Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26874 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26874 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/06/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
lazione sv ta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME Ydita la 92
Plico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME COGNOME.
che ha concluso chiedendo
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IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano riformava in senso favorevole all’imputato, limitatamente alla determinazione dell’entità del trattamento sanzioNOMErio, la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano, in data 7.10.2021, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condanNOME COGNOME COGNOME alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale, in rubrica ascrittigli, in qualità di amministratore di diritto dal 28.5.2014 sino alla data del fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Milano in data 18.6.2015.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando il vizio di motivazione illogica e contraddittoria, in punto di affermazione di responsabilità, posto che il COGNOME, come affermato dalla stessa corte territoriale, era una semplice testa di legno, al quale non possono essere ascritte le condotte tipiche del vero amministratore di fatto, il COGNOME, al quale si deve GLYPH spoliazione della società, attraverso una serie di atti distrattivi posti in essere prima ancora dell’assunzione da parte del ialenti della carica di amministratore unico, peraltro rivestita per un periodo di circa un anno rispetto alla dichiarazione di fallimento
Con requisitoria scritta del 9.2.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi infondati, che, a ben vedere, si collocano ai confini della inammissibilità, per le ragioni che si vedranno in seguito
In via preliminare, tenuto conto della natura dei vizi denunciati dal ricorrente, va ribadito il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una
premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (cfr. Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Rv. 281105).
4.1. Ciò posto, appare opportuno soffermarsi, sia pure in estrema sintesi, sui principi desumibili da una serie di arresti della giurisprudenza di legittimità, che costituiscono, ormai, un orientamento consolidato nella materia che ci occupa.
Da tempo invero si è affermato che la responsabilità dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale con l’amministratore di fatto, non discende esclusivamente dalla posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma secondo, c.p., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita (cfr. Cass., sez. V, 28.5.2014, n. 44826, rv. 261814; Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, Rv. 262767).
Come è stato ulteriormente precisato dalla giurisprudenza di legittimità, tuttavia, in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale,
una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (cfr. Sez. 5, n. 54490 del 26/09/2018, Rv. 274166; Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Rv. 247251).
Pertanto, come pure è stato affermato con assunto assolutamente condivisibile, in tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso “ex” art. 40, comma secondo, c.p., dell’amministratore formale nel reato commesso dall’amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale (cfr. Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, Rv. 263225).
In tema di reati fallimentari, come è stato ribadito, è pertanto sufficiente ad integrare il dolo, in forma diretta o eventuale, dell’amministratore formale la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto (cfr. Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Rv. 279831).
Recentemente, peraltro, con arresto condiviso dal Collegio, si è di nuovo posto l’accento sugli obblighi giuridici che gravano sull’amministratore di diritto, pur in presenza di un amministratore di fatto.
Si è, infatti, ritenuto che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto non si determina un’apprezzabile modifica del titolo di responsabilità, la decisione con cui, in applicazione dell’art. 40, comma secondo, c.p., l’imputato sia condanNOME per il reato di bancarotta fraudolenta per essere rimasto colpevolmente inerte di fronte alla condotta illecita dell’amministratore di fatto, anziché per la condotta assunta direttamente in veste di amministratore formale, purché
rimanga immutata l’azione distrattiva, nei suoi profili soggettivi e oggettivi (cfr. Sez. 5, n. 19182 del 31/01/2022, Rv. 283136).
4.1. Applicando siffatti principi al caso in esame, non è revocabile in dubbio che la motivazione della corte territoriale sia immune dai denunciati vizi.
