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Affidamento in prova: disinteresse e onere della prova

Un soggetto condannato a dieci mesi di reclusione ha richiesto l’affidamento in prova. Trovandosi all’estero, non ha mantenuto i contatti con l’ufficio di esecuzione penale (UEPE) dopo la notifica. Il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato l’istanza per manifesto disinteresse. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che l’onere di dimostrare la propria collaborazione e reperibilità per l’affidamento in prova grava sul condannato. La Corte ha inoltre chiarito che il giudice non poteva pronunciarsi sulla detenzione domiciliare, in quanto non era stata richiesta nell’istanza originale.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Affidamento in Prova: Quando il Disinteresse Costa la Libertà

L’accesso alle misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova al servizio sociale, rappresenta un pilastro del sistema penale orientato al reinserimento del condannato. Tuttavia, la concessione di tali benefici non è automatica e richiede un requisito fondamentale: la collaborazione attiva e il concreto interesse del soggetto richiedente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4899/2024) ribadisce questo principio con grande chiarezza, delineando i contorni dell’onere della prova che grava sul condannato.

I Fatti del Caso: Una Richiesta dall’Estero

Il caso riguarda un uomo condannato a una pena di dieci mesi di reclusione, il quale aveva presentato un’istanza per essere ammesso all’affidamento in prova. La particolarità della situazione risiedeva nel fatto che il condannato si trovava in Romania e, a causa di problemi di salute (COVID), aveva inizialmente chiesto un rinvio dell’incontro con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE).

Nonostante la successiva notifica, datata 7 dicembre 2022, inviata sia al suo domicilio eletto sia al suo difensore, l’uomo non aveva più contattato l’UEPE né si era presentato. Di conseguenza, il Tribunale di Sorveglianza di Torino aveva rigettato la sua istanza, motivando la decisione con il manifesto disinteresse dimostrato dal condannato.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Attraverso il proprio legale, il condannato ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su due principali motivi di doglianza:

1. Omessa pronuncia sulla detenzione domiciliare: Il ricorrente lamentava che il Tribunale non si fosse espresso sulla richiesta subordinata di detenzione domiciliare, per la quale, a suo dire, sussistevano tutti i presupposti, come confermato da una nota dei Carabinieri che attestava l’idoneità del domicilio.
2. Mancanza di prova sul disinteresse: Si contestava l’affermazione del Tribunale circa l’assenza di contatti con l’UEPE, sostenendo che non vi fosse una prova concreta di tale fatto negativo.

La Decisione della Suprema Corte e l’onere della prova sull’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente e confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La sentenza si articola su due punti chiave che chiariscono importanti aspetti procedurali e sostanziali in materia di misure alternative.

Le Motivazioni della Corte

In primo luogo, per quanto riguarda l’affidamento in prova, la Corte ha specificato che, di fronte a un’evidente inerzia del condannato, l’onere di dimostrare la propria collaborazione e reperibilità ricade interamente su di lui. Non è sufficiente contestare genericamente l’affermazione del giudice; era compito del ricorrente fornire prove concrete di aver tentato di collaborare con le istituzioni per l’avvio del programma trattamentale. La sua passività è stata interpretata come un chiaro segnale di disinteresse, incompatibile con la finalità della misura richiesta.

In secondo luogo, la Corte ha smontato la censura relativa all’omessa pronuncia sulla detenzione domiciliare. A seguito di una verifica degli atti processuali, è emerso un fatto decisivo: nell’istanza originale, presentata il 17 giugno 2021, il condannato aveva richiesto esclusivamente l’affidamento in prova, senza menzionare in alcun modo, nemmeno in via subordinata, la detenzione domiciliare. Pertanto, il Tribunale di Sorveglianza ha agito correttamente, poiché un giudice non può pronunciarsi su una domanda che non gli è mai stata sottoposta (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato).

Le Conclusioni

La sentenza in commento offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che la concessione di una misura alternativa come l’affidamento in prova non è un diritto automatico, ma una possibilità subordinata a un atteggiamento proattivo e collaborativo del condannato. Il disinteresse e l’irreperibilità sono ostacoli insormontabili, e spetta al richiedente dimostrare il contrario. La seconda lezione riguarda la precisione e la completezza delle istanze legali: le richieste devono essere formulate in modo chiaro ed esplicito, poiché il giudice è vincolato a decidere solo su quanto effettivamente richiesto dalle parti.

Su chi ricade l’onere di dimostrare la collaborazione per ottenere l’affidamento in prova?
La sentenza chiarisce che l’onere ricade sul ricorrente. A fronte di un’inerzia e di un affermato disinteresse, è compito del condannato dimostrare di essere reperibile e di aver prestato la necessaria collaborazione per l’attivazione della misura.

Un giudice può concedere una misura alternativa (come la detenzione domiciliare) se non è stata esplicitamente richiesta?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il Tribunale di Sorveglianza ha agito correttamente non pronunciandosi sulla detenzione domiciliare, poiché dalla verifica degli atti è emerso che il condannato aveva richiesto unicamente l’affidamento in prova.

La sola contestazione delle affermazioni del tribunale è sufficiente in un ricorso per cassazione?
No, non è sufficiente. Il ricorrente si è limitato a contestare quanto riportato nel provvedimento impugnato senza offrire alcuna dimostrazione di circostanze contrarie. La Corte ha ritenuto tale approccio inefficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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