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Aggravamento del dissesto: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta semplice a causa dell’aggravamento del dissesto della sua società. L’amministratore aveva ritardato per anni la dichiarazione di fallimento, continuando l’attività d’impresa nonostante l’insolvenza, mascherata dalla presenza in bilancio di ingenti crediti inesigibili. La Corte ha confermato che tale condotta, basata su una sopravvalutazione dell’attivo patrimoniale di cui l’amministratore era consapevole, integra la colpa grave richiesta dalla norma e costituisce reato.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Aggravamento del dissesto: quando il ritardo è reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, offre importanti chiarimenti sul reato di aggravamento del dissesto per ritardata dichiarazione di fallimento. La Corte ha confermato la condanna di un amministratore che, pur consapevole dello stato di insolvenza della propria società, ha proseguito l’attività per anni, basando la sopravvivenza aziendale su crediti palesemente inesigibili. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni pratiche per gli amministratori di società.

I Fatti del Caso

L’amministratore di una S.r.l. veniva condannato in primo e secondo grado per due reati fallimentari: bancarotta per aggravamento del dissesto e bancarotta documentale semplice. La contestazione principale riguardava il fatto che, dal 2001 al 2018, pur in presenza di una chiara situazione di insolvenza, egli si era astenuto dal richiedere la dichiarazione di fallimento della società. In questo lungo periodo, l’attività d’impresa era proseguita, accumulando un debito complessivo di quasi due milioni di euro, principalmente verso i dipendenti. Inoltre, a partire dal 2014, l’amministratore non aveva tenuto regolarmente le scritture contabili obbligatorie.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Assenza di un reale aumento del deficit: secondo la difesa, la continuazione dell’attività non aveva di fatto peggiorato il passivo patrimoniale.
2. Mancanza di colpa grave: l’amministratore sosteneva di non aver agito con colpa grave, in quanto la sua decisione di non dichiarare fallimento si basava sulla speranza, poi rivelatasi vana, di recuperare ingenti crediti.
3. Regolare consegna dei libri contabili: per quanto riguarda la bancarotta documentale, la difesa affermava che tutte le scritture erano state consegnate al curatore fallimentare e che un loro eventuale smarrimento non era imputabile all’amministratore.

Analisi sull’aggravamento del dissesto e la colpa grave

La Corte di Cassazione ha respinto i primi due motivi, ritenendoli manifestamente infondati. I giudici hanno sottolineato come l’apparente salute contabile della società fosse puramente fittizia. L’attivo di bilancio era infatti ‘gonfiato’ dalla presenza di crediti per oltre 500.000 euro verso altre due società, entrambe fallite e gestite in passato dallo stesso amministratore. Quest’ultimo era perfettamente consapevole della bassissima, se non nulla, probabilità di recuperare tali somme, dato che già nel 2014 l’esito negativo di alcuni arbitrati aveva sancito la loro inesigibilità.

La Corte ha stabilito che la scelta di proseguire l’attività per ben quattro anni, in assenza di redditività e basandosi su un attivo patrimoniale sovrastimato, non rappresenta un accettabile rischio d’impresa, ma una condotta connotata da colpa grave. Ritardare la richiesta di fallimento in queste condizioni ha inevitabilmente causato un aggravamento del dissesto, aumentando l’esposizione debitoria e danneggiando ulteriormente i creditori, in primis i lavoratori.

La Questione della Bancarotta Documentale

Anche il terzo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui, al di là di un errore materiale nel verbale di consegna, alcuni libri contabili fondamentali (come il libro inventari del 2017 e i libri giornali del 2015 e 2016) non erano stati effettivamente consegnati. Le ripetute ricerche effettuate dal curatore e dalla Guardia di Finanza avevano dato esito negativo, confermando la responsabilità dell’amministratore per la mancata e irregolare tenuta della contabilità.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando come i motivi proposti non fossero altro che una sterile riproposizione delle argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: quando le sentenze di primo e secondo grado sono concordanti nell’analisi dei fatti e delle prove, le loro motivazioni si integrano a vicenda, formando un unico corpo decisionale. Nel caso di specie, l’analisi dei giudici di merito è stata ritenuta logica, congrua e priva di vizi. La decisione dell’amministratore di ritardare il fallimento non è stata una scelta gestionale opinabile, ma una grave negligenza che ha peggiorato la già compromessa situazione finanziaria della società, integrando pienamente il reato di bancarotta per aggravamento del dissesto.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce la grande responsabilità che grava sugli amministratori nella gestione di una crisi d’impresa. Non è sufficiente sperare in una ripresa basata su prospettive irrealistiche, come il recupero di crediti palesemente inesigibili. Di fronte a uno stato di insolvenza conclamato, l’amministratore ha il dovere di agire tempestivamente per tutelare la massa dei creditori, richiedendo l’apertura della procedura concorsuale. Proseguire l’attività in modo artificioso, mascherando le perdite con un bilancio non veritiero, non solo è una scelta gestionale fallimentare, ma integra una condotta penalmente rilevante con conseguenze molto serie.

Quando il ritardo nel dichiarare fallimento integra il reato di aggravamento del dissesto?
Il reato si configura quando l’amministratore, pur consapevole di una situazione di insolvenza irreversibile, si astiene dal richiedere il fallimento e prosegue l’attività, causando un ulteriore aumento del passivo e un maggior danno per i creditori. La condotta deve essere caratterizzata da colpa grave.

Mantenere in bilancio crediti di dubbia esigibilità può costituire colpa grave?
Sì. La sentenza chiarisce che basare la prosecuzione dell’attività su un attivo patrimoniale sovrastimato, includendo crediti di cui si conosce la bassissima probabilità di recupero, è un comportamento che integra la colpa grave richiesta per il reato di aggravamento del dissesto.

La semplice consegna delle scritture contabili in cancelleria esonera l’amministratore da responsabilità?
No. L’amministratore è responsabile della corretta tenuta e della effettiva consegna di tutte le scritture contabili obbligatorie. Come dimostra il caso, un errore nel verbale di consegna non è sufficiente a escludere la responsabilità se, di fatto, emerge che alcuni libri contabili essenziali non sono stati rinvenuti né dal curatore né dalle autorità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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