Affidamento in Prova: Perché una Riflessione Critica ‘Appena Avviata’ Non Basta
L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento cruciale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale dei condannati. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione approfondita da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: una riflessione critica superficiale o appena iniziata sul proprio passato criminale non è sufficiente per ottenere il beneficio. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un uomo, condannato a una pena di tre anni e dieci mesi di reclusione, presentava istanza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale di Sorveglianza competente respingeva la richiesta. Ritenendosi leso, il condannato proponeva ricorso per cassazione, lamentando una motivazione contraddittoria e illogica. A suo dire, i giudici non avevano considerato adeguatamente la sua revisione critica dei reati commessi e avevano erroneamente valutato come fatti accertati dei procedimenti penali ancora in corso.
L’affidamento in prova e il Potere Discrezionale del Giudice
La decisione di concedere una misura alternativa come l’affidamento in prova rientra nel potere discrezionale del Tribunale di Sorveglianza. Il giudice non si limita a verificare i requisiti di legge (come l’entità della pena), ma deve compiere una prognosi complessa sulla personalità del condannato e sulle sue reali possibilità di reinserimento. Un elemento centrale di questa valutazione è la consapevolezza maturata dal soggetto rispetto alla gravità dei reati commessi e al disvalore delle sue azioni passate. La legge richiede che il percorso di revisione critica sia serio, concreto e indicativo di un reale cambiamento interiore.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità della decisione del Tribunale di Sorveglianza. In primo luogo, i giudici di legittimità hanno chiarito che le critiche del ricorrente erano semplici ‘doglianze in fatto’, ovvero contestazioni sulla valutazione delle circostanze concrete, che non possono trovare spazio nel giudizio di cassazione, il quale si occupa solo di questioni di diritto.
Nel merito, la Corte ha sottolineato che la motivazione del rigetto non era né illogica né contraddittoria. Il giudice di sorveglianza aveva correttamente esercitato il proprio potere discrezionale, evidenziando come la riflessione critica del condannato fosse ‘appena avviata’. Questa valutazione implicava che non era ancora maturata una piena ‘consapevolezza della gravità dei fatti commessi’. Secondo la Cassazione, tale constatazione è sufficiente a giustificare il rigetto dell’istanza, poiché indica che il percorso di risocializzazione, presupposto fondamentale per l’affidamento in prova, non è ancora a uno stadio avanzato.
Le Conclusioni
Questa pronuncia rafforza un principio cardine nell’esecuzione penale: per accedere a benefici come l’affidamento in prova, non basta una formale dichiarazione di pentimento. È necessaria la prova di un percorso interiore autentico e maturo. La valutazione del giudice di sorveglianza sulla ‘consapevolezza’ del condannato è un pilastro della decisione e, se motivata in modo logico e non palesemente contraddittorio, è insindacabile in sede di legittimità. La decisione insegna che il cammino verso il reinserimento sociale richiede una profonda e consolidata revisione del proprio passato, un processo che non può essere né superficiale né affrettato.
Un giudice può negare l’affidamento in prova se il condannato afferma di aver riflettuto sui propri errori?
Sì, il giudice può negare la misura se ritiene, con una motivazione logica, che la riflessione critica del condannato sia solo in una fase iniziale e non ancora matura. La valutazione si basa sulla genuina consapevolezza della gravità dei fatti commessi, non sulla semplice dichiarazione del soggetto.
Quali tipi di argomenti non possono essere usati in un ricorso per cassazione in materia di misure alternative?
Non possono essere usate le cosiddette ‘doglianze in fatto’, ovvero contestazioni che mirano a una nuova valutazione delle circostanze concrete o della personalità del condannato. Il ricorso per cassazione può vertere solo su questioni di legittimità, come la violazione di legge o una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la decisione impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei presupposti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9201 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9201 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PESCARA il 20/08/1962
avverso l’ordinanza del 14/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’Aquila
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha rigetta l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata NOME COGNOME detenuto in espiazione della pena di anni tre e mesi dieci di reclusione, di cui al provvedimento di cumulo del 03/06/2024.
Ricorre per cassazione l’interessato, a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME deducendo contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, per non essersi tenuto conto della revisione critica operata dal condannato e per aver travisato gli atti, in particol per aver valutato quali fatti commessi i reati oggetto di tre processi ancora in corso.
Vengono anzitutto articolate censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto e non scandite da specifica critica del complesso delle argomentazioni poste a base dell’ordinanza, che ha motivato il rigetto compiutamente, oltre che in maniera non manifestamente illogica o contraddittoria. Invero, il giudice a quo, nell’esercizio del potere discrezionale di cui è titolare (Sez. 1, n. 8712 del 08/02/2012, COGNOME, R 252921-01), ha sottolineato l’esistenza di una riflessione . critica appena avviata, circa il pregresso agire criminoso, tale da far ritenere non ancora maturata la consapevolezza della gravità dei fatti commessi.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 20 febbraio 2025
Il Consigliere estensor
Il Presidente