto, di modo che, trattandosi di questione che involge profili di merito
(ossia, attinenti all’uso della discrezionalità del giudice in punto di trattamento sanzionatorio) non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, stante il combinato disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen.
E, comunque, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
NOME COGNOME.
Il ricorso è inammissibile.
3.1 Va, preliminarmente, evidenziata l’inammissibilità delle doglianze relative alla ricostruzione dei fatti, in quanto sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito, preclusa in sede di legittimità. Infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., le doglianze sono, in realtà, dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata. Tuttavia, nel rammentare che la Corte di cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va, al contrario, evidenziato che i motivi sono reiterativi e non si confrontano con la sentenza impugnata, che ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà, richiamando la sentenza del Tribunale, per la coerenza della ricostruzione dei fatti con le risultanze probatorie, senza essere scalfita dalle censure mosse della difesa, costituenti mera riproposizione di argomenti dedotti dinanzi al Tribunale e confutati dai giudici di merito.
3.2 Il primo ed il secondo motivo di ricorso, per le questioni trattate, possono essere esaminati congiuntamente.
La Corte di appello, confrontandosi con il ricorso, con motivazione immune da vizi e censure, quanto alle condotte distrattive del ricavato delle operazioni di cessione degli immobili, avvenute negli anni 2004, 2005 e 2006, in relazione al fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha fondato il giudizio di penale responsabilità del ricorrente non solo e non tanto su metodologie analitico induttive, utilizzate quale riscontro di una più ampia e complessa valutazione, bensì su accertamenti compiuti dal curatore, su accertamenti bancari, sull’esito della istruttoria dibattimentale nonché degli accertamenti effettuati in sede di indagini preliminari.
In particolare, la Corte territoriale ha chiarito che l ‘accertamento della distrazione della somma di euro 235.834,50, quali ricavi, non dichiarati, delle somme versate dai clienti, per l’acquisito di immobili , indicati, nella contabilità sociale, come finanziamenti infruttiferi, dai soci alla società e, da questa, senza alcun prelievo fiscale, integralmente restituiti ai soci, entro il marzo 2010, è avvenuto anche, in esito all’istruttoria dibattimentale , sulla base delle dichiarazioni di alcuni acquirenti degli immobili, ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE, (La Gioia, Deidda, Fadda, Olia e Ministru), relative alla consegna, all’atto del preliminare, di denaro in contanti, senza il rilascio di fattura. Quanto alla restante somma versata, dal contenuto delle dichiarazioni degli acquirenti è emerso che soltanto una parte veniva registrata nella contabilità sociale, a riscontro di quanto emerso nel corso delle indagini fiscali.
La Corte territoriale ha, inoltre, fondato il giudizio di penale responsabilità del ricorrente sugli accertamenti bancari, effettuati, sia in sede di indagini, condotte dalla Guardia di Finanza di Oristano, poi trasfuse nel PVC del 12/07/2007, sia in sede di esame dibattimentale, sui conti correnti della società, dei soci e degli acquirenti, nonché sui relativi importi, indicati nei rogiti notarili, che non corrispondevano a quelli registrati in contabilità, nonché sull ‘ analisi della contabilità della società, effettuata dalla curatela, previa decurtazione degli importi ritirati dalle casse della società ma riversati nella contabilità di altre società del gruppo.
Parimenti, con riferimento alla deduzione secondo cui le somme versate nelle casse della società, a titolo di finanziamenti infruttiferi, non potessero provenire da provviste di carattere personale delle due socie ma dai pagamenti non dichiarati e conseguenti alle compravendite, la motivazione è immune da vizi di manifesta illogicità. Al riguardo, la Corte territoriale, correttamente, richiama la circostanza della accertata mancanza di provviste personali di denaro liquido, la sproporzione con i redditi dichiarati dalle due socie, COGNOME e COGNOME, coniugi, rispettivamente, di COGNOME e COGNOME, le quali non risultavano svolgere alcuna attività lavorativa, e le cui provviste erano, comunque, non sufficienti a consentire alle stesse di versare, dai propri conti correnti, tali ingenti somme, nelle casse della società RAGIONE_SOCIALE
Ulteriore elemento di valutazione, immune da censure, è costituito dalla mancanza di disponibilità economica nelle relative riserve bancarie delle due socie, oltre che dalla circostanza del contestuale versamento degli importi dei pagamenti effettuati, in nero, dagli acquirenti, non contabilizzati, nelle casse della società.
Sul punto, nessun elemento contrario veniva fornito dalla difesa, eccetto la circostanza del sequestro, nel corso delle indagini, di immobili di proprietà dei coniugi COGNOMECOGNOME del valore di circa quattro milioni di euro, oggetto della costituzione di un TRUST, nell’aprile 2011, da parte dei coniugi .
Al riguardo, è stato chiarito che la manomissione del capitale, attuata mediante l’illegale distribuzione di somme di denaro, corrispondenti a utili “in nero”, ancorché essi rappresentino il profitto effettivo della gestione, integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto, sebbene l’utile non costituisca di per sé l’oggetto materiale della condotta di distrazione fraudolenta, essendo di spettanza dei soci e non della società, quando la sua assegnazione avvenga senza la pre-deduzione dell’onere tributario e della conseguente penalità tributaria (che sorge al momento della erogazione della ricchezza), si riscontra manomissione della ricchezza sociale poiché la distribuzione eccede quanto di pertinenza dei soci (Sez. 5, Sentenza n. 14522 del 14/11/2016, dep. 2017, Rv. 269593 -01; Sez. 5, n. 17692 del 18/02/2009, Ferrari, Rv. 243612).
Nel caso in esame, dunque, non vi è stata alcuna ripartizione di utili dichiarati, ma una percezione di ricavi ‘in nero’, non dichiarati, distratti dal patrimonio sociale per fini esclusivamente personali.
Quanto al ruolo del ricorrente, di amministratore, di fatto, della società RAGIONE_SOCIALE, la Corte di merito, confrontandosi con il ricorso, ha valorizzato le dichiarazioni della dipendente NOME COGNOME che su richiesta del datore di lavoro, NOME COGNOME veniva nominata amministratore della società, continuando, tuttavia, a svolgere mansioni di mera dipendente, addetta al lavoro d’ufficio, in esecuzione delle direttive dello COGNOME. La Corte territoriale ha, inoltre, sottolineato il ruolo centrale, svolto dal ricorrente, nella gestione societaria, in particolare, nelle operazioni di vendita, come descritto dagli acquirenti, (testi COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME degli immobili della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), che avevano trattato direttamente con il ricorrente ovvero con questi unitamente al coimputato COGNOME corrispondendo direttamente allo stesso gli importi, con assegni e contanti, che venivano contestualmente versati nelle casse della relative società, dallo ricorrente. La Corte territoriale ha, inoltre, considerato la capacità del ricorrente di movimentare consistenti somme di denaro, di proprietà della società, (in relazione alle vendite a Sorrentino e alla RAGIONE_SOCIALE), di prendere decisioni incisive per la vita delle società facenti capo al medesimo (RAGIONE_SOCIALE), nonché le dichiarazioni della figlia, NOME COGNOME e del
genero, NOME COGNOME in merito al ruolo svolto dall’imputato perché la società RAGIONE_SOCIALE di cui quest’ultimo era amministratore, acquistasse immobili dalla RAGIONE_SOCIALE, in stato di decozione, sottraendoli ai debitori, immobili che venivano restituiti alla fallita prima della apertura del fallimento.
La Corte d’appello ha indicato, quali ulteriori indici del ruolo di amministratore di fatto, svolto dal ricorrente, il contesto illecito dei comportamenti attuati, per la incidenza sull’assetto e sulla vita della società, quali diretta esplicazione di un potere decisionale assoluto, nonché la assunzione da parte del l’imputato , a seguito delle indagini fiscali e delle susseguenti gravi contestazioni, della qualifica di amministratore prima, di liquidatore poi, oltre che di socio al 50%, insieme alla moglie, COGNOME, nonché l’assenza di attività gestoria di quest’ultima e, comunque, di intromissione nel concreto espletamento dell’attività sociale di realizzazione degli immobili.
L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur non essendo stato investito formalmente della carica di amministratore della società, tuttavia, esercita, in modo continuativo e significativo, i poteri tipici relativi alla qualifica o alle funzioni dell’amministratore di diritto. D’altronde, in termini logici, non è in alcun modo configurabile un amministratore di fatto estraneo alla gestione imprenditoriale: proprio in quanto titolare (di fatto) delle funzioni gestorie, concorre (in termini di causalit à̀ commissiva o omissiva) alla realizzazione degli atti di amministrazione, dei quali si assume la piena responsabilit à̀ .
La conseguenza principale del riconoscimento della figura dell’amministratore di fatto consiste nel suo assoggettamento al rispetto dei doveri previsti dall’ordinamento , con specifico riferimento all’amministratore di diritto, la cui violazione comporta la configurabilità delle fattispecie di responsabilità configurabili, con i conseguenti obblighi risarcitori nei confronti della società, dei soci, dei creditori sociali e del singolo socio o terzo, ai sensi degli articoli, rispettivamente, 2392, 2393-bis, 2394 e 2395 c.c.
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., dunque, non postula necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiede l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto, con funzioni direttive, – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione
(Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534 -01; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497; Sez. 5, Sentenza n. 25021 del 2023; Sez. 5, del 14 aprile 2003, n. 22413, Rv. 224948; Sez. 1, del 12 maggio 2006, n. 18464, Rv. 234254; Sez. 5, n. 25075 del 2023; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101; Sez. 5, n. 35346 del 20106/2013 Rv. 256534; Sez. 5, n. 25030 del 2023; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540; Sez. 5, n. 35346 del 20/6/2013, COGNOME, Rv. 256534; Sez. 3, n.22108 del 19/12/2014, COGNOME e altri, Rv. 264009; Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Rv. 283850).
