Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10104 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10104 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato in Germania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/10/2023 del Tribunale della libertà di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO del foro di Lecce, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale cautelare di Lecce ha rigettato l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso dalla Corte di appello di Lecco in data 29 settembre 2023, il quale, ai sensi dell’art. 276 cod. proc. pen., aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 390 del 1990.
Avverso l’indicata ordinanza, l’indagato, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 292, comma 1, lett. c-bis), 276 cod. proc. Rappresenta il difensore che, nel caso di specie, si sarebbe in presenza, al più, della violazione degli obblighi connessi all’attività lavorativa posto che l’indagato era autorizzato ad allontanarsi dall’abitazione per recarsi al lavoro; di conseguenza, il Tribunale avrebbe errato nel ravvisare l’ipotesi di cui al comma 1-ter dell’art. 276 cod. proc. pen., che considera la violazione del divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, in quanto la fattispecie sarebbe sussumibile nel comma 1 del medesimo articolo. A causa dell’errata individuazione e conseguente applicazione della norma, il Tribunale cautelare ha perciò omesso di valutare l’entità, i motivi e le circostanze dell’asserita violazione, che costituiscon il perimetro valutativo richiesto dall’art. 276, comma 1, cod. proc. pen., e nemmeno si è confrontato con i motivi dedotti con l’appello.
2.2. Con un secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 292, comma 1, lett. c-bis), 276 cod. proc. Sotto altro profilo, ad avviso del difensore, il Tribunale cautelare non ha operato una corretta valutazione della lieve entità della trasgressione, considerata dal comma 1 dell’art. 276 cod. proc. pen., requisito che è meno stringente rispetto a quello previsto dal comma 1-ter.
2.3. Con un terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 292, comma 1, lett. c-bis), 276 cod. proc. e 6 CEDU. Espone il difensore che, in ogni caso, il Tribunale ha omesso di confrontarsi con le censure addotte con i motivi di appello, specie in relazione alla legittimità della condotta tenuta dall’imputato alla stregua dell’ampia autorizzazione del 28 marzo 2023 e delle concrete circostanze di fatto e alle prove offerte dalla difesa, in quanto il COGNOME, all’atto del controllo, stava esercitando propria attività lavorativa, che prevede anche lo svolgimento di una serie di attività propedeutiche ed esecutive dei manufatti in metallo realizzati in laboratorio.
Aggiunge il difensore che il Tribunale avrebbe travisato quanto riferito dal COGNOME, il quale, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale medesimo, avrebbe dichiarato che si trovava insieme al COGNOME per motivi di lavoro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo strettamente collegati, è infondato.
Da quanto emerge dall’ordinanza impugnata, il COGNOME, che si trovava in regime di arresti domiciliari in relazione ai delitti di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R 390 del 1990, era stato autorizzato a svolgere attività lavorativa dalle ore 7.00 alle ore 20.30 presso la ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE” sita in Ugento; il 13 settembre 2023 l’imputato fu fermato a controllato in Taurisano, a bordo di un’autovettura unitamente ad NOME COGNOME, soggetto con precedenti di polizia per rissa e lesioni.
Come ritenuto dalla Corte di appello – che, in data 26 novembre 2011, ha sostituito la misura degli arresti domiciliari con la custodia in carcere ai sens dell’art. 276 cod. proc. pen. – non risultava che vi fosse né un cantiere della ditta RAGIONE_SOCIALE in Taurisano, né un contratto con soggetti residenti in quel comune, tanto meno con il COGNOME, posto che nell’istanza di autorizzazione originaria si specificava che il prossimo incarico della ditta si sarebbe svolto presso un’abitazione sita in Taviano.
Oltre a ciò, la Corte d’appello evidenziava che la giustificazione fornita dal COGNOME e dal COGNOME all’atto del controllo era mendace, non solo perché non vi era alcun elemento in base al quale ritenere che i due si trovassero a Taurisano per motivi di lavoro, ma anche perché le due versioni resi dagli interessati nemmeno collimavano.
Ciò posto, ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata, ancorché abbia erroneamente evocato l’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., sia immune dai vizi denunciati.
Se è vero, infatti, che, come rilevato dal difensore, la violazione ascritta al COGNOME rientra nella previsione del comma 1 dell’art. 276 cod. proc. pen. – essendosi realizzata la trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare e non di quelle concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altr luogo di privata dimora, per l’evidente ragione che l’imputato era stato autorizzato ad allontanarsi del luogo degli arresti domiciliari per svolgere attività lavorativa nondimeno l’ordinanza impugnata, nella sostanza, ha correttamente accertato i
presupposti che legittimano l’aggravamento dalla misura secondo i criteri indicati dal comma 1 dell’art. 276 cod. proc. pen.
