Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10133 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10133 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME PISA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/03/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME AVV_NOTAIO che ha così concluso:
il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria scritta e conclude per l’inammissibilità de ricorso.
udito il difensore:
l’AVV_NOTAIO si riporta ai motivi di ricorso e ai motivi nuovi, insiste per l’accoglimento degli stessi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Firenze, dichiarato non doversi procedere per prescrizione con riferimento al reato di cui all’art. 220 legge fall. e rideterminate per conseguenza le pene principali e accessorie, ha confermato il giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento, dichiarato in data 28/01/2014, della RAGIONE_SOCIALE, nella quale l’imputata ha rivestito la carica di amministratore unico fino al 25/07/2011.
La responsabilità per bancarotta patrimoniale era stata già circoscritta, all’esito del primo grado, alla distrazione di circa 110.000 euro, falsamente indicattà nella contabilità a titolo di anticipi nei confronti di fornitori, ed in re oggetto di prelevamenti ingiustificati.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del difensore, articolando tre motivi (cui accedono altrettanti motivi nuovi sui medesimi punti) di seguito riassunti negli stretti limiti necessari alla motivazione, ai sensi dell’art 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta patrimoniale.
La Corte di appello avrebbe omesso di motivare circa la consapevolezza, da parte dell’imputata, di quanto realizzato dall’amministratore di fatto, ed avrebbe dunque affermato una sorta di responsabilità di posizione. Non sarebbe sufficiente la mera intestazione del conto corrente societario, non essendo stati acquisiti documenti bancari a sostegno della tesi dell’effettuazione da parte dell’imputata delle operazioni contestate; del resto, secondo le sommarie informazioni rese da NOME COGNOME, l’amministrazione e la gestione della società erano devolute ad altro soggetto, NOME COGNOME.
La somma transitata direttamente sul conto della ricorrente, pari a circa 6000 euro, sarebbe spiegabile quale compenso per il ruolo di fatto ricoperto quale impiegata.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta documentale fraudolenta.
Premesso che l’unico profilo di responsabilità, all’esito della pronuncia parzialmente assolutoria resa dal giudice di primo grado, riguarderebbe la fuorviante rappresentazione contabile derivante dall’annotazione “anticipi nei confronti di fornitori”, osserva la ricorrente: che secondo il curatore fallimentare il
dato non avrebbe prodotto l’impossibilità di ricostruzione dell’andamento degli affari; che lo stesso sarebbe emerso in epoca successiva all’amministrazione COGNOME; che il nuovo amministratore che le è succeduto non avrebbe mosso contestazioni.
In ogni caso, come viene precisato nel secondo motivo nuovo, si tratterebbe al più di bancarotta semplice, prescritta.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’aggravante della c.d. continuazione fallimentare. L’aggravante sarebbe stata contestata solo all’interno del c:apo C, relativo alla bancarotta documentale, ma la responsabilità della COGNOME a tale titolo sarebbe stata affermata solo con riferimento alla singola falsificazione indicata nel secondo motivo.
Nel corpo del motivo si censura la motivazione della sentenza con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che sarebbe stato fondato sulla mancata collaborazione con gli organi della procedura, e cioè sulla commissione del reato contestato nel capo E e dichiarato prescritto.
Si è proceduto a discussione orale.
Il Procuratore generale si è riportato alla requisitoria scritta, nella quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per plurime e concorrenti ragioni.
Le violazioni di legge contestate nei primi due motivi sono inammissibilmente dedotte. Il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., infatti, riguarda l’erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza) ovvero l’erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fat:to o la sussunzione del caso concreto sotto la fattispecie astratta). Non si versa nella denuncia di tale vizio in presenza dell’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, ipotesi, questa, mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa denunciabile sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoè, Rv. 268404).
Ebbene, la ricorrente deduce appunto l’erronea ricostruzione della fattispecie concreta.
Anche sotto il profilo del vizio di motivazione, però, i primi due motivi sono fuori fuoco.
Come è noto, esula «dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME).
Il principio è stato ribadito sottolineando come «l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione abbia un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizione processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti interni del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME).
A proposito del rispetto della “catena devolutiva”, va poi ricordato che, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777; Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217).
Nel primo motivo originario e nel primo motivo nuovo la ricorrente deduce, in modo assai generico, il travisamento delle dichiarazioni di una teste che avrebbe riferito della sostanziale delega di funzioni all’amministratore di fatto, ma non risulta che il dato probatorio sia stato utilizzato per la prima volta nel giudizio d secondo grado.
Il motivo è inammissibile anche per ulteriori profili.
