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Affitto d’azienda e bancarotta: la guida completa

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico del liquidatore di una società. L’operazione incriminata era un contratto di affitto d’azienda, stipulato poco prima del fallimento, a favore di un’altra società gestita dall’ex amministratore della fallita. La Corte ha ritenuto che l’affitto, con un canone irrisorio e mai corrisposto, fosse un mero espediente per sottrarre i beni aziendali ai creditori, configurando pienamente il reato.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Affitto d’azienda: quando diventa reato di bancarotta fraudolenta?

Un contratto di affitto d’azienda può sembrare una normale operazione commerciale, ma se utilizzato in modo improprio può nascondere un illecito penale molto grave: la bancarotta fraudolenta. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito i contorni di questa fattispecie, confermando la condanna di un liquidatore che aveva utilizzato tale strumento per svuotare una società ormai prossima al fallimento. Analizziamo insieme i fatti, le motivazioni della Corte e le implicazioni pratiche di questa decisione.

I Fatti del Caso

Il liquidatore di una società operante nel settore motorsport veniva condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’accusa era di aver distratto, occultato e dissipato il patrimonio della società, dichiarata fallita nel dicembre 2017. L’operazione chiave era stata la stipula, nell’ottobre 2014, di un contratto di affitto d’azienda a favore di una nuova società, amministrata dall’ex amministratore della società fallita.

Il contratto includeva tutti i principali beni aziendali (impianti, macchinari, attrezzature) per un valore complessivo di oltre 300.000 euro, a fronte di un canone mensile di 21.000 euro. Tuttavia, questo canone non era mai stato corrisposto. L’imputato, nominato liquidatore appena una settimana prima della firma del contratto, veniva ritenuto pienamente consapevole dell’intento distrattivo dell’operazione, finalizzata a sottrarre i beni alla garanzia dei creditori in un momento di palese crisi aziendale.

L’Impugnazione in Cassazione: i motivi del ricorso

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando principalmente due aspetti:

1. Vizi di motivazione: La difesa sosteneva che i giudici di merito non avessero provato con certezza l’effettiva esistenza e disponibilità dei beni oggetto del contratto di affitto, né l’elemento soggettivo del dolo. Si affermava che la condotta del liquidatore fosse, al più, colposa.
2. Violazione di legge: Secondo il ricorrente, la responsabilità penale era stata desunta erroneamente dalla semplice sottoscrizione del contratto e dalla mancata riscossione dei canoni, condotte che di per sé non proverebbero l’intenzione fraudolenta.

L’affitto d’azienda come strumento di distrazione

La difesa ha tentato di scindere l’atto della stipula dalla successiva mancata riscossione dei canoni, sostenendo che solo quest’ultima potesse avere rilevanza, ma al massimo a titolo di colpa. In sostanza, si contestava che il contratto di affitto d’azienda in sé potesse costituire un atto di bancarotta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e generico. I giudici hanno confermato la solidità della ricostruzione operata nei gradi di merito, evidenziando come il contratto di affitto d’azienda fosse stato il veicolo perfetto per la distrazione patrimoniale.

La qualificazione dell’operazione come fraudolenta

La Corte ha ribadito un principio consolidato: integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualsiasi operazione, inclusa la stipula di un contratto di affitto d’azienda, realizzata in previsione del fallimento con lo scopo di trasferire la disponibilità dei principali beni aziendali a un altro soggetto, specialmente se non adeguatamente remunerata.

Diversi elementi sintomatici hanno confermato l’intento fraudolento:

* Il contesto temporale: Il contratto fu firmato quando la società era già inattiva e in una conclamata situazione di crisi.
* Il canone: Definito ‘irrisorio’ e, soprattutto, ‘mai corrisposto’.
* I soggetti coinvolti: L’amministratore della società affittuaria era lo stesso ex amministratore della società fallita, evidenziando un chiaro collegamento tra le due entità.
* L’oggetto del contratto: L’affitto riguardava la totalità dei beni attivi dell’azienda, di fatto svuotandola completamente.

La responsabilità del liquidatore

La Corte ha respinto la tesi della mera negligenza. La nomina del liquidatore, avvenuta pochi giorni prima della stipula, e la sua sottoscrizione di un contratto che elencava beni per un valore significativo, lo rendevano pienamente responsabile. Incombeva su di lui l’onere di verificare l’esistenza e la consistenza di tali beni. La sua successiva inerzia nel riscuotere i canoni è stata interpretata non come una semplice omissione, ma come un ulteriore elemento che provava la natura fittizia e fraudolenta dell’intera operazione. Il suo comportamento, secondo la Corte, dimostrava una ‘piena condivisione’ dell’intento distrattivo.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza che la valutazione di un’operazione commerciale ai fini della bancarotta fraudolenta non deve fermarsi alla forma giuridica dell’atto (come un contratto di affitto d’azienda), ma deve analizzarne la sostanza e le finalità concrete. La presenza di ‘indici di anomalia’ – come un prezzo incongruo, legami tra le parti e la stipula in prossimità del fallimento – è fondamentale per svelare la reale natura distrattiva di un’operazione apparentemente lecita. Per gli amministratori e i liquidatori, emerge un chiaro monito: l’obbligo di diligenza impone una verifica sostanziale delle operazioni poste in essere, poiché l’accettazione passiva di schemi fraudolenti può portare a una diretta responsabilità penale.

Un contratto di affitto d’azienda può integrare il reato di bancarotta fraudolenta?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che un contratto di affitto d’azienda integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione quando è stipulato in previsione del fallimento allo scopo di trasferire i beni aziendali a un altro soggetto, specialmente se il canone pattuito è incongruo, simulato o mai corrisposto.

Qual è la responsabilità del liquidatore che stipula un affitto d’azienda senza verificare l’esistenza dei beni?
Il liquidatore è pienamente responsabile. Secondo la sentenza, incombe su di lui l’onere di verificare l’effettiva esistenza e consistenza dei beni indicati nel contratto. La sottoscrizione di un contratto per beni inesistenti e la successiva omissione nella riscossione dei canoni sono considerati elementi che provano la sua piena condivisione dell’intento fraudolento e non una semplice negligenza.

Quali sono gli indizi principali che possono rivelare un affitto d’azienda fraudolento?
Secondo la sentenza, gli indizi chiave sono: la stipula del contratto in un momento di crisi conclamata della società; la pattuizione di un canone irrisorio e mai versato; il trasferimento della totalità dei beni aziendali; e il coinvolgimento delle stesse persone nella gestione sia della società fallita che di quella affittuaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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