Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18728 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18728 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 23/04/2025
R.G.N. 8321/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME natoin Albania il 10/06/1980 avverso l’ordinanza del 06/02/2025 del Tribunale del riesame di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore: L’avv. COGNOME NOME del Foro di Roma, in qualità di sostituto processuale dell’avv. COGNOME NOME del Foro di Roma per delega orale, in difesa di RAGIONE_SOCIALE, conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 06 febbraio 2025 il Tribunale del riesame di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, ha applicato a Agim RAGIONE_SOCIALE la misura cautelare della custodia in carcere, al posto di quella degli arresti domiciliari applicata in data 02 luglio 2024 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, quale indagato per i delitti di tentato omicidio in danno di NOME COGNOME e di porto illegale di arma da sparo, commessi in data 21/10/2023 colpendo la vittima con numerosi colpi della pistola illegalmente detenuta e portata in pubblico.
Il Tribunale ha dato atto che in data 24 settembre 2024 il g.i.p. aveva autorizzato l’imputato ad allontanarsi dal domicilio per sei ore al giorno per svolgere l’attività di venditore di auto tramite la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE società che aveva sottoscritto un contratto di collaborazione con la società RAGIONE_SOCIALE di cui era legale rappresentante tale NOME COGNOME ma che dagli accertamenti successivamente svolti dal pubblico ministero il contratto di collaborazione risultava falso e non firmato dalla COGNOME, il cui figlio, unitamente ai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, affermava anche di non essersi avvalso dell’imputato e di non avere mai visto nella sua carrozzeria questi o altri soggetti di nazionalità albanese. Il g.i.p. non aveva accolto la richiesta di
aggravamento della misura cautelare, avanzata dal pubblico ministero a seguito di tali accertamenti, e si era limitato a revocare l’autorizzazione concessa al COGNOME ad allontanarsi dagli arresti domiciliari per svolgere l’indicata attività lavorativa. Il pubblico ministero aveva impugnato tale provvedimento, deducendo che il g.i.p. non aveva motivato il diniego dell’aggravamento, nØ aveva valutato le gravi violazioni commesse dall’imputato.
Il Tribunale ha ritenuto che il g.i.p. ha implicitamente rigettato la richiesta di aggravamento della misura cautelare, ma non ha motivato tale decisione, nØ si Ł confrontato con gli esiti dell’attività di indagine, benchØ li abbia palesemente ritenuti fondati, avendo sulla base di questi revocato l’autorizzazione a svolgere attività lavorativa. Il Tribunale ha, quindi, ritenuto fondata e accoglibile la richiesta di aggravamento della misura stessa, dal momento che da quelle indagini risulta che l’imputato ha ottenuto l’autorizzazione sulla base di documenti falsi, che non ha mai svolto l’attività lavorativa autorizzata, e che si Ł allontanato dal luogo degli arresti domiciliari non per recarsi nella sede lavorativa, ma per compiere azioni o recarsi in luoghi mai accertati, e da lui non riferiti, così violando gravemente e ripetutamente le prescrizioni legate alla misura cautelare applicatagli. Dalla condotta tenuta dall’imputato il Tribunale ha dedotto non solo la ipotizzabile commissione del reato di evasione e la totale inaffidabilità del soggetto, ma anche la dimostrazione di un aggravamento delle esigenze cautelari, che ha ritenuto non poter piø essere soddisfatte dalla misura cautelare in atto; ha, infatti, giustificato l’aggravamento della misura cautelare non solo ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., secondo cui tale aggravamento Ł obbligatorio, ma anche ai sensi dell’art. 299, comma 4, cod. proc. pen.
Il Tribunale ha inoltre ritenuto le tesi difensive inidonee a contrastare tali valutazioni. L’asserita ignoranza, da parte dell’imputato, della falsità del contratto di comodato non Ł plausibile ed Ł comunque irrilevante, non essendosi egli, in ogni caso, mai recato a lavorare all’indirizzo indicato; la prova di quest’ultima violazione Ł sufficientemente ricavata dalle dichiarazioni del titolare della carrozzeria situata a quell’indirizzo e da quelle dei suoi dipendenti, non avendo l’imputato sostenuto una loro falsità, ed essendo tali dichiarazioni riscontrate dal fatto che in data 25/10/2024 la polizia giudiziaria non trovò lì presente il ricorrente, nonostante la sua diversa dichiarazione resa per telefono agli operanti stessi. Non Ł stata fornita, poi, la prova di un’attività di vendita di auto effettivamente svolta, nØ sarebbe rilevante la prova di averla svolta fuori dai locali indicati, essendo stato l’imputato autorizzato a lavorare solo permanendo stabilmente in detti locali.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione
L’ordinanza non tiene conto del fatto che il g.i.p., nel non aggravare la misura cautelare come richiesto dal pubblico ministero, ha palesemente manifestato la volontà di mantenere la misura degli arresti domiciliari, implicitamente valutando la lieve entità della violazione commessa. La contestata violazione, in realtà, Ł dimostrata nell’unica occasione del giorno 25/10/2024, non avendo la polizia giudiziaria mai effettuato controlli in precedenza, e mancando quindi riscontri alle dichiarazioni del titolare della carrozzeria e dei suoi dipendenti. Tale violazione, quindi, Ł stata episodica e occasionale. La motivazione del Tribunale del riesame, perciò, Ł illogica, stante anche il tempo ormai trascorso dalla violazione stessa.
L’ordinanza impugnata non tiene conto degli altri elementi evidentemente tenuti presente dal g.i.p. nel non accogliere l’istanza di aggravamento della misura, come il fatto che il ricorrente sia estraneo a contesti di criminalità organizzata, non abbia commesso violazioni nel periodo trascorso in libertà, prima dell’applicazione della misura, e che anche dopo tale applicazione, fino alla concessione dell’autorizzazione contestata, egli si sia attenuto rigorosamente alle prescrizioni. Ad oggi non sussistono piø esigenze cautelari, sia quanto al pericolo di inquinamento probatorio, sia
quanto al pericolo di fuga, sia quanto al pericolo di reiterazione dei reati.
L’ordinanza, inoltre, non tiene conto del fatto che, nel dibattimento in corso per i delitti ascritti, la persona offesa non si Ł presentata, non si Ł costituita parte civile, nØ ha mai indicato il ricorrente come l’autore del fatto.
Il Procuratore generale, nella discussione orale, ha chiesto il rigetto del ricorso, riportandosi alla memoria scritta già depositata
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per la sua manifesta infondatezza e la mancanza di specificità.
La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che «L’impugnazione Ł inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità» (Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Rv. 236945).
Il ricorso presenta tale vizio, in quanto non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata, ed in particolare con la valutazione della obbligatorietà dell’aggravamento della misura ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., avendo il ricorrente violato la prescrizione concernente il divieto di allontanamento dall’abitazione ove era detenuto agli arresti domiciliari: l’ordinanza ha motivato dettagliatamente che, essendo egli autorizzato ad allontanarsene solo per recarsi a lavorare nei locali posti in INDIRIZZO, ogni allontanamento per dirigersi in altri luoghi costituisce una evasione. Il ricorrente stesso ammette di non avere rispettato tale prescrizione quanto meno il giorno 25/10/2024, senza peraltro spiegare le ragioni di tale violazione e senza indicare il diverso luogo in cui si Ł recato, per cui non vi sono dubbi circa la correttezza della decisione del Tribunale di disporre l’aggravamento previsto dalla norma citata, avendo anche escluso la lieve entità del fatto integrante la trasgressione.
La valutazione della non lieve entità della condotta, ed anzi della sua rilevante gravità, Ł logica e non contraddittoria, in quanto fondata sul complesso delle indagini svolte dalla polizia che, attraverso le dichiarazioni del titolare della carrozzeria e dei suoi dipendenti, ha accertato che il ricorrente non si Ł mai recato in quel luogo di lavoro, pur allontanandosi dalla propria abitazione nei giorni e negli orari previsti dall’autorizzazione, e che addirittura Ł falsa la documentazione da lui presentata per ottenere tale autorizzazione.
