Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27572 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27572 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a ROMA il 01/08/1967
avverso la sentenza del 01/10/2024 della Corte d’appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Milano del 6.07.2023, che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, quale liquidatore, dal 3.10.2014 alla data del fallimento, della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita c sentenza del Tribunale di Milano del 14.12.2017, per avere distratto, occultato e dissipato in parte il patrimonio della società, stipulando, in data 10.10.2014, contratto di ,affitto di azienda, che comprendeva impianti e macchinari per €.72.597,29, attrezzature per €.109.314,33 e altri beni per €.158.955,36, (risolto il 9.04.2014) a favore della società RAGIONE_SOCIALE amministrata
.1 GLYPH da NOME COGNOME, prevedendo un canone mensile di euro 21.000,00 oltre IVA, mai corrisposto, azienda che presentava un totale attivo di €.628.168,06.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso, affidato a due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1 E primo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, deducendo che la Corte territoriale non avrebbe motivato sulla deduzione, contenuta nell’atto di appello, circa la mancanza di ragionevole certezza della effettiva sussistenza, nella disponibilità della società, dei beni oggetto della distrazione, nonché in punto di elemento soggettivo, deducendo che la mancanza di attivazione (motivata e giustificata dalla disdetta da parte della Mercedes di ogni rapporto contrattuale) potrebbe al più rilevare in termini di responsabilità colposa.
Si deduce, inoltre, vizio di contraddittorietà della motivazione in quanto la Corte di merito, in un caso, dubitando della effettiva disponibilità di beni (autovetture), ha assolto l’imputato dalla condotta distrattiva, nell’altro, (contratto di affitto di azienda), pur riconoscendo l’assenza dei beni, lo ha condannato.
2.2 D secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge, in relazione agli artt.40, 43 cod. pen., 216, comma 1, n.1) e 2), 219, comma 2, n.1), 223, comma 1 e 2, n.2), R.D.267/1942, deducendo che i giudici di merito hanno desunto la penale responsabilità dell’imputato dalla sottoscrizione del contratto di affitto di azienda, quale liquidatore, e dalla omissione nella riscossione dei canoni, condotta quest’ultima che avrebbe potuto, semmai, afferire ad una responsabilità colposa, presupponendo la condotta omissiva, come ritenuto dalla giurisprudenza, la consapevolezza dell’effetto pregiudizievole del fatto, e che tali circostanze non sarebbero idonee a ritenere sussistente il reato de quo.
Sotto altro profilo, si contesta che la condotta distrattiva sarebbe consistita nell’atto di sottoscrizione del contratto di affitto di azienda, che avrebbe avuto l’effetto di depauperare gli asset patrimoniali dell’azienda, non rinvenuti, in quanto tale condotta sarebbe priva, in sé, di efficacia distrattiva, mentre la distrazione potrebbe riguardare il mancato rinvenimento dei beni, e l’omessa riscossione del canone di affitto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo è inammissibile in quanto generico oltre che manifestamente infondato i nonché reiterativo di censure già confutate dalla sentenza impugnata con motivazione immune da censure e vizi di illogicità, che richiama la A pronuncia del Tribunale per la coerenza della ricostruzione dei fatti con le risultanze probatorie, con la quale il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
Il motivo è generico in quanto il ricorrente non indica le ragioni in fatto e in diritto su cui le censure si fondano.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Sono, pertanto, inammissibili le deduzioni critiche che si pongono in diretto confronto con il materiale probatorio acquisito, sollecitandone un diverso apprezzamento da parte della Corte di cassazione, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dallo scrutinio delle funzioni di legittimità (cfr. Sez. 6, n.13442 dell’8.03.2016, COGNOME; Sez. 6, n.43963 del 30.09.2013, COGNOME; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Il controllo di legittimità non è, in altri termini, diretto a sindacare l intrinseca attendibilità dei risultati della interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’analisi ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della conseguenzialità, le conclusioni tratte (S.U. n.47289 del 24.09.2003, COGNOME).
