Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15923 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15923 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato a Vibo Valentia il 25/01/1986 avverso l’ordinanza del 26/11/2024 del Tribunale di Catanzaro Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la infondatezza del ricorso; letta la memoria trasmessa dalla difesa di NOMECOGNOME con la quale è stata chiesta la conferma della decisione impugnata
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per più fatti di reato tra i quali anche quello punito dall’ad 416 bis cod. pen.
Interposto riesame, gli venivano applicati gli arresti dorniciliari per la riscontrata insussistenza della gravità indiziaria relativamente alla imputazione associativa, confermata,di contro, per gli altri titoli apprezzati dall’originaria richiesta cautelare (cap N6 e W6, quest’ultimo a sua volta epurato dal riferimento all’aggravante di cui all’ad 416 bis.1 cod. pen.).
Successivamente, nel corso del medesimo procedimento, NOME veniva nuovamente ristretto in carcere in riferimento ad altro titolo di reato, quello inerente al capo Ali); misura, quest’ultima, successivamente sostituita nuovamente con gli arresti domiciliari. Nel frattempo, veniva altresì dichiarata la sopravvenuta inefficacia della misura originaria per i capi N6) e W6) per la decorrenza dei relativi termini di durata massima del vincolo.
Con sentenza del 20 novembre 2023 COGNOME è stato condannato per più fatti di reato alla pena di anni 21 di reclusione, di cui anni 18 riferiti alla contestazione associativa e il resto ai diversi reati satellite allo stesso ascritti (Capi N6, W6, A11, D11, F11, G11, X11).
In considerazione di tale condanna, la Procura competente instava per l’aggravamento della misura in atto e la relativa richiesta veniva rigettata dal Tribunale di Vibo Valentia.
Proposto appello ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale di Catanzaro con l’ordinanza descritta in epigrafe ha rigettato il gravame.
2.Propone ricorso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e lamenta violazione di legge e vizio di motivazione perché nel definire il gravame i giudici dell’appello cautelare non avrebbero considerato:
la doppia presunzione di legge imposta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. in ragione della intervenuta condanna per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen che imponeva l’adozione della misura di maggior rigore;
il difetto di motivazione quanto alla sussistenza di eccezionali esigenze cautelari considerata la radicata intraneità del ricorrente, cristallizzata dalla sentenza di condanna e l’assenza di segni di rescissione dal vincolo;
l’inconferente riferimento alla lunga durata dei successivi sviluppi processuali prima della definizione del giudizio e alla possibilità che la posizione dell’indagato possa subire una evoluzione positiva nei successivi gradi di giudizio a sostegno della ritenuta insussistenza di esigenze destinate a giustificare la misura più rigorosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile per le ragioni precisate di seguito.
2.Giova premettere che il tenore letterale della originaria istanza proposta al Tribunale di Vibo Valentia /come anche dell’appello definito dalla decisione gravata da ricorso non facevano alcun riferimento espresso alla condanna del ricorrente anche per l’ipotesi associativa, risultando evocati, di contro, gli altri titoli di reato pure post fondamento della pena irrogata nei confronti di Romano con la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia richiamata in narrativa.
Va altresì ribadito che la detta istanza e in coerenza l’appello miravano ad un aggravamento della misura degli arresti in atto applicata a Romano; e che, per quanto
premesso in fatto, avuto riguardo ai fatti coperti dalla regiudicanda che occupa, allo stato detta misura risulta applicata per un reato (il capo A 11) diverso dalla partecipazione
b15 GLYPH
all’associazione ex ad 416 cod. pen. descritta dal capo A) dell’imputazione mossa nel
(. 73,
GLYPH
e
processo che occupa.
3. Tali premesse rendono evidente la manifesta incongruenza logica che connota il ricorso che occupa.
Muovendo dalla cornice privilegiata dall’ufficio ricorrente – quella, come detto, dell’aggravamento di una misura in atto; emerge l’immediata distonia tra l’impostazione
che informa l’odierna impugnazione – ora tutta fondata sulle ricadute di matrice cautelare che assertivamente nel caso dovrebbero derivare dalla condanna per il fatto associativo-
e il titolo di reato che attualmente legittima l’intervento cautelare adottato in danno di
COGNOME per i fatti oggetto del processo in questione.
Si sollecita, infatti, l’aggravamento facendo leva su una condanna relativa ad un titolo di reato diverso da quello che giustifica la misura, allo stato non considerato nel valutare il relativo assetto cautelare; né si precisa per quale ragione la detta condanna dovrebbe rendere ingravescenti le esigenze da cautelare, sempre e comunque unicamente rapportabili all’unico titolo che legittima la misura.
È di tutta evidenza, infine, che la situazione ora rappresentata dall’Ufficio ricorrente con il ricorso che occupa avrebbe potuto assumere altre prospettive se indirizzata verso la concessione di una nuova misura, giustificata, ex art. 275, comma 1 bis cod. proc. pen. proprio alla luce della condanna per il reato associativo resa nei confronti di NOMECOGNOME estraneo all’intervento cautelare in atto; condanna destinata a superare la preclusione legata all’annullamento della misura genetica per la ritenuta insussistenza della gravità indiziaria.
Il tenore inequivoco della originaria istanza, vieppiù validato anche dall’impostazione datata ai successivi atti di impugnazione, impediva, tuttavia, a monte qualsiasi possibile diversa qualificazione da parte dei giudici del merito.
Da qui la decisione di cui al dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 28/02/2025.