L’adeguatezza della motivazione in merito alla gravità delle violazioni perpetrate, ritenute tali da imporre l’aggravamento della misura non solo ai sensi dell’art. 276, comma 1-bis, cod. proc. pen., ma anche ai sensi dell’art. 299, comma 4, cod. proc. pen., in quanto dimostrative della totale inaffidabilità del soggetto e della insufficienza della misura degli arresti domiciliari per evitare il pericolo di commissione di nuovi reati, sottrae l’ordinanza alla censura da parte del giudice di legittimità, dal momento che «In tema di aggravamento delle misure cautelari per la violazione alle prescrizioni imposte, il giudizio sulla gravità della condotta trasgressiva Ł riservato al giudice del merito e, ove fornito di adeguata, corretta e logica motivazione, non Ł sindacabile in sede di legittimità. (Conf. Sez. 2, n. 3629 del 18/8/1994, Rv. 201400)» (Sez. 5, n. 36060 del 09/10/2020, Rv. 280036).
Questa Corte ha altresì affermato che «In tema di aggravamento delle misure cautelari, rientra tra i poteri discrezionali del giudice la sostituzione della misura in atto con una piø grave, quale che sia la prescrizione violata, previa verifica di una condotta di trasgressione che presenti caratteri rivelatori della sopravvenuta inadeguatezza della misura in corso a fronteggiare le inalterate
esigenze cautelari» (Sez. 6, n. 58435 del 04/12/2018, Rv. 275040). Nel presente caso tale potere discrezionale Ł stato esercitato in modo corretto, motivando ampiamente le ragioni della sostituzione, con riferimento alla ritenuta gravità della violazione commessa e alla sua idoneità a dimostrare la pericolosità del soggetto e la necessità di una misura piø afflittiva per contenerla, essendo la condotta complessivamente tenuta dal ricorrente dimostrativa, anche, del permanere delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Il ricorso, inoltre, Ł manifestamente infondato.
Il ricorrente interpreta l’ordinanza emessa dal g.i.p., impugnata dal pubblico ministero, asserendo che essa evidenzi che quel giudice ha valutato il fatto come di lieve entità. Tale interpretazione Ł palesemente erronea dal momento che, se il g.i.p. avesse ritenuto la violazione di lieve entità, avrebbe mantenuto operante l’autorizzazione concessa, che ha invece revocato, evidentemente valutando che essa non era stata rispettata. Detta interpretazione, peraltro, Ł del tutto irrilevante, perchØ se anche il g.i.p. avesse ritenuto la violazione commessa un fatto di lieve entità, la sua valutazione Ł stata oggetto di impugnazione ed Ł stata ribaltata dal Tribunale del riesame, con una decisione del tutto opposta, con cui il ricorrente si deve confrontare.
La diversa valutazione contenuta nell’ordinanza impugnata, come detto, Ł logica e coerente con le risultanze delle indagini, che non sono costituite solo dall’accertamento dell’omessa presentazione del ricorrente al lavoro il giorno 25/10/2024, ma anche dalle già ricordate dichiarazioni del titolare dell’attività e dei suoi dipendenti, dichiarazioni della cui attendibilità non vi Ł ragione di dubitare e che non sono state, peraltro, contestate neppure dal ricorrente, e dall’accertamento della falsità del contratto presentato al g.i.p. per ottenere l’autorizzazione in questione. Le affermazioni contenute nel ricorso, circa la scarsa gravità e l’occasionalità del fatto, sono pertanto del tutto infondate, in quanto smentite dalle predette indagini, essendosi la violazione della prescrizione protratta per circa un mese ed essendo stato persino costruito un documento falso per indurre il giudice ad autorizzare l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, condotta che, nel suo complesso, dimostra una notevole gravità delle violazioni commesse e una elevata capacità criminale del ricorrente, che giustifica la valutazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, di un rilevante pericolo di reiterazione dei reati, arginabile solo con una misura detentiva di carattere carcerario.
Del tutto irrilevanti, infine, sono i richiami alle particolarità dell’attuale svolgimento del dibattimento per i reati per i quali la misura cautelare Ł stata applicata, avendo peraltro il ricorrente solo asserito che la persona offesa non si Ł costituita parte civile, ed essendo le scelte di questa del tutto ininfluenti sul possibile esito del giudizio penale.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
La presente decisione rende esecutiva la misura cautelare della custodia in carcere, disposta dal Tribunale del riesame. Deve pertanto disporsi la trasmissione, a cura della cancelleria, dell’estratto del provvedimento al pubblico ministero competente, ai sensi dell’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME