Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 627 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 627 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NICOSIA il 21/02/1952
avverso la sentenza del 31/01/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Enna del 16.03.2023 che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per i reati di aggravamento del dissesto ex art. 224, 217, comma 1, n.4, L. Fall., perché, nella qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dal 20.05.2001 fino al 15.05.2018, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento, dichiarato solo il 15.5.2018, aggravava il dissesto della società, nonché
di bancarotta documentale semplice ex art. 224, 217, comma 2, L. Fall., perché, a decorrere dall’esercizio finanziario 2014, nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, non teneva libri e scritture contabili prescritte dalla legge ovvero li teneva in maniera irregolare o incompleta, rispettivamente ascritti ai capi b) e c) della imputazione.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo dei difensori di fiducia, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato a tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e carenza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione al motivo di appello con il quale si denunciava che dagli atti di indagine (relazione del curatore fallimentare e relazione della Guardia di Finanza) emergeva che la mancata cessazione dell’attività da parte dell’organo amministrativo non ha comportato un aumento del deficit patrimoniale, deducendo che sul punto la sentenza non si confronta con il motivo di appello.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in relazione al reato di bancarotta per aggravamento del dissesto per ritardo nella richiesta del fallimento di cui agli artt. 224, 217, comma primo, R.D. 267/1942, deducendo difetto della colpa grave e dell’aggravamento del dissesto in quanto come si evince dalla relazione del curatore, la mancata cessazione dell’attività non ha comportato un aumento del deficit patrimoniale, ma anzi, espungendo i componenti positivi e negativi che comunque si sarebbero conseguiti o sostenuti anche in caso di cessazione anticipata, emerge un valore positivo di euro 76.903,90; inoltre la valutazione di non recuperabilità dei crediti di RAGIONE_SOCIALE è stata fatta con giudizio ex post e non ex ante.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione al reato di cui al capo 3) di bancarotta documentale semplice, deducendo che dalla relazione della Guardia di Finanza e dal verbale di consegna delle scritture contabili al Tribunale di Enna risulta che tutti i libri contabili so stati consegnati al curatore fallimentare, per cui lo smarrimento sarebbe successivo e non imputabile al ricorrente, mentre la Corte di Appello, incorrendo in vizio di motivazione, ha ritenuto l’imputato responsabile per non avere tenuto correttamente i libri e le scritture contabili prescritti dalla legge che “erroneamente
erano stati riportati tra le scritture presenti nel verbale di consegna presso la cancelleria del Tribunale di Enna”, chiedendo annullarsi la sentenza impugnata.
Il difensore ha depositato memoria conclusiva ed allegato documentazione, insistendo nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tanto precisato si osserva che le deduzioni svolte, oltre che in buona parte meramente reiterative di quelle sviluppate in appello, senza un adeguato confronto con le motivazioni della sentenza impugnata, sono manifestamente infondate nei termini di cui si dirà, non ravvisandosi vizi rilevanti nel percorso logicoargonnentativo dei giudici di appello, che hanno ricavato la sussistenza dei reati contestati ai capi 2) e 3) dalla complessiva documentazione in atti.
2.1 Il primo motivo del ricorso – che lamenta violazione di legge e carenza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione al motivo di appello, con il quale si denunciava che dagli atti di indagine (relazione del curatore
fallimentare e relazione della Guardia di Finanza) emerge che la mancata cessazione dell’attività da parte dell’organo amministrativo non ha comportato un aumento del deficit patrimoniale, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è meramente reiterativo di doglianze prospettate e disattese dalla Corte di merito con motivazione congrua ed immune da vizi e censure.
Nel caso di specie, comunque, l’accertamento di fatto, svolto dalla Corte territoriale, sorretto da motivazione congrua e non manifestamente illogica, dunque non censurabile in questa sede, che richiama interamente la motivazione del Tribunale, ha dato conto delle ragioni per le quali, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa del COGNOME, non ha alcun rilievo il saldo attivo contabile, su cui insiste il ricorrente anche nel secondo motivo, e ritenuto anche dai giudici di merito, in quanto positivamente influenzato dalla presenza di crediti non recuperabili e dalla determinazione dell’amministratore unico della società di non svalutare tali crediti di scarsa recuperabilità, spiegando correttamente, con motivazione logica e non contraddittoria, la ragione della irrilevanza della formare assenza dell’aumento del deficit patrimoniale conseguente alla presenza nelle scritture contabili di crediti non recuperabili. In altri termini, quel che vien contestato al COGNOME è la sopravvalutazione (mancata svalutazione) dell’attivo patrimoniale, precisamente di due crediti non recuperabili, derivanti dalla emissione di fatture nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (in liquidazion e dichiarata fallita nel 2017) e Vigilanza venatoria (dichiarata fallita nel 2014), per un ammontare complessivo di oltre 500.000 euro, crediti rispetto ai quali il ricorrente era perfettamente a conoscenza del bassissimo grado di recuperabilità, in quanto conosceva bene la vicenda delle società debitrici (delle cui compagini sociali il ricorrente è risultato far parte rivestendo una carica gestoria) e dunque era a conoscenza del fatto che il recupero delle somme dipendeva dall’esito di due arbitrati conseguenti al mancato aggiudicamento di appalti nei confronti dell’ente Provincia di Caltanissetta e di Enna. Esito negativo già risalente al 2014. Si consideri che, a conferma di ciò, il fallimento è stato richiesto dai lavoratori per la mancata corresponsione delle retribuzioni, pur in presenza dell’attivo contabile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2 II secondo motivo di ricorso che lamenta violazione di legge e carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod proc. pen., in relazione agli artt. 224, 217, comma primo, R.D. 267/1942, al reato di bancarotta per aggravamento del dissesto per ritardo nella richiesta del fallimento, per difetto della colpa grave e dell’aggravamento del dissesto, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2.2.1 La fattispecie incriminatrice contestata è descritta dalla legge fall., art. 217, comma 1, n. 4, nella condotta dell’imprenditore che «ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa». Il delitto di bancarotta semplice da mancata tempestiva richiesta di fallimento mira ad evitare che l’esercizio continuato dell’impresa, anche a fronte di una situazione di obiettiva impossibilità di far fronte alle propri obbligazioni, possa prolungare lo stato di perdita.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, per l’integrazione della fattispecie, è richiesto tale coefficiente soggettivo, superando, così, le difficoltà interpretative legate all’ambiguità della norma, che vede l’indicazione della «altra colpa grave» dopo quella della mancata richiesta di fallimento, così apparentemente contrassegnando solo le condotte diverse da quella della mancata richiesta del fallimento in proprio; si è escluso, di contro, che tale coefficiente soggettivo sia insito nello stesso ritardo nella richiesta di fallimento in proprio, sì da non doverlo accertare aliunde, negandosi la sussistenza di una presunzione in tal senso (Sez. 5, n. 18108 del 12/03/2018, COGNOME, Rv. 272823; Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015, COGNOME, Rv. 264743; Sez. 5, n. 43414 del 25/09/2013, COGNOME e altri, Rv. 257533). La sentenza COGNOME in particolare, ha precisato che «non è difficile comprendere come il ritardo nell’adozione della senza dubbio grave decisione dell’imprenditore di richiedere il proprio fallimento possa essere ricollegato ad una vasta gamma di dinamiche gestionali; che si estende dall’estremo dell’assoluta noncuranza per cili effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell’opinabile valutazione sull’efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse. L’eterogeneità di queste situazioni rende improponibile una loro automatica sussunzione nella più intensa dimensione della colpa. Il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento, in altre parole, è ancora troppo generico perché dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave; dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato». L’omessa dichiarazione di fallimento, per essere rilevante ex art. 217, comma 1, n. 4), legge fall., avrebbe dovuto anche determinare un aggravamento del dissesto delle società, che è l’evento del reato. Come sancito da Sez. 5, n. 32899 del 25/05/2011, COGNOME e altri, Rv. 250934 (in motivazione), «per dissesto deve intendersi, non tanto una condizione di generico disordine dell’attività della società, quanto una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo ed ingravescente, che, se non fronteggiata con opportuni provvedimenti o con la presa d’atto dell’impossibilità di proseguire l’attività, può comportare l’aggravamento inarrestabile della situazione debitoria, con conseguente incremento del danno che l’inevitabile, e non evitata, insolvenza finisce per procurare alla massa dei creditori». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2.2 Tanto premesso, nel caso in esame, il motivo si limita a riprodurre in buona parte le censure dedotte in appello, difettando di adeguata critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato’ e dell’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584).
