Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26183 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26183 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a POZZUOLI il 02/01/1958 avverso l’ordinanza del 19/03/2025 del TRIBUNALE di RAGIONE_SOCIALE di Roma letti gli atti e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Proc. Gen. Dr.ssa NOME COGNOME che conclude per l’annullamento del provvedimento impugnato; lette le conclusioni del difensore del ricorrente che, nel condividere le conclusioni del Procuratore generale, richiede che sia disposta la scarcerazione del condannato ex art. 626
cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza di affidamento in prova ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.) avanzata nell’interesse di NOME COGNOME formulando una prognosi negativa per le pendenze giudiziarie relative a reati commessi in epoca recente e per la mancata assunzione di responsabilità di alcuni fatti commessi e per la minimizzazione del proprio ruolo in altri.
Ricorre NOME COGNOMEa mezzo del difensore avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando la violazione di legge e il vizio di motivazione poiché il Tribunale di sorveglianza, pur a fronte di un giudizio positivo sulla condotta tenuta nel lungo periodo successivo alla commissione dei fatti – durante il quale il condannato ha avviato una stabilee lecita attività lavorativa -, e in presenza di positive valutazioni dell’UEPE, si è limitato a citare le condanne e la mancata ammissione di responsabilità per alcuni dei fatti giudicati, erroneamente citando a sfavore del condannato una vicenda giudiziaria per la quale egli è stato assolto in via definitiva.
Il Procuratore generale ha concluso per l’annullamento con rinvio poiché la motivazione del provvedimento impugnato si presenta carente in quanto generica; essa è fondata esclusivamente sul riferimento ai titoli di reato e alla mancata assunzione diretta delle proprie responsabilità da parte del condannato, senza indicare le ragioni della ritenuta non rilevanza della regolarità della condotta successiva che risulta del tutto non valutata.
Il difensore ha depositato una memoria con la quale, nel condividere la proposta di annullamento formulata dal Procuratore generale, chiede che sia disposta la scarcerazione
ex art. 626 cod. proc. pen.
A tale fine premette:
-nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME il pubblico ministero ha emesso in data 5 marzo 2020 un provvedimento di unificazione di pene concorrenti per la pena residua complessiva di anni 3, mesi 8 e giorni 23 di reclusione, con riferimento al quale ha emanato un ordine di esecuzione per condannato libero con contestuale sospensione dell’esecuzione ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen.;
-il decreto di sospensione è stato, successivamente, revocato dalla Procura generale della Corte di Appello di Roma in data 3 aprile 2025, a seguito del deposito, nella stessa data, della ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la domanda di misura alternativa presentata nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE nel maggio del 2020;
-tale provvedimento è stato tempestivamente impugnato con il ricorso oggi in esame;
-il contestuale ordine di carcerazione, emesso ai sensi dell’art. 656, comma 8, cod. proc. pen., è stato eseguito con la costituzione spontanea di COGNOME NOME
Ad avviso della difesa, il venir meno del presupposto che abilita il pubblico ministero a revocare la già disposta sospensione dell’esecuzione non può rimanere senza conseguenze. L’invocato annullamento della ordinanza che ha respinto la richiesta di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, presentata dallo stato di libertà da COGNOME NOMECOGNOME determina la reviviscenza della situazione precedente, con conseguente immediato ripristino della fase di sospensione dell’esecuzione ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. che il legislatore ha previsto per tutte le condanne da espiare con pena residua non superiore a quattro anni di detenzione, salve le deroghe espressamente previste dal comma 9 della disposizione citata.
Infatti, secondo la difesa, a seguito dell’auspicato annullamento della decisione la situazione del condannato libero ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. regredisce alla fase immediatamente precedente, ciò per la necessità di procedere al giudizio di rinvio che dovrà rivalutare la concedibilità o meno della misura alternativa richiesta.
In una vicenda conclusa con l’annullamento con rinvio di una ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza aveva respinto la domanda di affidamento in prova al servizio sociale presentata dalla libertà, la Corte di Cassazione (Sez. 1, n. 54913 del 26/1/2016) ha osservato che il disposto annullamento «si propaga, ai sensi dell’art. 185, comma 1, c.p.p. al provvedimento del Procuratore Generale della Repubblica» che, disponendo la revoca della sospensione, ha ordinato la carcerazione del condannato, in quanto «atto consecutivo e dipendente» dal provvedimento annullato. Tanto comporta, secondo la sentenza citata, l’immediata liberazione del condannato, dovendo essere ripristinato il suo status libertatis.
La giurisprudenza di legittimità richiamata si colloca, sotto il profilo in esame, nel solco, già da tempo tracciato, di un orientamento interpretativo che concerne la concreta applicazione di una specifica disposizione processuale. Nel disciplinare gli effetti della pronuncia della Cassazione sui provvedimenti di natura personali o reali, l’art. 626 cod. proc. pen. prevede, infatti, che «quando, in seguito ad una sentenza della Corte di cassazione deve cessare una misura cautelare ovvero una pena accessoria o una misura di sicurezza, la cancelleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procuratore generale presso la Corte medesima perché dia i provvedimenti occorrenti».
L’ambito applicativo di tale disposizione è stato ampliato, con una condivisibile interpretazione estensiva da tempo consolidata, fino a ricomprendervi ogni ipotesi di detenzione, anche esecutiva, che sia priva di un titolo che la legittimi (Sez. 4, n. 1377 del
18/04/1995).
In conclusione, ad avviso della difesa, l’art. 626 cod. proc. pen. deve trovare concreta applicazione – anche al di fuori dei casi, espressamente contemplati, della cessazione di una misura cautelare, di una misura di sicurezza o di una pena accessoria – quando debba sospendersi la esecuzione della pena principale o debba comunque cessare una condizione di restrizione della libertà personale (Sez. 1, n. 3664 del 19/1/2012; Sez. F., n. 35981 del 25/8/2015).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che saranno esposte.
La giurisprudenza di legittimità è orientata ad affermare che «ai fini della concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva» (Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015, Incarbone, Rv. 264602).
Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che «in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato» (Sez. 1, n. 773 del 03/12/2013 dep. 2014, COGNOME, Rv. 258402), pur essendo necessario ancorare tale prognosi a dati fattuali obiettivi quali, ad esempio, l’avvio del reinserimento sociale, mediante i quali è possibile saggiare l’affidabilità del condannato.
Più dettagliatamente, si è affermato che le fonti di conoscenza che il tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare sono sia il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia isia anche la condotta carceraria e i risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento, quali l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione ai valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante; si è, quindi, precisato che «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato» (Sez. 1, n. 1410 del 0/10/2019 –
dep. 2020, M., Rv. 277924- 01; Sez. 1, n. 43863 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. 287151 01).
2.1. Quanto all’ammissione di responsabilità da parte del condannato, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che «ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, non configura una ragione ostativa la mancata ammissione degli addebiti; occorre, invece, valutare se il condannato abbia accettato la sentenza e la sanzione inflittagli, in quanto ciò che assume rilievo è l’evoluzione della personalità successivamente al fatto nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale» (Sez. 1, n. 10586 del 08/02/2019, COGNOME, Rv. 274993 01; in precedenza Sez. 1, n. 13445 del 05/03/2013, COGNOME, Rv. 255653 – 01).
Con riguardo alla condotta successiva ai fatti, il Tribunale di sorveglianza non ha adeguatamente valorizzato, nella prospettiva della risocializzazione e del conseguente attenuarsi della pericolosità sociale, gli elementi, che risultano dedotti e riconosciuti dallo stesso Tribunale, concernenti lo stabile inserimento sociale nonché il positivo comportamento tenuto durante il lungo periodo di tempo successivo alla commissione dei fatti per i quali è stato condannato.
Il Tribunale di sorveglianza si è, invece, limitato a valorizzare la non completa ammissione di responsabilità.
Non è stato, di contro, in alcun modo valorizzato il corretto comportamento osservato durante un lunghissimo periodo di tempo in stato di libertà, come pure attestato dall’UEPE, comportamento che, invece, costituisce un indice positivo da tenere in considerazione soprattutto se raffrontato alle antiche condotte illecite e all’assenza di pendenze giudiziarie e di polizia.
Infatti, l’affidamento può essere concesso quando contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. A tale fine è rilevante, a mente dell’art. 47, comma 3-bis, ord. pen., che il condannato abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, un comportamento tale da consentire la prognosi positiva della rieducazione e della prevenzione della recidiva.
L’analisi dei comportamenti recenti è stata del tutto sottovalutata, mentre si è data ingiustificata prevalenza, per la prognosi negativa, alla non completa assunzione di responsabilità per i fatti commessi, ciò in contrasto con la richiamata giurisprudenza di legittimità.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata perché il Tribunale di sorveglianza, nel rispetto dei principi di diritto richiamati, provveda a rinnovare la valutazione dell’istanza del detenuto.
3.1. L’annullamento va disposto con rinvio cui non consegue la scarcerazione del condannato.
La detenzione è, infatti, legittima, ferme le valutazioni della magistratura di sorveglianza cui il provvedimento va comunicato ex art. 107 d.P.R. 30 giugno 200, n. 230 (nuovo regolamento penitenziario).
L’ordine di carcerazione è stato doverosamente emesso ex art. 656, comma 8, cod. proc. pen. a seguito del rigetto della istanza di misure alternative.
3.2. La circostanza che l’ordinanza sia oggetto di annullamento non produce effetti sullo status libertatis poiché l’annullamento è disposto per colmare il vizio della motivazione, senza attingere i presupposti legali di esistenza del provvedimento.
Non è applicabile il principio evocato dalla difesa secondo il quale «la disposizione di cui all’art. 626 cod. proc. pen., anche se dettata per l’ipotesi in cui, a seguito della sentenza della Corte di cassazione, debba cessare una misura cautelare, ovvTo una pena
accessoria, o una misura di sicurezza, deve ritenersi applicabile alle altre ipotesi di cessazione di una condizione di restrizione della libertà personale» (Sez. 1, n. 54913 del 26/01/2016, COGNOME Rv. 268483 – 01, ha ordinato l’immediata comunicazione del dispositivo della decisione al Procuratore Generale, avendo disposto l’annullamento di ordinanza del Tribunale di sorveglianza di applicazione della misura della semilibertà a carico di condannato libero).
La decisione citata, infatti, riguardava la rilevata nullità assoluta e insanabile dell’udienza di sorveglianza, celebrata senza avviso all’imputato, all’esito della quale, nel dichiarare inammissibile l’istanza del condannato di applicazione delle misure alternative alla detenzione, il provvedimento adottato dal Tribunale di sorveglianza costituiva l’unico titolo detentivo.
Nel caso in esame, invece, il titolo è costituito dal provvedimento del pubblico ministero, il quale non è affatto viziato ; né viene travolto dall’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza poiché ne resta ferma l’esistenza, essendo stato validamente emesso il provvedimento reiettivo dell’istanza di misure alternative, unico presupposto di validità del provvedimento esecutivo che ha disposto la carcerazione.
Il potere / dovere del pubblico ministero di revocare, ex art. 656, comma 8, cod. proc. pen., la disposta sospensione dell’esecuzione deriva unicamente dell’emissione del provvedimento che respinge l’istanza, senza che abbia rilievo la rilevata necessità di proseguire il giudizio su di essa.
3.3. Del resto, le regole processuali non prevedono affatto, in caso di annullamento con rinvio, la caducazione del provvedimento, né la scarcerazione del detenuto, salvo il caso di inesistenza o inefficacia del provvedimento (Sez. U, n. 2 del 12/02/1993, COGNOME, Rv. 193414 – 01; Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195356 – 01; Sez. U, n. 6 del 17/04/1996, COGNOME, Rv. 205254 – 01; Sez. U, n. 40 del 22/11/1995 – dep. 1996, COGNOME, Rv. 203772 – 01; Sez. U, n. 6 del 25/06/1997, COGNOME, Rv. 208164 – 01; Sez. U, n. 4443 del 29/11/2005 – dep. 2006, COGNOME, Rv. 232712 – 01).
Il titolo di detenzione è costituito, infatti, dalla sentenza di condanna e dal conseguente provvedimento di esecuzione emesso dal pubblico ministero; l’immediata esecutività dell’ordine di carcerazione costituisce la regola, essendo specificamente individuati i casi nei quali l’ordine di carcerazione non deve essere emesso.
3.4. Va, inoltre, ricordato che la proposizione del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che decide sull’istanza di misure alternative non sospende l’esecuzione del provvedimento restrittivo, che ha disposto la carcerazione, sicché la validità del titolo continua a derivare dalla sua tempestiva emissione e fino alla sua eventuale rimozione, in analogia a quanto dispone l’art. 588, comma 2, cod. proc. pen. rispetto ai provvedimenti in materia di libertà personale, senza che possa farsi derivare alcuna conseguenza caducatoria dalla durata del giudizio di impugnazione e neanche dall’eventuale esito interlocutorio.
3.5. Del pari, non conferente è il richiamo ad altri principi giurisprudenziali:
-Sez. 4, n. 1377 del 18/04/1995, COGNOME, Rv. 201032 – 01, riguardava l’esecuzione disposta senza titolo (il giudice di merito aveva giudicato fondata l’istanza ex art. 175 cod. proc. pen., ma non aveva ordinato la liberazione del detenuto prevista dall’art. 175, comma 7, cod. proc. pen.);
Sez. 1, n. 3664 del 19/01/2012, COGNOME, Rv. 251861 -01, riguardava una misura cautelare priva di titolo;
Sez. F, n. 35981 del 25/08/2015, COGNOME, Rv. 264548 -01, riguardava l’accoglimento
della istanza di rescissione del giudicato (all’epoca di competenza della Corte di cassazione ex art. 625-ter cod. proc. pen.), cui consegue la caducazione del titolo detentivo costituito
dalla sentenza rescissa.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così è deciso, 10/06/2025
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