Come noto, non sono deducibili con il ricorso per cassazione censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le
doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta o di macroscopica evidenza, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè il giudice di merito abbia spiegato le origini del maturate convincimento in modo logico ed adeguato e senza incorrere in vizi giuridici (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023; Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01 Sez. 1; 39846/2023). Deve, ancora, considerarsi (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504 – 01) che la cognizione della Corte di cassazione è funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione.
Alla stregua del costante orientamento di questa Corte (Cass. Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024 Rv. 286406 – 02), la motivazione “per relationem” alla sentenza di primo grado nel giudizio di appello è legittima nel caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità.
Tanto premesso va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungano a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2- , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Quanto al carattere fraudolento della distrazione di ramo di azienda della società fallita, i giudici di merito, con motivazione immune da vizi e censure,
hanno richiamato le modalità del contratto di affitto, il momento, antecedente al fallimento, in cui il contratto è stato stipulato (10 ottobre 2014), allorquando l’attività della società era già cessata, nonché l’importo del canone della locazione, pattuito in euro 21.000,00, oltre IVA, non solo irrisorio ma anche mai corrisposto.
Sul punto le censure del ricorrente sono generiche e aspecifiche.
Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione il contratto di affitto d’azienda, stipulato in previsione del fallimento, allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridic (Sez. 5, Sentenza n. 16748 del 13/02/2018, Rv. 272841 – 01).
La cessione, a qualunque titolo, di un ramo d’azienda – la quale ben può integrare la condotta distrattiva se non adeguatamente remunerata presuppone che il trasferimento abbia ad oggetto un complesso aziendale in senso proprio, inteso, secondo la definizione dell’art. 2555 c.c., come il complesso dei beni organizzati per l’esercizio di una attività imprenditoriale (Sez. 5, Sentenza n. 23577 del 23/04/2024, Rv. 286621 – 01).
Nella specie, i giudici di merito hanno rilevato che l’affitto ha avuto ad oggetto tutte le voci attive, risultanti nello stato patrimoniale, allegato a contratto di affitto di azienda, quali immobilizzazioni per €.70.169,24, impianti e macchinari per €.72.597,29, attrezzature industriali e commerciali per €.109.314,33 e altri beni per €.158.955,36.
Quanto alle finalità della operazione ed al suo corretto inquadramento giuridico, va ricordato chepecondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali. In tal senso, pertanto, anche il contratto di affitto di azienda può connotarsi in modo da integrare una bancarotta per distrazione /e ciò tanto nel caso in cui l’affitto venga stipulato con canoni incongrui o simulati (Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 241830), quanto in quello cui la stipula avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008, COGNOME e altri, Rv. 242614; Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998, COGNOME, Rv. 209947; Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993, COGNOME ed altri, Rv. 196456). Non solo, è stato, altresì, precisato che integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale la cessione di un ramo d’azienda che renda non più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale,
senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società (Sez. 5, n. 10778 del 10 gennaio 2012, COGNOME, Rv. 252008; Sez. 5, Sentenza n. 16748 del 13/02/2018, Rv. 272841 – 01).
La genericità e manifesta infondatezza delle censure difensive si appalesa, poi, nella misura in cui le stesse dimostrano di non aver tenuto in considerazione le circostanze che caratterizzano la fattispecie concreta, in riferimento alle quali la Corte territoriale ha argomentato, con motivazione logica ed immune da censure, quali: il coinvolgimento dell’COGNOME, ex amministratore della fallita, nonché amministratore unico della società affittuaria, appena costituita e collegata alla fallita, nella gestione di entrambe le società; la protratta morosità della società affittuaria (valutata non tanto ex se, quanto in connessione alla precedente circostanza); il trasferimento di tutte le attività della fallita, con conseguente condanna di quest’ultima all’inattività; la pattuizione di un canone mensile irrisorio, pari ad euro 21.000,00, la omessa corresponsione del canone mensile, l’assenza di alcun beneficio dalla operazione per la fallita.
Manifestamente infondata è la deduzione secondo cui mancherebbe la prova della esistenza dei beni costituenti il ramo di azienda, al momento della stipula del contratto di affitto, in quanto la Corte di merito ha correttamente desunto tale circostanza dalla stessa sottoscrizione, da parte del ricorrente, del contratto di affitto, al quale risultava allegato lo stato patrimoniale, che presentava un totale attivo pari ad euro 628,168,00, nel quale erano indicate proprio le attività oggetto del contratto. Né risulta che il ricorrente abbia riferito alcuna informazione in merito alle attività allegate al contratto di affitto né che abbia allegato al motivo di appello circostanze da cui desumere la falsità dello stato patrimoniale.
D’altra parte, incombeva sul ricorrente, al momento della sottoscrizione del contratto di affitto di ramo d’azienda, l’onere di verificare l’esistenza dei beni indicati nello stato patrimoniale.
Alla luce dei principi illustrati, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia correttamente qualificato come distrattiva l’operazione di affitto di ramo d’azienda, effettuata nelle condizioni date, mentre manifestamente infondate ed a tratti generiche si rivelano le obiezioni svolte, sul punto, con il ricorso.
Quanto alla responsabilità del ricorrente, i giudici di merito hanno argomentato circa il ruolo di concorrente nella operazione, sulla concomitanza temporale tra la nomina del COGNOME, quale liquidatore della società, avvenuta il 3.10.2014, e la stipula del contratto di affitto di ramo d’azienda della fallita, in favore di altra società, riconducibile al coimputato COGNOME avvenuta il 10.10.2014, nonché sulla circostanza che, in tale momento, la società fallita versava in una situazione indiscutibile di crisi, presentando una esposizione
debitoria già cospicua nei confronti dell’Erario, circostanza di cui l’imputato aveva
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consapevolezza, in quanto dallo stesso riferita al curatore.
La Corte d’appello ha correttamente ricondotto la responsabilità del ricorrente alla consapevole assunzione dell’incarico di liquidatore senza, tuttavia,
occuparsi di esercitare correttamente tale ruolo, evadendo dai doveri di controllo incombenti sullo stesso, ed in particolare, sottoscrivendo il contratto di affitto di
ramo di azienda alcuni giorni dopo la assunzione della carica.
2.2 II secondo motivo di ricorso è infondato.
Con riguardo all’elemento soggettivo, la Corte territoriale, confrontandosi con il motivo di appello, ha argomentato sulla consapevolezza del ricorrente della
finalità distrattiva della operazione, considerando che la conclusione del contratto di affitto di ramo d’azienda avveniva in un periodo di crisi della fallita, che aveva
una cospicua esposizione debitoria nei confronti dell’Erario, circostanza nota all’imputato che, peraltro, riferiva al curatore di esposizioni debitorie per lo più
verso gli istituti di credito, oltre a problematica con RAGIONE_SOCIALE, e forniva giustificazione della operazione, mostrando di avere contezza della situazione economica della RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale, argomentando sulle modalità dell’affitto di ramo d’azienda, ha individuato una piena condivisione da parte del COGNOME e del coimputato COGNOME dell’intento distrattivo della operazione, volta a svuotare la società da tutti i beni, in un periodo di crisi della fallita.
La Corte di appello ha argomentato anche con riferimento alla condotta omissiva del COGNOME, che non si è attivato per la riscossione dei canoni mensili dovuti, mai versati alla fallita, come, peraltro, ammesso dallo stesso ricorrente, circostanza, correttamente, ritenuta elemento sintomatico della fittizietà dell’operazione e che, allo stesso tempo, indice della distrazione degli attivi risultanti dalla situazione patrimoniale di cui sopra.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il processuali. ricorrente al al pagamento delle spese
Così deciso in Roma il 29/04/2025.