Al riguardo, la Corte territoriale, con motivazione corretta ed immune da vizi di illogicità, ha ritenuto la configurabilità della bancarotta semplice patrimoniale in quanto l’aver omesso di instaurare la concorsualità ha aggravato il dissesto, non essendo necessario che l’imprenditore avesse colpevolmente determinato tale aggravamento, essendo invece sufficiente che lo stesso aggravamento costituisca il naturale esito del prolungamento dell’attività di impresa generato anche attraverso l’ulteriore accumulo dei costi ordinari di gestione, valorizzando il fatto che l’imputato, con condotta evidentemente omissiva, ha proseguito l’attività d’impresa per circa quattro anni, nonostante l’inesistente redditività della società, che aveva cessato qualsiasi attività sociale, e le sempre crescenti perdite, contribuendo così ad aggravare il dissesto della RAGIONE_SOCIALE che dal 2014 sino alla data del fallimento presentava un capitale dapprima fortemente eroso e poi completamente inesistente, accumulando un debito per un totale di euro 1.959.571,71, nei confronti dei dipendenti che richiedevano il fallimento.
Parimenti con motivazione corretta ed immune da vizi e censure, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, è stata ritenuta la colpa grave nella grave ed irragionevole decisione dell’imprenditore di ritardare l’accesso alla procedura concorsuale e di intraprendere una seria azione volta a fronteggiare la crisi, basando la propria scelta, nonostante una redditività assente e le crescenti e continue perdite societarie risultanti dallo stato passivo (accertato dal Tribunale nella sentenza dichiarativa di fallimento del 15 maggio 2018), solo sulla ritenuta recuperabilità di crediti pluriennali vantati nei confronti delle società debitrici RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (delle cui compagini sociali il ricorrente risultato far parte rivestendo una carica gestoria), scarsamente recuperabili in quanto fondati su una pretesa illegittimità di procedure di gara che si assumeva avessero prodotto un danno alle concorrenti estromesse, per cui si trattava di crediti controversi, litigiosi, vantati nei confronti di enti pubblici, e già nel 201 collegi arbitrali si erano espressi all’unanimità in senso sfavorevole a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per cui l’affidamento sul recupero dei due crediti è stato gravemente colposo in quanto estraneo al rischio d’impresa e al modello di amministratore cui avrebbe dovuto conformarsi l’imputato.
Tale valutazione non si presenta certamente illogica nel dar conto degli elementi che avrebbero dovuto indurre il ricorrente, già nel 2014, nella sua qualità di amministratore unico, a svalutare i due crediti, non recuperabili, nei confronti
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della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, società prive di altri fondi, entramb dichiarate fallite, la prima nel 2017, la seconda nel 2014, anziché includere nell’attivo contabile l’importo di euro 232.857,36, derivante dai suddetti crediti, esponendo un attivo patrimoniale sovrastinnato.
2.3 Il terzo motivo di ricorso, che lamenta violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. peri., in relazione al reato di cui al capo 3) di bancarotta documentale semplice, deducendo che dalla relazione della Guardia di Finanza e dal verbale di consegna delle scritture contabili al Tribunale di Enna risulta che tutti i libri contabili so stati consegnati al curatore fallimentare, per cui lo smarrimento sarebbe successivo e non imputabile al ricorrente, mentre la Corte di Appello, incorrendo in vizio di motivazione, ha ritenuto l’imputato responsabile per non avere tenuto correttamente i libri e le scritture contabili prescritti dalla legge che “erroneamente erano stati riportati tra le scritture presenti nel verbale di consegna presso la cancelleria del Tribunale di Enna”, chiedendo annullarsi la sentenza impugnata, è inammissibile perché manifestamente infondato.
Invero, la Corte territoriale con motivazione immune da vizi di illogicità e contraddittorietà ha valutato il verbale di consegna in cancelleria delle scritture contabili, allegato dalla difesa alle note, ed ha ritenuto erronea l’indicazione della consegna del libro inventari per l’anno 2017 e i libri giornali per gli anni 2015 e 2016, non effettivamente inserite tra le scritture oggetto della consegna, ripetutamente ricercate dalla Guardia di finanza e dal curatore, il quale non le rinveniva in occasione dell’accesso presso la sede della società in data 15/03/2019, evidenziando nella relazione ex art.33 la omessa consegna di tali scritture.
Sul punto il motivo è inammissibile in quanto ripropone censure formulate con l’atto di appello e rigettate dalla Corte territoriale con argomentazioni congrue ed immuni da vizi e con le quali il ricorso non si confronta.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dee ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 30/10/2024
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE