Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3872 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3872 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Fornovo Di Taro il 26/03/1946
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria depositata telematicamente dal difensore, avv. NOME COGNOME che ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, emessa in data 10 ottobre 2023, la Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva condannato COGNOME COGNOME alla pena di anni tre di reclusione, oltre pene accessorie, per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale. Ha sostituito la pena detentiva con la pena della detenzione domiciliare per la medesima durata, ai sensi dell’art. 545 bis cod. proc. pen. e dell’art. 56 della
legge 689 del 1981.
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, articolando unico motivo con il quale deduce la ricorrenza dei vizi di violazione di legge in relazione agli artt. 40 cod. pen., 216, comma 1, n. 1 e 2, L. fall.
Sostiene che l’imputato ha assunto unicamente la carica di amministratore di diritto mentre altri hanno curato la gestione della società e richiama precedente arresto di questa Corte (Sez. 5, n. 37543 del 14/10/2021) secondo cui, in caso di mero amministratore di diritto, non si può prescindere dal valutare se quest’ultimo sia rimasto del tutto estraneo all’amministrazione della società, fungendo solo da prestanome, se non a rischio di ricadere in un rigido automatismo tra la carica ricoperta e la responsabilità penale.
La Corte di appello ha fondato la condanna sull’inosservanza di alcune incombenze di natura civilistica senza verificare se da tali omissioni siano derivati gli eventi di cui all’imputazione (distrazione delle autovetture e sottrazione delle scritture contabili).
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore, con memoria depositata telematicamente, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Con l’unico motivo di ricorso la difesa ripropone in sostanza censure già sviluppate in appello riconducibili all’assenza dell’elemento psicologico dei reati in contestazione, sul presupposto che l’imputato avrebbe rivestito, solo formalmente, il ruolo di amministratore di diritto della società fallita.
2.1. La giurisprudenza di questa Corte, nel definire il confine di rilevanza penale del ruolo dell’amministratore “apparente”, ha individuato, con orientamento consolidato, nell’art. 40, comma secondo, cod. pen. la norma di riferimento per la responsabilità concorsuale dell’amministratore di diritto negli illeciti commessi dall’amministratore di fatto.
Qualora il soggetto abbia accettato il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato o l’accettazione del rischio che questi si verifichino possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale, risultando integrato l’elemento soggettivo nella forma, rispettivamente, del dolo generico o del dolo specifico (Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, NOME COGNOME Rv. 279831; Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, COGNOME, Rv. 262767).
È stato, in particolare, ritenuto che per integrare il dolo del primo sia sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nell’art. 216 comma 1 n. 1 legge fallimentare, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002, COGNOME ed altri, Rv. 222389); tale responsabilità viene collegata, in particolare, all’omissione, da parte dell’amministratore di diritto, del compiuto adempimento dei doveri di salvaguardare l’integrità del patrimonio sociale, ai sensi dell’art. 2394 cod. civ., di vigilare sul generale andamento della gestione, di adoperarsi per impedire il compimento di atti pregiudizievoli ed eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose, ai sensi dell’art. 2392 cod. civ.
Tuttavia, altrettanto pacificamente, è stato anche privilegiato un accertamento caso per caso che valuti il significato probatorio dell’intero contesto della sua azione, sottolineandosi che la, pur consapevole, accettazione del ruolo di amministratore apparente non possa necessariamente implicare la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (Sez. 5, n. 54490 del 26/09/2018, C., Rv. 274166).
Qualora l’amministratore di diritto non sia intervenuto per impedire la realizzazione del reato da parte dell’amministratore di fatto – nonostante l’art. 2392, comma secondo, cod. civ. gli imponga di vigilare e di attivarsi in presenza di atti pregiudizievoli – non si può prescindere dalla valutazione della circostanza relativa all’essersi o meno il prestanome mantenuto del tutto estraneo all’amministrazione della società, in quanto in caso contrario si finirebbe per ricadere in un rigido automatismo tra la carica ricoperta e la responsabilità penale, come se quella di amministratore di diritto fosse una “responsabilità di posizione”, che, come visto, la stessa giurisprudenza di questa Corte ha più volte escluso, con la conseguenza che la semplice individuazione e, quindi, il
richiamo alle disposizioni di natura civilistica che fondano la responsabilità contrattuale dell’amministratore non può affatto essere ritenuto risolutivo, posto che il testo delle disposizioni civilistiche va comunque ricondotto nell’alveo dei principi di tassatività e di determinatezza, che devono connotare necessariamente la condotta penalmente rilevante (così Sez.5, n. 37453 del 14/10/2021, in motivazione).
2.2. GLYPH Nel caso in esame, non si ravvisano vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dei giudici di appello che, dopo un corretto inquadramento giuridico della condotta realizzata in termini di omessa tenuta della contabilità, hanno ricavato la sussistenza del dolo specifico ovvero la consapevolezza dell’imputato del ruolo svolto ed il fine di arrecare pregiudizio ai creditori da specifici elementi, e precisamente: dal fatto di essersi il medesimo reso irreperibile agli organi fallimentari, intendendo tale condotta indice della volontà specifica di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 47762 del 05/10/2022); dall’essere l’accettazione della carica intervenuta a notevole distanza di tempo dal fallimento (nell’anno 2008 a fronte di un fallimento dichiarato nel 2015); dall’essere stato l’ultimo bilancio chiuso al 31.12.2007, essendo relativa al medesimo anno d’imposta anche l’ultima dichiarazione dei redditi; dall’avere l’imputato accettato formalmente la carica di amministratore nonostante la mancata consegna dei libri sociali e scritture contabili obbligatorie; dall’essere stato il medesimo a conoscenza del fatto che la società aveva maturato nei confronti dell’Erario un debito di due milioni di euro con Equitalia; dall’essere stata nominata, quale depositaria delle scritture contabili, una società in liquidazione e cessata nel 2012.
Relativamente al delitto di bancarotta distrattiva, contestato per il mancato rinvenimento di quattro autoveicoli, risultanti intestati alla società, sono state valorizzate: la distanza di tempo intercorso tra il momento dell’accettazione della carica (anno 2008) e la dichiarazione di fallimento (anno 2015); l’essere stato l’imputato notiziato dalla Guardia di Finanza, fin dal 2012, dell’esistenza degli ingenti debiti fiscali accumulati dalla società rappresentata e l’essere rimasto, nonostante tutto, inerte, senza assumere alcuna iniziativa per la salvaguardia del patrimonio sociale.
Le deduzioni difensive, oltre che reiterative di quelle sollevate attraverso l’atto di appello, sono generiche in quanto non si confrontano con gli argomenti fattuali evidenziati dalla Corte di appello, e prima ancora dal Tribunale con motivazione conforme, ritenuti indici rivelatori di un atteggiamento psicologico consapevole e volontario dell’imputato, coerente con la fattispecie incriminatrice contestata.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/11/2024.