Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14580 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14580 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BOLOGNA il 23/05/1989
avverso l’ordinanza del 11/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale
ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
I
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza resa in data 11 ottobre 2024, il Tribunale del riesame di Bologna ha rigettato l’appello proposto, ex art. 310 cod. proc. pen., nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento della Corte d’appello del 12 settembre 2024, avente a oggetto l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in sostituzione di quella – già in atto e disposta in relazione a diversi episodi di concorso in furto aggravato, furto in abitazione e di resistenza a pubblico ufficiale – di cui all’art. 282 cod. proc. pen. Nell’impugnata ordinanza è chiarito che tale ultima misura, disposta in data 12 maggio 2023, aveva sostituito quella gli arresti domiciliari (del 16 febbraio 2022), a sua volta sostitutiva dell’originaria misura della custodia cautelare in carcere. Il 3 giugno 2024 è intervenuta sentenza di condanna, in primo grado, per i reati prima indicati. La sostituzione della misura di cui all’art. 282 con quella della custodia cautelare in carcere, adottata dalla Corte d’appello ex art. 299, comma 4, cod. proc. pen. e oggetto del presente ricorso, è conseguita alla denuncia querela da parte di NOME COGNOME, datore di lavoro del COGNOME, in ordine a più fatti ritenuti integranti il delitto d’estorsione, verificatisi a partire dal gennaio 2024.
2. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si duole di violazione di legge, in relazione agli artt. 273, comma 1, 279, 294, comma 1 e 299, comma 4, cod. proc. pen.
Premette la difesa che il ricorrente è stato sottoposto, a far data dal novembre 2021, a misure cautelari per fatti di furto aggravato; la sostituzione della misura in atto con quella, più afflittiva, della custodia cautelare in carcere sarebbe illegittima, in quanto disposta non già a causa di violazioni delle prescrizioni imposte con le originarie misure cautelari, o per fatti connessi alle stesse, bensì in relazione a un fatto nuovo (estorsione) e del tutto avulso rispetto ai fatti per cui si procede. Il disposto aggravamento della misura cautelare implicherebbe violazione del diritto di difesa e, in particolare, delle garanzie di cui all’art. 294 del codice di rito, posto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’imputato, colpito da ordinanza di aggravamento, non ha diritto all’interrogatorio di garanzia e, quindi, è deprivato del diritto al contraddittorio sulle nuove accuse.
L’ulteriore violazione del diritto di difesa deriva dal comb. disp. degli artt. 299, comma 4, e 273, comma 1, cod. proc. pen., non richiedendo la prima delle citate disposizioni un giudizio di gravità indiziaria, ma unicamente una valutazione sull’entità delle esigenze cautelari. Ne consegue violazione dell’art. 3 Cost., attesa
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la disparità di trattamento tra il soggetto libero e colui che sia già sottoposto a misura cautelare.
Sono state trasmesse a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dell’interpretazione in tema di circostanze valutabili in sede di aggravamento della misura; b) memoria di replica, nell’interesse dell’imputato, alle conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale.
Considerato in diritto
L’unico motivo di ricorso è infondato in tutte le declinazioni, come si procede a illustrare.
Vi è un equivoco di fondo, che percorre l’intero motivo, relativo ai diversi presupposti su cui si basa la disciplina delle ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari prevista, da un lato, dall’art. 276 e, dall’altro, dall’art. 299, comma 4, del codice di rito. La questione è perfettamente tematizzata nell’impugnata ordinanza, nel punto in cui il Tribunale del riesame, esponendo le ragioni del proprio “competo dissenso” circa il primo motivo d’appello, traccia la distinzione tra l’aggravamento dell’assetto cautelare a causa di trasgressioni alle prescrizioni già imposte (art. 276 cod. proc. pen.) e quello disposto ai sensi dell’art. 299, comma 4, del codice di rito (quale invocato dalla Corte d’appello nel disporre l’aggravamento della misura cautelare).