Ai fini dell’individuazione della figura dell’amministratore di fatto della società , non è necessario che l’attività attuata dal soggetto , che si è ingerito nella gestione sociale, in assenza di qualsivoglia investitura, sia caratterizzata da completezza e, cioè, che sia svolta in tutti gli ambiti tipici della funzione gestoria e attraverso atti conformativi dell’operato della società aventi valenza esterna. In definitiva, l’amministratore di fatto viene positivamente ind ividuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: a) mancanza di una formale investitura; b) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; c) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.
Nella ricorrenza delle suindicate condizioni, l’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 cod. civ., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011, Rv. 250844; Sez. 3, n. 33385 del 5/7/2012, COGNOME, Rv. 253269), anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen.
Spetta al giudice del merito valutare e perimetrare il novero e la significativit à̀ delle attivit à̀ concretamente svolte, potenzialmente idonee a delineare il ruolo dell’amministratore di fatto, anche nei limiti delle responsabilit à̀ gestionali espletate al vertice di uno specifico comparto dell’operativit à̀ dell’impresa (Sez. 5, n. 19145 del 13/4/2006, COGNOME, Rv. 234428).
Quanto alla richiesta di riqualificazione della bancarotta fraudolenta distrattiva in bancarotta preferenziale, il motivo è reiterativo nonché manifestamente infondato.
La Corte di appello, confrontandosi con il ricorso, ha sottolineato la illegittimità delle restituzioni delle somme ai soci in quanto provenienti da somme acquisite dai clienti ‘in nero’, non registrate e contabilizzate . La Corte territoriale ha
correttamente ritenuto mancare il presupposto della sussistenza di un titolo legittimo di credito, nei confronti della società, per la riqualificazione del reato nella meno grave fattispecie.
Deve, in primo luogo, rammentarsi il principio secondo il quale quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 -01; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735). Il principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni è ammissibile, nel caso in esame, per avere la Corte d’appello ripercorso, sulla base degli atti d’appello, l’iter motivazionale della sentenza di primo grado per verificarne la coerenza e la tenuta con il compendio probatorio (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 30838 del 10/03/2013, Rv 257056) ed esaminato le censure svolte.
La Corte d’appello ha ricostruito, nel dettaglio, tutte le vicende societarie sulla base delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari e all’esito della istruttoria dibattimentale, e ne ha dato atto con motivazione precisa, congrua e priva di illogicità, tantomeno manifesta, peraltro in doppia conforme.
Eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei già menzionati vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile. (Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01; Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023).
Nel caso in esame, il motivo si limita a riprodurre le censure dedotte in appello, solo con il riferimento in premessa alla richiesta di annullamento della sentenza impugnata, difettando del tutto di critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato’ e dell’indicazione delle ra gioni della loro decisività
rispetto al percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584).
3.3 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Con riferimento al ruolo di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, svolto dal ricorrente, si richiamano le considerazioni di cui al punto 3.1.
Il motivo è reiterativo e non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata.
3.4 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è reiterativo e non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata.
La Corte di appello, confrontandosi con il ricorso, con motivazione immune da vizi e censure, quanto alle condotte distrattive del ricavato delle operazioni di cessione degli immobili, in relazione al fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha fondato il giudizio di penale responsabilità del ricorrente non solo e non tanto su metodologie analitico induttive, utilizzate quale riscontro di una più ampia e complessa valutazione, bensì su accertamenti compiuti dal curatore, su accertamenti bancari, sull’esito della istruttoria dibattimentale nonché di quelli effettuati in sede di indagini preliminari.
La Corte territoriale, con argomentazione congrua ed immune da vizi, ha circoscritto l’entità della distrazione degli importi non fatturati alla minor somma di euro 63.000,00, non registrata nella contabilità aziendale (‘in nero’), relativa ai versamenti effettuati dagli acquirenti di immobili dalla società (testi COGNOME e COGNOME), e confluite nelle casse sociali come finanziamento infruttifero, restituite ai soci in un secondo momento, in considerazione della totale inattendibilità della contabilità sociale. Al riguardo, la valutazione della Corte d’appello , si è basata sugli esiti della istruttoria dibattimentale, quali le dichiarazioni testimoniali degli acquirenti che, al momento della stipula dei rispettivi compromessi, effettuavano pagamenti, senza il rilascio di ricevuta, da parte della venditrice, nonché le verifiche bancarie sui conti correnti della società e dei soci, da cui emergeva che le somme venivano riversate dal ricorrente sul conto corrente, intestato alla società, acceso presso la Banca Intesa, con la causale ‘finanziamento infruttifero in qualità di socio’ , con obbligo di restituzione e non a titolo di ricavi. Quanto alle ulteriori somme, la Corte d’appello ha tenuto conto del prezzo di acquisito degli immobili, esiguo, dei rogiti notarili, da cui emergeva che l’intero pagamento avveniva al momento della stipula dell’atto pubblico, nonché degli accertamenti
bancari sui conti correnti degli acquirenti, che avevano negato di aver corrisposto somme ulteriori rispetto a quelle indicate nel rogito.
Nel caso in esame, dunque, non vi è stata alcuna ripartizione di utili dichiarati, ma una percezione di ricavi ‘in nero’, non dichiarati, distratti dal patrimonio sociale per fini esclusivamente personali.
Si richiamano le considerazioni di cui al punto 3.1.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 3/04/2025.