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Affidamento in prova: no senza residenza stabile

La Corte di Cassazione conferma il diniego dell’affidamento in prova a un condannato che, al momento della richiesta, si trovava all’estero senza fornire indicazioni su una residenza stabile. Secondo la Corte, l’assenza di un domicilio certo impedisce al servizio sociale di svolgere le indispensabili funzioni di supporto e controllo, rendendo legittimo il rigetto della misura alternativa, nonostante un’attività lavorativa pregressa.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: La Residenza Stabile è Requisito Essenziale

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle più importanti misure alternative alla detenzione, finalizzata al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione è subordinata a una valutazione rigorosa da parte del giudice, che tiene conto di numerosi fattori. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’assenza di una residenza stabile e certa sul territorio nazionale costituisce un ostacolo insormontabile per l’applicazione di questa misura. Analizziamo insieme il caso e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: La Richiesta di una Misura Alternativa

Un uomo, condannato a una pena di un anno, tre mesi e diciotto giorni di reclusione, presentava istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Inizialmente, il Magistrato di sorveglianza aveva respinto tale richiesta, concedendo invece la detenzione domiciliare. L’uomo si opponeva a questa decisione, ma il Tribunale di sorveglianza confermava il provvedimento, ritenendo insussistenti i presupposti per l’affidamento.

Il condannato decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato il suo percorso rieducativo, in particolare un’attività lavorativa svolta nel corso dell’anno precedente. Secondo la sua difesa, la motivazione del diniego era incongrua e non teneva conto degli sforzi compiuti per il reinserimento sociale.

La Valutazione del Tribunale e l’Importanza dell’Affidamento in Prova

Il Tribunale di sorveglianza aveva basato la sua decisione su un giudizio prognostico negativo riguardo alla personalità del condannato. A fronte di elementi sfavorevoli, la sola circostanza di un impiego lavorativo, peraltro già terminato e senza concrete prospettive future, non era stata ritenuta sufficiente a dimostrare un reale e stabile percorso di reinserimento.

Un elemento decisivo, tuttavia, emergeva con chiarezza: al momento della decisione, il condannato si trovava in Germania e non aveva fornito alcuna indicazione precisa e verificabile sul suo domicilio attuale o su validi riferimenti sul territorio italiano. Questa assenza di dati certi rendeva di fatto impossibile avviare l’istruttoria necessaria per strutturare un programma di affidamento in prova.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la correttezza della decisione del Tribunale di sorveglianza. I giudici hanno sottolineato due aspetti cruciali.

In primo luogo, la valutazione per la concessione di una misura alternativa deve basarsi su un’analisi completa della personalità del soggetto, considerando comportamenti antecedenti e successivi alla condanna. Un singolo elemento positivo, come un lavoro temporaneo, non può di per sé ribaltare un giudizio prognostico complessivamente negativo.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale della sentenza, la mancanza di una stabile residenza è un fattore determinante. L’affidamento in prova si fonda su un rapporto costante e diretto tra il condannato e il servizio sociale. Quest’ultimo ha il compito di supportare il soggetto nel suo percorso di reinserimento, ma anche di controllarne il rispetto delle prescrizioni. Se il condannato non è reperibile o non ha un domicilio certo, queste funzioni diventano inespletabili. La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui è legittimo il rigetto della richiesta di affidamento basato proprio sulla mancanza di una stabile residenza, poiché tale condizione impedisce al servizio sociale di adempiere ai compiti demandatigli dalla legge.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza un principio cardine nell’esecuzione penale: le misure alternative, e in particolare l’affidamento in prova, non sono un diritto automatico ma una possibilità subordinata alla sussistenza di requisiti precisi. La stabilità residenziale non è un mero dettaglio burocratico, ma il presupposto logistico e funzionale che permette all’intero programma di reinserimento di operare efficacemente. Senza un luogo certo dove il condannato possa essere raggiunto e monitorato, l’istituto perde la sua stessa ragion d’essere, che è quella di un percorso controllato di ritorno alla legalità.

È possibile ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale senza avere una residenza stabile e rintracciabile in Italia?
No, la sentenza chiarisce che la mancanza di una residenza stabile e certa impedisce al servizio sociale di svolgere le sue indispensabili funzioni di supporto e controllo, rendendo legittimo il rigetto della richiesta.

Un’esperienza lavorativa positiva è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
Non necessariamente. Nel caso specifico, l’attività lavorativa era già cessata e non erano state presentate prospettive professionali attuali e concrete. Pertanto, da sola non è bastata a superare gli elementi negativi del giudizio, come la mancanza di residenza.

Perché il Tribunale può negare l’affidamento in prova anche se viene concessa la detenzione domiciliare?
Le due misure hanno presupposti in parte diversi. Per l’affidamento in prova è cruciale non solo un giudizio prognostico favorevole sulla rieducazione, ma anche la concreta possibilità per i servizi sociali di attuare un programma di controllo e sostegno. La mancanza di una residenza certa ha reso impossibile questa seconda condizione, giustificando il diniego.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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