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Alimenti non genuini: condanna per uso di solfiti

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna penale nei confronti del titolare di una macelleria per la vendita di alimenti non genuini, nello specifico carne trita e salsiccia contenenti solfiti non ammessi. La sentenza rigetta la tesi difensiva secondo cui i solfiti derivassero accidentalmente dal vino usato per l’impasto, qualificandola come mera ipotesi non provata. Viene inoltre chiarito che la condotta diligente successiva al reato, come l’introduzione di controlli di qualità, non è sufficiente per ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto, se non è volta a riparare le conseguenze dirette del reato già commesso.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Alimenti non Genuini: la Cassazione Conferma la Condanna del Titolare di Macelleria

La vendita di alimenti non genuini è una questione di massima importanza per la tutela della salute pubblica e la fiducia dei consumatori. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18369 del 2024, ha ribadito la severità della legge in materia, confermando la condanna del titolare di una macelleria per aver commercializzato carne contenente solfiti, un additivo non permesso. Questa decisione offre spunti fondamentali sulla responsabilità del commerciante e sui limiti dell’applicazione della non punibilità per “particolare tenuità del fatto”.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dal controllo effettuato presso una macelleria, dove venivano prelevati campioni di carne trita e salsiccia di bovino. Le analisi rivelavano la presenza di solfiti, additivi vietati per quel tipo di prodotti. Sorprendentemente, il Tribunale di primo grado aveva assolto il titolare per insussistenza del fatto.

Tuttavia, la Corte di Appello ribaltava la decisione, dichiarando l’imputato colpevole del reato previsto dall’art. 516 del codice penale (vendita di sostanze alimentari non genuine). La Corte territoriale lo condannava a 20 giorni di reclusione, riconoscendo le attenuanti generiche ma ritenendo provata la sua responsabilità.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. L’elemento oggettivo del reato: La difesa sosteneva che i solfiti presenti nella salsiccia potessero derivare legittimamente dal vino bianco secco utilizzato nell’impasto, richiamando il “principio del riporto”. Si contestava alla Corte d’Appello di aver liquidato questa tesi come una semplice ipotesi non provata.
2. L’elemento soggettivo (la colpa): Si argomentava che, trattandosi di un’impresa familiare, la responsabilità non potesse essere automaticamente attribuita al titolare, potendo derivare dalla condotta della moglie o del figlio, e che non vi fosse prova della sua consapevolezza.
3. L’entità della pena: La pena era considerata eccessiva, contestando la valutazione della condotta come “particolarmente insidiosa”.
4. La particolare tenuità del fatto: Si chiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., sottolineando che l’imputato era incensurato e che, dopo i fatti, aveva implementato rigidi controlli periodici sulla qualità dei prodotti, dimostrando un comportamento virtuoso.

La Decisione della Cassazione sugli alimenti non genuini

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata pienamente sufficiente e logicamente coerente.

In merito al primo motivo, la Corte ha sottolineato come la tesi del vino contaminante fosse rimasta un’ipotesi sfornita di prove concrete. Ancor più decisivo, secondo i giudici, era l’argomento logico: anche la semplice carne trita, non destinata alla produzione di salsiccia e quindi non mescolata con vino, conteneva solfiti. Ciò smontava completamente la linea difensiva.

Sul piano della responsabilità personale, la Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile. Essere il titolare dell’impresa e svolgere attivamente l’attività di macellaio sono elementi sufficienti a fondare la responsabilità. L’eventuale coinvolgimento di familiari potrebbe, al massimo, configurare un concorso di persone nel reato, ma non certo escludere la colpa del titolare.

La Condotta Successiva al Reato non Giustifica la Tenuità del Fatto

Di particolare interesse è la parte della sentenza che affronta la richiesta di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La difesa aveva valorizzato la condotta post-reato dell’imputato, che aveva istituito controlli volontari e costanti per garantire l’assenza di additivi.

La Cassazione ha chiarito un principio fondamentale: la condotta successiva al reato, per essere rilevante ai fini della tenuità, deve essere diretta alla riparazione del danno, all’eliminazione delle conseguenze o al risarcimento. Le azioni intraprese dall’imputato, seppur lodevoli, erano finalizzate a evitare la commissione di futuri reati analoghi, non a rimediare alle conseguenze dello specifico reato già commesso. Pertanto, tali comportamenti non possono attenuare la gravità del fatto passato al punto da renderlo “tenue” e, di conseguenza, non punibile.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi di logica e di diritto molto solidi. In primo luogo, ha stabilito che le ipotesi difensive, per essere credibili, devono essere supportate da prove concrete e non possono essere smentite da evidenze logiche contrarie, come la presenza dell’additivo anche in prodotti non lavorati. In secondo luogo, ha riaffermato la piena responsabilità del titolare di un’impresa alimentare per la genuinità dei prodotti venduti, un dovere che non può essere delegato o ignorato. Infine, ha fornito una interpretazione restrittiva e rigorosa della “particolare tenuità del fatto” in relazione alla condotta successiva, specificando che solo le azioni riparatorie dello specifico illecito possono essere considerate, e non un generico miglioramento delle pratiche commerciali future.

Conclusioni

Questa sentenza è un monito per tutti gli operatori del settore alimentare. La responsabilità per la vendita di alimenti non genuini è personale e non ammette scusanti basate su mere ipotesi o sulla struttura familiare dell’impresa. La Corte Suprema ha rafforzato il principio secondo cui la diligenza non è solo un’opzione, ma un obbligo. Inoltre, ha chiarito che, una volta commesso il reato, le buone intenzioni per il futuro non sono sufficienti a cancellare la gravità del fatto passato, a meno che non si traducano in un’effettiva e concreta riparazione del danno causato.

L’uso di un ingrediente che contiene legalmente un additivo, come il vino con solfiti, giustifica la presenza dello stesso additivo nel prodotto finale, come una salsiccia?
No, non automaticamente. Secondo la Corte, questa è un’ipotesi difensiva che deve essere concretamente provata. Nel caso specifico, è stata ritenuta un’ipotesi non dimostrata, soprattutto perché anche altra carne non destinata alla produzione di salsiccia conteneva l’additivo non ammesso, smentendo la tesi della contaminazione tramite vino.

Il titolare di un’impresa familiare è sempre responsabile per i reati commessi nell’ambito dell’attività?
Sì, la Corte ha stabilito che la qualifica di titolare e lo svolgimento effettivo dell’attività sono sufficienti a fondare la sua responsabilità penale. L’eventuale partecipazione di altri familiari alla gestione non esclude la sua colpa, ma potrebbe al massimo configurare un concorso di persone nel reato.

Adottare comportamenti virtuosi dopo aver commesso il reato, come implementare controlli di qualità, può portare alla non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Non necessariamente. La Cassazione ha chiarito che i comportamenti successivi rilevanti ai fini della tenuità sono quelli diretti a riparare le conseguenze dello specifico reato commesso (es. risarcimento del danno). Adottare misure per evitare reati simili in futuro, sebbene lodevole, non è considerato un’azione riparatoria del fatto già accaduto e quindi non è sufficiente, da solo, a renderlo “tenue”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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