Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13620 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13620 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BENEVENTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto udito il difensore
AVV_NOTAIO, sia in proprio che in qualità di sostituto processuale, insiste nell’accoglimento dei ricorsi.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Napoli riformava parzialmente in senso favorevole agli imputati, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, la sentenza con cui il tribunale di Noia, in data 20.4.2017, aveva condannato COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ciascuno alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale, in rubrica loro ascritti, in relazione al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarato dal tribunale di Noia, in data 20.10.2011.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione gli imputati, con distinti atti di impugnazione.
2.1. In particolare gli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, nel ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, lamentano: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nella loro massima estensione.
2.2. COGNOME NOME, nel ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, lamenta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze processuali; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.
Con requisitoria scritta del 17.11.2023, da valere come memoria, in quanto nelle more è stata chiesta la trattazione in forma orale delle proposte impugnazioni, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che i ricorsi siano rigettati.
I ricorsi vanno rigettati, essendo sorretti da motivi, in parte inammissibili, in parte infondati.
5. Premesso che le sentenze di primo e di secondo grado vanno lette congiuntamente, costituendo esse un unico complessivo corpo decisionale, in quanto la sentenza di appello nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 37295 del 12.6.2019), va rilevato che i motivi di ricorso articolati dal COGNOME, dalla COGNOME e dalla COGNOME non possono essere accolti.
Gli imputati sono stati condannati in quanto essi si sono succedu:i nella qualità di amministratori di diritto della società fallita, il cui amministratore di fato era stato COGNOME NOMENOME padre di COGNOME NOME, a sua volta sposata con il COGNOME, nonché marito di COGNOME NOME, coimputato degli attuali ricorrenti, resosi irreperibile.
L’affermazione di responsabilità trova la sua giustificazione, a giudizio della corte territoriale, nella circostanza che gli imputati, a differenza di quanto da essi sostenuto in appello, non potevano considerarsi delle mere teste di legno, rispetto all’amministratore di fatto, non sole e non tanto in ragione dei loro rapporti familiari con quest’ultimo, ma per le decisive ragioni che essi erano direttamente interessati alle vicende dell’impresa, tanto che il COGNOME e la COGNOME si erano avvicendati nella titolarità delle quote sociali, nella misura del 50% del capitale; l’COGNOME era stata destinataria di alcune delle menzionate condotte distrattive; la COGNOME era informata di aspetti rilevanti della vita dell’impresa; i testi COGNOME e COGNOME, infine, pur sostenendo di ricevere indicazioni dall’COGNOME NOME, hanno affermato d avere visto i ricorrenti presso la sede aziendale.
La presenza di un amministratore di fatto, invero, non esclude la responsabilità degli amministratori di diritto.
Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di reati fallimentari, la previsione di cui all’art. 2639 cod. civ. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i
poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Rv. 279040).
In questa prospettiva, si è, inoltre, chiarito che in tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali (cfr. Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, Rv. 262767) ovvero, più di recente, che, in tema di reati fallimentari, è sufficiente ad integrare il dolo, in forma diretta o eventuale, dell’amministratore formale la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto (cfr. Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Rv. 279831).
Del pari è assolutamente pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte che l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare in forma adeguata le predette scritture (cfr. Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017; Rv. 271754; Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, Rv. 282280).
Con tali principi i ricorrenti non si confrontano.
Il COGNOME, in particolare, contesta genericamente e con censura versata in fatto il significato attribuito dalla corte territoriale alle dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, evidenziando come questi ultimi abbiano dichiarato di non avere mai ricevuto disposizioni lavorative dagli odierni imputati.
Infondato, inoltre, appare il rilievo del COGNOME sulla mancata dimostrazione di una condotta posta in essere dall’imputato proclromica alla causazione dello stato d’insolvenza, che dà luogo al fallimento, posto che, come chiarito da tempo dall’orientamento assolutamente dominante nella giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza del
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (cfr., ex plurimis, Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266804).
Sicché risulta del tutto irrilevante, oltre che di natura meramente fattuale, il rilievo che durante lo svolgimento della carica rivestita dal COGNOME la società “chiudeva l’esercizio 2008 con un utile di euro 48.000,00”, tuttavia, come evidenziato dal tribunale, azzerato dalle perdite del 2009, che avevano di fatto azzerato il capitale sociale (cfr. p. 4).
I giudici di merito, del resto, hanno evidenziato come, premesso che la crisi dell’impresa si era già manifestata in relazione all’esercizio 2007, quando il COGNOME era amministratore di diritto, chiusosi con accumulazione di passività e senza utili, le condotte distrattive di cui al capo A) vennero poste in essere in un periodo in cui erano amministratori di diritto il COGNOME e l’ COGNOME, mentre quelle di cui al capo C) in un periodo in cui erano amministratori di diritto il COGNOME, l’COGNOME e la COGNOME (cfr. pp. 9-11 della sentenza di primo grado).
La COGNOME, infine, veniva ritenuta responsabile anche dei fatti distrattivi di cui ai capi B); D); E), in qualità di liquidatrice, nonché del reato di bancarotta fraudolenta per avere aggravato lo stato di dissesto societario sicuramente presente nell’anno 2008, di cui al capo G), in qualità di amministratrice e, come tutti gli imputati, della bancarotta fraudolenta documentale generica di cui al capo F).
Nessuno degli imputati, peraltro, ha fornito giustificazione alcuna in ordine alle condotte distrattive, che, dal punto di vista oggettivo, non vengono specificamente da essi contestate.
La COGNOME, dal suo canto, si limita a svolgere rilievi del tutto generici sulla mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo, nonché sulla incompletezza del quadro delle poste in bilancio e delle rimanenze di magazzino, profili non affrontati dal curatore fallimentare nella sua relazione.
Sul punto va peraltro osservato che, come si evince dalla incontestata sintesi dei motivi di appello operata dalla corte territoriale, il toema del dolo non era stato prospettato dalla COGNOME in sede di appello, costituendo, pertanto, un motivo inammissibilmente dedotto per la prima volta in sede di legittimità.
In ogni caso appare evidente come, con motivazione implicita, la corte territoriale si sia conformata al principio secondo cui la prova dell’elemento soggettivo del reato può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (cfr. Cass., sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908; nonché Cass., Sez. 6, 6.4.2011, n. 16465, Rv. 250007; sulla motivazione implicita della sentenza di appello cfr. Sez. II, 12/02/2009, n. 8619).
Anche le critiche della COGNOME non colgono nel segno.
Tali rilievi, nel primo e nel secondo motivo di ricorso, reiterano le doglianze COGNOME prospettate dal COGNOME COGNOME, COGNOME insistendo, COGNOME in COGNOME termini assolutamente generici, sulla sua estraneità alla gestione dell’impresa e sulla carenza dell’apparato argomentativo dei giudici di merito, fondato solo, a suo dire, sul contributo fornito dal curatore fallimentare.
Inammissibili, infine, risultano le censure sul trattamento sanzionatorio, perché manifestamente infondate e tali da sollecitare una valutazione sul merito del trattamento sanzionatorio, non consentita in sede di legittimità.
Al riguardo non può non rilevarsi che al COGNOME e all’COGNOME le circostanze attenuanti generiche sono già state riconosciute dal giudice di primo grado con giudizio di prevalenza sulla contestata circostanza aggravante, ex art. 219, I.fall.
Anche alla COGNOME il giudice di primo grado aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, ma con giudizio di equivalenza, “in ragione del maggior contributo dato dalla stessa alla realizzazione dei fatti e alla molteplicità di imputazioni” (cfr. pp. 13-14 della sentenza del
tribunale), giudizio, confermato dalla corte territoriale, con congrua motivazione (cfr. p. 6), laddove, come è noto, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 13:3 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (cfr. Sez. 4, 06/05/2014, n. 29951).
7. Al rigetto del ricorso, segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12.12.2023.