Anzitutto, esso sollecita la Corte di cassazione ad una non consentita rivalutazione degli elementi di prova, fornendo una diversa lettura, ritenuta dalla
ricorrente preferibile, dei dati probatori inerenti il fatto costituente distrazion dall’assenza di documentazione bancaria che comprovi chi materialmente ha effettuato i prelievi, alla considerazione dell’accredito dei 6000 euro a favore della ricorrente quale compenso per il lavoro svolto.
Al di là della contraddizione tra il ritenere che la donna fosse una “testa di legno” e la previsione di un compenso per un’attività che viene negata, il motivo incorre anche in genericità estrinseca, nel momento in cui non si confronta con la motivazione resa dalla Corte di appello, priva di illogicità manifeste. Ad entrambi i rilievi, infatti, la Corte territoriale ha risposto: per un verso evidenziando che distrazioni sono avvenute in un momento (l’anno 2010) nel quale l’unica persona ad avere la disponibilità del conto era la ricorrente; per altro verso considerando che nessun compenso a suo favore è mai stato deliberato.
Fermo restando che l’inammissibilità del motivo principale comporta l’inammissibilità del motivo nuovo (art. 585, comma 4, cod. proc. pen.; cfr. per tutte Sez. 3, n. 23929 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 282021), è appena il caso di rilevare che, laddove nel primo motivo aggiunto, a sostegno delle argomentazioni sviluppate nel primo motivo originario, la difesa cita verbali di sommarie informazioni dai quali desumere l’erroneità della ricostruzione dei giudici di merito (per esempio, in ordine alla gestione del conto corrente sociale), non adempie all’onere della specificità, né allegando integralmente l’atto che assume travisato né dimostrandone la decisività, ed ancora una volta invita la Corte di cassazione ad una non consentita rilettura delle prove.
Del tutto fuori fuoco è il richiamo giurisprudenziale operato nel primo motivo nuovo: il caso affrontato nella citata Sez. 5, n. 42378 del 13/07/2023 (ric. Ceccio, non massinnata), infatti, riguardava l’assoluta carenza di risposta ad uno specifico motivo di appello che aveva censurato l’illogicità dell’affermazione di responsabilità in capo al gestore di fatto la cui inadeguatezza gestionale ed il cui ruolo di lavoratore subordiNOME nella società fallita erano stati affermati dal primo giudice.
Nel caso di specie, al contrario, i giudici di merito hanno motivato in ordine alla sussistenza di elementi sintomatici di un reale ruolo gestorio in capo alla ricorrente.
Il secondo motivo è anzitutto inammissibile laddove sollecita la rilettura delle dichiarazioni del curatore, senza peraltro alcun confronto con la sentenza di appello nella parte di interesse.
Nel resto, il motivo è manifestamente infondato: del tutto irrilevanti sono le considerazioni in ordine al momento in cui le irregolarità contabili sono state scoperte, come pure quelle relative alla mancata contestazione da parte dell’amministratore che è succeduto alla COGNOME.
Manifestamente infondate sono le ulteriori considerazioni, che peraltro muovono dall’esposizione di un dato non corretto: che, cioè, la condanna per bancarotta documentale si fondi soltanto sulla “fuorviante rappresentazione contabile derivante dall’annotazione ‘anticipi nei confronti dei fornitori – (così il ricorso, a pagina 3).
In realtà, come si legge in entrambe le sentenze di merito, i giudici hanno ritenuto dimostrata la responsabilità della ricorrente sia per l’annotazione nella contabilità, in modo non corrispondente al vero, della voce “anticipi nei confronti dei fornitori” (voce che era stata congegnata per giustificare dal punto di vista contabile uscite di cassa in realtà costituenti distrazioni) sia per le annotazioni delle voci meglio indicate nel capo D: vale a dire fatture, che erano state emesse per ottenere credito bancario, cui corrispondevano note di credito che annullavano le fatture. La sentenza di appello dà atto anche della mancata contabilizzazione delle somme oggetto dell’anticipazione bancaria ottenuta attraverso le citate fatture (pagina 4 della sentenza), come pure dell’impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari che ne è conseguita (ibidem).
La sentenza di primo grado, poi, aggiunge una considerazione in ordine al dolo specifico richiesto per la bancarotta documentale per falsificazione, con riferimento alla prima operazione che è stata appena descritta (quella relativa alla falsa annotazione degli anticipi verso fornitori), evidenziando come la stessa sia stata congegnata per mascherare ripetuti episodi di distrazione (pag. 2 della sentenza di primo grado).
Del resto, come è stato correttamente osservato, «una volta accertati fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, il giudice di merito potrà, del tutto ragionevolmente, ricollegare, sul piano probatorio, la logica presunzione per la quale l’irregolare tenuta delle scritture contabili è, di regola, funzional all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale, ovvero che l’omessa tenuta della contabilità, o le condotte ad essa equivalenti, sia funzionale alla detta dissimulazione di atti depauperativi, allo scopo di arrecare un pregiudizio ai creditori o avvantaggiare il fallito, ovvero terzi» (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677, in motivazione alle pagg. 19-20).
In ogni caso, come è stato correttamente osservato dalla stessa sentenza di legittimità appena citata, «la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale è strutturata come norma incriminatrice mista alternativa, il che significa che la disposizione incriminatrice prevede un unico reato che, tuttavia, può essere commesso con condotte diverse, ma equivalenti, ossia con condotte fungibili» (Sez. 5, n. 15743/2023, cit.). Pertanto, una volta accertata la responsabilità in ordine alla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita – che richiede il solo dolo
generico – diviene superfluo accertare il dolo specifico richiesto per la condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, anch’ess contestata (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, COGNOME, Rv. 271753).
Il dolo generico si configura anche quale rappresentazione della significativa possibilità che il soggetto cui si sia eventualmente consentito di assumere la gestione effettiva della contabilità la alteri, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della società, in assenza del doveroso controllo (cfr. Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021 Rv. 282280).
Anche sotto questo profilo, dunque, la motivazione della sentenza impugnata è esente da rilievi, avendo dato atto non solo della qualità di amministratore formale rivestita dalla COGNOME nel periodo di interesse (cioè r el 2010, anno cui si riferiscono sia i prelievi ingiustificati sia le irregolarità contabili: cfr. sul pagina 4 della sentenza della Corte di appello, dove si chiarisce l’apparente contrasto rispetto al tenore di uno dei capi di imputazione), ma anche dell’esclusiva disponibilità, da parte sua, dei conti correnti bancari nel medesimo periodo. Pertanto, non sussiste alcuna illogicità manifesta nell’aver addebitato all’amministratore formale non solo le distrazioni commesse in quel periodo attraverso i prelievi dal conto, ma anche le relative annotazioni contabili.
E’ appena il caso di ricordare che la mera presenza di un eventuale amministratore di fatto (fermo restando che il travisamento della prova sul punto non è stato ammissibilmente dedotto) non esclude la responsabilità del gestore di diritto, che sussiste «non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma secondo, cod. pen., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di c:ontrollo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita» (Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261814; conf. Sez. 5, n. 11938 del 09/02/2010, COGNOME, Rv. 246897).
4. Manifestamente infondato è l’ultimo motivo.
La circostanza aggravante è stata espressamente contestata, e la ricorrente lamenta in qualche modo la “collocazione” della contestazione (all’interno del capo C anziché in un diverso luogo fisico nel quale si rendesse più evidente la sua riferibilità anche ai fatti di distrazione di cui al capo A). La doglianza non coglie ne segno, tenuto conto che non è nemmeno necessaria la formale contestazione: «in tema di reati fallimentari, la cd. continuazione fallimentare tra più fatti d bancarotta non richiede la formale contestazione dell’art. 219, comma 2, n. 1,
legge fall., in quanto l’utilizzazione dell’istituto si risolve esclusivament nell’applicazione di una disciplina più favorevole di quella che deriverebbe dalle regole generali in tema di determinazione della pena nel caso di pluralità di reati» (Sez. 5, n. 17799 del 01/04/2022, Rizzo, Rv. 283253).
Quanto al rilievo sulle circostanze attenuanti generiche, il motivo è inammissibile per genericità. Come è noto, infatti, «le attenuanti generiche hanno la funzione di adeguare la pena al caso concreto, permettendo la valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non tipizzati ma che appaiono in grado di diminuire la meritevolezza e/o il bisogno di pena. Esse, quindi, presuppongono l’esistenza di elementi “positivi”, intendendo per tali quelli che militano per una diminuzione della pena che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 133 c.p. Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta … Al contrario, è la suindicata meritevolezza, quando se ne affermi l’esistenza, che necessita di apposita motivazione, dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzioNOMErio» (Sez. 2, n. 4145 del 18/10/2019, dep. 2020, Ratto Trabucco, n.m.; Sez. 1, n. 46568 del 18/5/2017, Lamin, Rv. 271315).
L’assenza di elementi positivamente valorizzabili è di per sé sufficiente al diniego delle circostanze attenuanti generiche e, sul punto, il ricorso non fornisce alcuna indicazione, limitandosi a censurare genericamente la decisione della Corte territoriale.
Come si è già accenNOME, l’inammissibilità dei motivi principali comporta in ogni caso l’inammissibilità dei motivi nuovi.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 10/01/2024