Come correttamente evidenziato dal giudice di secondo grado le condotte distrattive hanno avuto ad oggetto beni acquistati dal fornitore “RAGIONE_SOCIALE“, la cui acquisizione al patrimonio della società fallita era noto al prevenuto, il quale, sentito dal curatore fallimentare, ha ammesso di avere visto presso la sede della RAGIONE_SOCIALE, una volta divenuto amministratore di diritto, beni strumentali dello stesso tipo di quelli acquistati dalla società fallita presso il suddetto fornitore.,’ beni strumentali, peraltro, che, come rilevato dalla corte territoriale, “unitamente alla scaffalatura di pregio del valore di euro 8000,00 (non più rinvenuta), erano entrati a far parte delle immobilizzazioni della società e, pertanto, dovevano essere presenti al momento della declaratoria fallimentare, non essendo rilevante il momento in cui è intervenuta la spoliazione” (cfr. p. 9 della sentenza oggetto di ricorso). Giova evidenziare che il ricorrente non contesta la natura distrattiva delle operazioni puntualmente indicate nel capo a) dell’imputazione, ma, con riferimento alle sole distrazioni dei beni strumentali, l’impossibilità di ricondurle al COGNOME, dovendo essere attribuite al solo amministratore di fatto COGNOME NOME, nei cui confronti si è proceduto separatamente.
Una volta dimostrato, tuttavia, che i beni distratti erano presenti nel patrimonio della società fallita quando il COGNOME ne divenne amministratore unico, (e al riguardo i rilievi difensivi appaiono inammissibilmente versati in fatto), non può non rilevarsi l’intrinseca coerenza logica del percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale, che ricostruisce sul versante del dolo la condivisione da parte dell’amministratore di diritto delle finalità distrattive perseguite dall’amministratore di fatto, evidenziando come “l’accertato e financo ammesso mancato controllo sulla tenuta delle scritture”, dimostri “la rinuncia a porre in essere quelle attività idonee a prevenire il pericolo di
distrazioni e, di conseguenza, l’accettazione del rischio che esse possano verificarsi”, pericolo di cui il COGNOME avrebbe dovuto avere contezza, in ragione della professionalità maturata, avendo egli assunto cariche societarie in ben 19 società (cfr. pp. 10 e 11 della sentenza della corte territoriale).
Sotto questo profilo non può non rilevasi comeú motivazione della corte territoriale sia del tutto in linea con il consolidato principio, secondo cui la prova dell’elemento soggettivo del reato può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva dei soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (cfr. Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908; nonché Sez. 6, 6.4.2011, n. 16465, Rv. 250007).
Con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale, non contestata nella sua materialità dal ricorrente, appare sufficiente evidenziare, in mancanza di doglianze specifiche sull’elemento soggettivo del reato, come la consapevole violazione dei doveri che incombevano sul COGNOME nella sua qualità di amministratore risulti evidente dalla circostanza, del pari sottolineata con logico argomentare dal giudice di appello, che lo stesso imputato aveva dichiarato al curatore fallimentare “di non avere alcuna contezza delle scritture contabili e di non sapere se i documenti societari venissero registrati presso la sede operativa o venissero trasmessi per gli adempimenti alla AVV_NOTAIO COGNOME, commercialista della fallita” (cfr. p. 11 della sentenza impugnata), in tal modo dimostrando ura completo disinteresse per la tenuta delle scritture contabili, da addebitare non a una semplice negligenza, ma alla condivisione delle finalità distrattive dell’amministratore di fatto, in modo da evitare ogni ricostruzione del suo operato.
Né va taciuta, con riferimento agli atti processuali di cui il ricorrente lamenta, peraltro del tutto genericamente, un’inadeguata valutazione da parte della corte territoriale, e, in particolare, alle dichiarazioni rese al curatore fallimentare da COGNOME NOME, COGNOME NOME, la violazione
del principio della cd. autosufficienza del ricorso, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga, come nel caso in esame, la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurirnis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071). Siffatta interpretazione va mantenuta ferma, come chiarito da alcuni recenti arresti, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165 bis, co. 2, d.lgs 28 luglio 1989, n. 271, inserito dall’art. 7 4 , d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, dovendosi ribadire l’onere di puntuale indicazione ed allegazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugNOME (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 4 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 6.3.2024.
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