Al riguardo, giova rammentare che, in tema di aggravamento delle misure cautelari, rientra tra i poteri discrezionali del giudice la sostituzione della misu in atto con una più grave, quale che sia la prescrizione violata, previa verifica di una condotta di trasgressione che presenti caratteri rivelatori della sopravvenuta inadeguatezza della misura in corso a fronteggiare le inalterate esigenze cautelari (Sez. 6, n. 58435 del 04/12/2018, DCOGNOMEalbenzio, Rv. 275040); la previsione di cui all’art. 276 cod. proc. pen. – nel prevedere la sostituzione o il cumulo della misura cautelare già disposta con altra più grave, nel caso di trasgressione alle prescrizioni imposte – attribuisce al giudice un potere discrezionale che deve essere esercitato mediante la valutazione della gravità e delle circostanze della violazione al fine di verificare se la trasgressione abbia reso manifesta l’inidoneità della misura in atto a salvaguardare le esigenze cautelari (Sez. 5, n. 3175 del 08/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275260).
Il giudizio sulla gravità della condotta trasgressiva è riservato al giudice del merito e, ove fornito di adeguata, corretta e logica motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 36060 del 09/10/2020, Haudari, Rv. 280036).
Ciò posto, l’ordinanza impugnata, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, ha correttamente valutato l’entità, i motivi e le circostanze della violazione, tali da giustifi l’aggravamento della misura cautelare, evidenziando che il COGNOME non era autorizzato a girare per il comune di Taurisano allo scopo di visionare gli infissi di altre abitazioni.
Il Tribunale, inoltre – misurandosi con i motivi di appello -, per un verso ha ritenuto la falsità del contratto datato 21 gennaio 2023 esibito alla polizia a momento del controllo, con il quale il COGNOME affidava l’incarico al COGNOME di sostituire i serramenti, non solo per distanza temporale tra la data del contratto e il momento del controllo, ma soprattutto perché il COGNOME, nell’immediatezza, aveva riferito di avere conosciuto il COGNOME solo da qualche mese, e quindi prima dell’estate, senza fare alcuna menzione di incarichi lavorativi che, addirittura, sarabbero stati affidati nel mese di gennaio, quanto il COGNOME medesimo, per sua stessa ammissione, nemmeno conosceva il ricorrente, falsità avallata dalla diversità della firma del COGNOME rispetto a quella apposta sulla sua carta di identità; per altro verso, ha ritenuto pure falsa la dichiarazione resa il 5 ottobre 2023, nella quale, rettificando la versione fornita al momento del controllo, il COGNOME asseriva di aver dato incarico al COGNOME di sostituire gi infissi nel gennaio 2023, ma di non aver dato poi seguito
alla richiesta per problemi economici, falsità corroborata, oltretutto, dalla non autenticità della sottoscrizione apposta in calce a tale dichiarazione, la quale come ritenuto dal Tribunale – anche in tal caso risulta palesemente diversa da quella apposta dal COGNOME sulla propria carta di identità.
Ancora, il Tribunale ha messo in luce la discordanza delle spiegazioni fornite dagli interessati all’atto del controllo, avendo il COGNOME riferito di trovarsi a Tauri perché il COGNOME gli voleva mostrare gli infissi di alcune abitazioni, mentre il COGNOME dichiarato che non erano riusciti a trovare l’abitazione di interesse.
Alle luce di tali risultanze, all’esito di una valutazione globale dell’entità d motivi e delle circostanze della violazione – ossia che l’imputato, trasgredendo l’autorizzazione accordatagli, era stato sorpreso mentre girava in auto con un falso contratto per giustificare i suoi allontanamenti dal proprio domicilio – violazione che evidentemente è connotata da dolo, in vista dalla precostituzione di un’apparentemente legittima prova documentale -, il Tribunale ha perciò ritenuto tale comportamento, in maniera certamente non implausibile sul piano logico, connotato da un forte disvalore, tale quindi da rendere la misura custodiale in carcere l’unica a preservare le esigenze cautelari.
A fronte di tale motivazione, i motivi dedotti tesi a sastenere, in diversa ottica, la liceità della condotta o, quantomeno, la lievità della trasgressione, attengono a profili ricostruttivi del fatto, che esulano dalla previsione di cui all’a 606 cod. proc. pen.
Per i motivi indicati, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 22/02/2024.