L’aggravamento motivato da trasgressioni alle prescrizioni imposte (art. 276 cod. proc. pen.) – ha osservato il Tribunale – soggiace a principi suoi propri, che non vengono in rilevo nel caso di specie: la Corte d’appello di Bologna, nel disporre la misura della custodia cautelare in carcere, ha infatti ravvisato un aggravarsi delle esigenze cautelari a causa di fatti (ritenuti integranti il delitto d’estorsione) sintomatici di un più intenso livello di pericolosità e, ciò, a prescindere dal comportamento tenuto dal ricorrente in relazione alla misura cui è già sottoposto. Né può sostenersi – ha poi osservato correttamente il Collegio del riesame – che l’aggravamento del quadro cautelare possa dipendere esclusivamente da nuovi reati connessi o collegati con il procedimento nel quale è stata disposta la prima misura, non trovando tale assunto fondamento alcuno né nella lettera dell’art. 299, comma 4, cod. proc. pen., né nell’interpretazione fornita, sul punto dalla giurisprudenza di legittimità.
A tal proposito, gioverà ribadire che «in tema di sostituzione e revoca delle misure cautelari coercitive, il presupposto per l’aggravamento della misura non è
la violazione delle prescrizioni, bensì la necessità di adeguare lo “status libertatis” alla eventuale sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravata l’esigenza cautelare di cui all’art. 274 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 4, n. 25008 del 15/01/2007, Granata, Rv. 237001). Questa posizione ermeneutica discende dal fatto che la disciplina prevista dall’art. 299, comma 4, cod. proc. pen. si richiama al principio rebus sic stantibus, in base al quale lo status libertatis del prevenuto deve necessariamente essere adeguato alle vicende fattuali e processuali che intervengono nel corso del procedimento. In questo caso, l’art. 299, comma 4, cod. proc. pen. consente al giudice di sostituire, a richiesta del pubblico ministero, la misura in esecuzione con altra più grave ovvero con modalità più gravose, sul presupposto che siano intervenute circostanze tali da fare ritenere aggravate le esigenze di cui all’art. 274 cod. proc. pen., costituite da elementi fattuali non presi in considerazione, perché non ancora verificatisi, ovvero non accertati o esaminati nelle precedenti decisioni inerenti la libertà del soggetto interessato» (Sez. 1, n. 3285 del 21/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265726 – 01, in motivazione. Corsivi nostri).
Nell’analizzare le specificità della vicenda cautelare in esame, il Collegio del riesame ha poi disatteso, con ulteriori argomenti conformi al diritto ed esenti da vizi di logicità, la tesi difensiva. In motivazione, si è, infatti, evidenziato che l condotte tenute dal COGNOME nei confronti del denunciante (e del di lui padre), analiticamente descritte nel provvedimento impugnato, sono indicative di una “spiccata ingravescenza del pericolo di reiterazione delittuosa” (pericolo, peraltro, attinente sempre a reati contro il patrimonio, qual è l’estorsione, vale a dire il delitto per cui si è aggravata la misura). In quelle condotte, il Tribunale ha correttamente individuato un “ulteriore e attuale concretizzazione del rischio di recidiva, evidentemente non neutralizzato né dalla pendenza del presente procedimento né dalla stessa attuale sottoposizione dell’imputato a blanda misura custodiale”. In disparte l’evidenziata afferenza di tutte le condotte (ante 2021: reati di furto e post 2024: estorsione) a reati contro il patrimonio, deve senz’altro ribadirsi il principio secondo cui «l’applicazione dell’art. 299, comma 4 cod. proc. pen., che prevede, nel caso di aggravamento delle esigenze cautelari, la sostituzione “in peius” della misura applicata ovvero l’inasprimento delle modalità di applicazione può dipendere anche da fatti non direttamente collegati alla condotta attuale del soggetto nei confronti del quale la misura è applicata» (Sez. 5, n. 3175 del 08/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275260 – 01; cfr. anche Sez. F, n. 33478 del 18/08/2009, COGNOME, Rv. 245184 – 01: «i precedenti giudiziari, costituiti da contestazione di condotte criminose in altro procedimento, ben possono rivelare l’aggravamento delle esigenze cautelari, che giustifica la sostituzione “in peius” della misura applicata ovvero l’inasprimento delle modalità
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di applicazione, a prescindere dal comportamento tenuto dall’indagato in relazione alla cautela cui è già sottoposto»).
