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Amministratore di diritto: la responsabilità penale

La Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta a un amministratore di diritto, ritenendolo responsabile per le distrazioni operate dai gestori di fatto. La Corte ha chiarito che la consapevolezza delle attività illecite e l’omessa vigilanza sono sufficienti per configurare il reato, respingendo la tesi del ruolo di mero ‘prestanome’.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

L’Amministratore di Diritto Risponde per Bancarotta: La Tesi del Prestanome Non Basta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale nel diritto penale societario: la responsabilità penale dell’amministratore di diritto non viene meno neanche quando la gestione operativa è affidata a un amministratore di fatto. Anche chi accetta di ricoprire un ruolo puramente formale, come quello di ‘prestanome’, assume doveri di vigilanza e controllo il cui inadempimento può portare a una condanna per bancarotta fraudolenta. Analizziamo questa importante decisione.

Il Contesto del Caso Giudiziario

Il caso esaminato dalla Corte riguardava un imputato condannato in appello per bancarotta fraudolenta distrattiva. Egli aveva ricoperto la carica di amministratore unico di una società consortile e, contemporaneamente, quella di consigliere con delega a operare sui conti correnti di un’altra società cooperativa, entrambe facenti capo al medesimo gruppo e successivamente fallite.

L’accusa contestava la distrazione di ingenti somme di denaro: oltre 370.000 euro dalla prima società tramite anticipi non dovuti e pagamenti per prestazioni inesistenti, e quasi 70.000 euro dalla seconda tramite prelievi ingiustificati.

La difesa sosteneva che l’imputato fosse un mero ‘prestanome’, un consulente che aveva accettato formalmente le cariche senza avere un reale potere decisionale, interamente nelle mani di altri due soggetti, i veri amministratori di fatto. A sostegno di questa tesi, la difesa richiamava anche una precedente assoluzione dell’imputato in un caso analogo relativo a un’altra società dello stesso consorzio.

La Decisione della Corte Suprema

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive, chiarendo i confini della responsabilità dell’amministratore formale.

Irrilevanza della Precedente Assoluzione

In primo luogo, la Corte ha stabilito che la precedente sentenza di assoluzione non era vincolante nel nuovo giudizio. Ogni processo è autonomo e si basa sulle prove raccolte specificamente per i fatti contestati. L’assoluzione in un altro procedimento, seppur relativo a una società collegata, non poteva escludere la responsabilità per condotte diverse e accertate in modo indipendente.

La Natura del Reato di Bancarotta Distrattiva

Un punto centrale della sentenza riguarda la natura stessa del reato di bancarotta. La Corte ha ribadito che si tratta di un ‘reato di pericolo’. Ciò significa che il reato si perfeziona nel momento in cui vengono compiuti gli atti di distrazione del patrimonio sociale, creando un rischio concreto per gli interessi dei creditori. Non è necessario dimostrare un nesso di causalità diretto tra la singola condotta distrattiva e il successivo fallimento. È sufficiente che il fallimento sia poi effettivamente dichiarato.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha ritenuto infondata la tesi del ‘prestanome’ sulla base di diversi elementi che dimostravano la consapevolezza e il coinvolgimento dell’imputato. Non si trattava di una responsabilità oggettiva basata sulla mera carica, ma di una responsabilità colpevole fondata sull’elemento soggettivo del reato.

L’imputato non era un estraneo catapultato nel ruolo: era stato consulente della società per anni e consigliere di amministrazione, quindi era a piena conoscenza della situazione prefallimentare. La sua non era una ‘generica’ inconsapevolezza, ma una ‘condivisione’ del disegno criminoso volto alla spoliazione del patrimonio sociale.

I giudici hanno sottolineato che l’amministratore di diritto ha un preciso obbligo di vigilanza e controllo sull’operato della società, sancito dall’art. 40 del codice penale (‘non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo’). Anche se la gestione è affidata a un amministratore di fatto, l’amministratore formale risponde per non aver impedito gli atti illeciti, a condizione che avesse la generica consapevolezza di tali attività.

Nel caso specifico, tale consapevolezza era provata non solo dal suo ruolo pregresso, ma anche dalla sottoscrizione di un documento di manleva a favore di un altro amministratore e dai prelievi personali ingiustificati dal conto della società cooperativa, che dimostravano un ruolo attivo e non da mero esecutore.

Conclusioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza lancia un monito chiaro: accettare la carica di amministratore, anche solo formalmente, comporta doveri e responsabilità penali precise e non delegabili. La tesi del ‘prestanome’ si rivela spesso inefficace a scagionare l’amministratore di diritto dalla responsabilità per bancarotta, specialmente quando emergono elementi che indicano una sua conoscenza, anche generica, delle irregolarità gestionali. La vigilanza attiva è un dovere imprescindibile, la cui omissione, in presenza di distrazioni da parte di altri, può integrare a tutti gli effetti un concorso nel reato.

Un amministratore di diritto può essere ritenuto responsabile per bancarotta fraudolenta se la gestione effettiva della società è in mano ad altri (amministratori di fatto)?
Sì. La Corte ha stabilito che l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto se, avendo l’obbligo giuridico di impedire l’evento illecito, non lo fa. È sufficiente la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo stia compiendo atti di distrazione ai danni del patrimonio sociale.

Per la condanna per bancarotta fraudolenta distrattiva, è necessario dimostrare che le condotte di distrazione abbiano causato il fallimento della società?
No. La sentenza chiarisce che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è un reato di pericolo. Si perfeziona con il compimento di atti che depauperano il patrimonio dell’impresa, creando un pericolo concreto per i creditori, a prescindere dal fatto che tali atti abbiano direttamente causato il fallimento, essendo sufficiente che quest’ultimo sia effettivamente intervenuto.

Una precedente sentenza di assoluzione per un reato simile, relativo a un’altra società dello stesso gruppo, può essere usata per escludere la colpevolezza in un nuovo processo?
No, non necessariamente. La Corte ha ritenuto irrilevante la precedente assoluzione perché relativa a fatti e società diverse, sebbene riconducibili allo stesso gruppo. Ogni procedimento penale è autonomo e viene deciso sulla base delle prove e delle indagini specifiche di quel caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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