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Affidamento in prova e onere della prova del condannato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una condannata che chiedeva l’affidamento in prova. La decisione si fonda sul mancato assolvimento dell’onere della prova: la difesa non ha documentato tempestivamente la reperibilità e la situazione socio-lavorativa della propria assistita. I documenti cruciali sono risultati prodotti tardivamente o senza prova di deposito, rendendo legittima la decisione del Tribunale di Sorveglianza che aveva respinto l’istanza per irreperibilità della richiedente.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: L’Onere della Prova è del Condannato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33640/2024) ha ribadito un principio fondamentale nell’ambito delle misure alternative alla detenzione: l’onere della prova riguardo alla sussistenza dei requisiti per accedere al beneficio grava interamente sul condannato. Vediamo come la mancata o tardiva produzione di documenti possa precludere l’accesso a misure come l’affidamento in prova, anche a fronte di una situazione potenzialmente favorevole.

I Fatti del Caso: Una Richiesta Respinta per Irreperibilità

Il caso riguarda una donna condannata a una pena residua di un anno e tre mesi di reclusione per un reato commesso diversi anni prima. La donna aveva presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale, una misura che le avrebbe permesso di scontare la pena in libertà, seguendo un percorso di reinserimento.

Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato la richiesta. La motivazione era netta: la condannata risultava sostanzialmente sconosciuta alle forze dell’ordine e l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) non era riuscito a rintracciarla. Di conseguenza, il Tribunale non era in grado di valutare la sua condizione sociale, abitativa e lavorativa, elementi indispensabili per concedere la misura. In pratica, la donna era stata dichiarata irreperibile.

La difesa aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse ignorato elementi che provavano la reperibilità della donna, come la sua residenza, un contratto di lavoro e la disponibilità di un ente religioso per lo svolgimento di attività.

La Decisione della Cassazione e l’Importanza dell’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Il punto centrale della sentenza ruota attorno al concetto di onere della prova. Secondo la Suprema Corte, non è sufficiente affermare di possedere i requisiti; è necessario dimostrarlo attivamente, presentando tutta la documentazione pertinente in modo tempestivo e formale.

Nel caso specifico, la difesa lamentava la mancata considerazione di documenti cruciali. Tuttavia, dall’analisi degli atti processuali è emerso che:
1. La dichiarazione di disponibilità dell’ente religioso era datata il giorno prima dell’udienza, ma non vi era prova del suo effettivo deposito nel fascicolo del Tribunale.
2. Il documento che attestava l’assunzione lavorativa (UNILAV) era datato addirittura il giorno successivo alla decisione del Tribunale.

Di conseguenza, al momento della decisione, il Tribunale aveva a disposizione unicamente le relazioni negative delle forze dell’ordine e dell’UEPE. La sua conclusione di irreperibilità era, quindi, corretta sulla base degli atti legittimamente a sua disposizione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione sono chiare: un giudice decide sulla base di ciò che è stato formalmente e tempestivamente prodotto e inserito nel fascicolo processuale. Le doglianze della difesa sono state ritenute generiche e manifestamente infondate proprio perché non supportate da prove concrete di un deposito tempestivo della documentazione. La Corte sottolinea come la difesa non abbia mai dimostrato di aver effettivamente presentato i certificati e le attestazioni citati a sostegno della richiesta. La decisione del Tribunale, fondata sugli unici atti presenti nel fascicolo (le comunicazioni di irreperibilità), non è quindi sindacabile.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre una lezione pratica fondamentale: chi richiede una misura alternativa alla detenzione ha il dovere di ‘coltivare’ la propria istanza. Ciò significa assumersi l’onere della prova, raccogliendo e depositando in cancelleria, con congruo anticipo rispetto all’udienza, tutta la documentazione necessaria a dimostrare la propria situazione sociale, lavorativa e familiare. Affidarsi a produzioni documentali dell’ultimo minuto o, peggio, successive alla decisione, equivale a non fornire al giudice gli strumenti per una valutazione favorevole. La passività o la negligenza processuale possono costare care, precludendo l’accesso a benefici importanti per il reinserimento sociale.

Per ottenere l’affidamento in prova, è sufficiente che il condannato abbia i requisiti, come un lavoro e una residenza?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che il condannato ha l’onere di provare attivamente e tempestivamente la propria situazione. Deve produrre in giudizio tutta la documentazione necessaria (contratti, certificati, ecc.) in modo corretto e prima che il giudice decida.

Un documento può essere considerato dal giudice se viene prodotto dopo la data della decisione?
No. In questo caso, uno dei documenti chiave era datato il giorno successivo alla decisione del Tribunale. La Corte di Cassazione ha confermato che il giudice decide sulla base degli atti legittimamente presenti nel fascicolo al momento dell’udienza, rendendo irrilevante la documentazione successiva.

Cosa significa che un ricorso è ‘inammissibile’ per manifesta infondatezza?
Significa che i motivi dell’appello sono così deboli, generici o privi di supporto probatorio da non meritare nemmeno un esame approfondito nel merito. La Corte lo respinge in via preliminare, come accaduto in questo caso perché le censure della difesa erano basate su documenti non correttamente o tempestivamente depositati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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