Tanto premesso circa l’infondatezza della tesi difensiva secondo cui la sostituzione della misura in atto con quella, più afflittiva, della custodia sarebbe illegittima, in quanto disposta non già a causa di violazioni delle prescrizioni imposte con le originarie misure cautelari, o per fatti connessi alle stesse, bensì in relazione a un fatto nuovo e del tutto avulso rispetto ai fatti per cui si procede, vanno adesso esaminate le ragioni dell’infondatezza delle censure vertenti sull’interrogatorio di garanzia.
Come osservato dal ricorrente stesso, costituisce consolidato principio di diritto quello secondo il quale il giudice che disponga la sostituzione della misura in corso di esecuzione con quella della custodia in carcere, a causa dell’aggravamento delle esigenze cautelari, «non è tenuto a procedere ad un nuovo interrogatorio di garanzia dell’imputato, richiesto solo in caso di prima applicazione della misura» (Sez. 3, n. 16623 del 20/04/2022, F. Rv. 283068 – 01; Sez. U, n. 18190 del 22/01/2009, La Mari, Rv. 243028 – 01: «in tema di misure cautelari personali, qualora la custodia venga disposta dopo la sentenza di condanna, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia dell’imputato»).
In particolare, la giurisprudenza di legittimità (v. Sez. 6, n. 41025 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 245027), ha posto in evidenza come l’esecuzione dell’interrogatorio di garanzia in occasione della sostituzione della misura cautelare in corso di esecuzione con altra più grave non sia adempimento richiesto dall’art. 299, comma 4, cod. proc. pen. Si è inoltre ricordato come anche le Sezioni Unite abbiano incidentalmente convalidato tale principio, risolvendo negli stessi termini l’analoga questione relativa all’ipotesi di cui all’art. 276 cod. proc. pen. di aggravamento della misura cautelare in seguito alla trasgressione delle prescrizioni imposte (Sez. Un. n. 4932 del 18/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv 242028). Il principio affermato dalla citata sentenza “Spano” è stato poi ripreso da Sez. 6, n. 7460 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269056; esso era stato, invero, anche preceduto da un orientamento già manifestatosi nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 42696 del 26/06/2007, COGNOME, Rv. 237695), la quale, oltre a valorizzare l’assenza di indicazioni testuali che, in seno al quarto comma dell’art. 299 cod. proc. pen., impongano di procedere all’interrogatorio, aveva evidenziato anche la funzione assegnata dalla legge processuale all’interrogatorio di garanzia nella fase specifica dell’instaurazione del rapporto cautelare. A tal riguardo, si era sottolineata la non assimilabilità a tale fase della situazione conseguente all’aggravamento del regime cautelare, come peraltro dimostrerebbe la diversa disciplina dell’impugnazione dettata, rispettivamente, per il provvedimento
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genetico della misura e per quello con cui si è proceduto alla sua sostituzione.
nello stesso senso, ricorrendo alle medesime argomentazioni, si era pronunziata successivamente anche Sez. 3, n. 46087 del 18/11/2008, Lofti, Rv. 241777 (per
la sintesi, qui proposta, degli orientamenti giurisprudenziali, v. Sez. 3, n. 16623
Rv. 283068 – 01, cit., in motivazione). Ne deriva, come del 20/04/2022,
F., anticipato, l’infondatezza della doglianza vertente sull’interrogatorio di garanzia.
2. Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19/02/2025
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