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Additivi non consentiti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato l’assoluzione di un produttore alimentare per aver venduto un insaccato fresco contenente additivi non consentiti (solfiti). La Corte ha stabilito che il divieto di utilizzo è assoluto per quella categoria di prodotti e non è sanato neanche se l’additivo deriva da un ingrediente lecito come il vino. La presenza di tali sostanze integra il reato di vendita di alimenti non genuini, rendendo irrilevante la quantità. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Additivi non consentiti negli Alimenti: Tolleranza Zero secondo la Cassazione

L’utilizzo di additivi non consentiti nei prodotti alimentari rappresenta una questione di primaria importanza per la tutela della salute pubblica e la correttezza del commercio. Con la sentenza n. 10237 del 2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato una linea di rigore assoluto, annullando una sentenza di assoluzione e chiarendo che la presenza di sostanze vietate, come i solfiti in certi tipi di insaccati, rende un alimento “non genuino” ai sensi della legge penale, anche se derivano da ingredienti leciti.

I Fatti del Caso: La Presenza di Solfiti in un Insaccato Fresco

Il caso ha origine dal procedimento a carico del legale rappresentante di un’azienda alimentare, accusato di aver messo in commercio un noto tipo di salsiccia fresca contenente solfiti, sostanze non ammesse dalla normativa specifica per quel prodotto. In primo grado, il Tribunale aveva assolto l’imputato, ritenendo che la presenza di solfiti, in quantità minima e derivante dall’uso di vino bianco nella preparazione, non fosse sufficiente a integrare il reato.

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato la decisione, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione. L’accusa sosteneva che la normativa europea e nazionale vieta in modo categorico l’uso di solfiti nelle preparazioni di carne fresca come quella in esame, e che tale divieto non ammette deroghe, neppure per contaminazione indiretta.

La Decisione della Corte: l’Importanza degli additivi non consentiti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore, annullando la sentenza di assoluzione e rinviando il caso alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio. I giudici supremi hanno stabilito che l’interpretazione della normativa deve essere rigorosa e letterale. Se un additivo non è espressamente autorizzato per una specifica categoria di alimenti, la sua presenza è illegale e rende il prodotto “non genuino” ai sensi dell’articolo 516 del codice penale.

Il Principio del Riporto non è Applicabile

Uno dei punti cruciali della sentenza riguarda il cosiddetto “principio del riporto” (o carry-over). Questo principio consente, a determinate condizioni, che un additivo presente in un ingrediente (in questo caso, i solfiti nel vino) possa essere presente nel prodotto finale. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che la normativa esclude esplicitamente l’applicazione di tale principio per le “preparazioni di carne fresca macinata”. Di conseguenza, la salsiccia non poteva contenere solfiti, neppure in via indiretta.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la normativa sugli additivi alimentari si basa su elenchi positivi: è consentito solo ciò che è espressamente previsto. La “salsiccia fresca” non rientra tra i prodotti per i quali è autorizzato l’uso di solfiti. Pertanto, la loro semplice presenza, a prescindere dalla quantità e dall’origine, viola la legge.

Secondo la Cassazione, un alimento è “non genuino” non solo quando le sue proprietà nutritive sono state alterate, ma anche quando la sua produzione non rispetta le precise regole normative. La condotta di mettere in vendita un tale prodotto integra il reato previsto dall’art. 516 c.p., che mira a proteggere sia la salute pubblica sia la lealtà commerciale.

La Corte ha inoltre precisato che il caso dovrà essere rivalutato dalla Corte d’Appello per accertare la sussistenza del dolo, ovvero la consapevolezza e volontà di vendere un prodotto non conforme. Qualora il dolo non fosse provato, la condotta potrebbe comunque configurare l’ipotesi contravvenzionale, punibile a titolo di colpa, prevista dalla legge speciale sulla disciplina igienica degli alimenti.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un monito importante per tutti gli operatori del settore alimentare. La Corte di Cassazione conferma un orientamento di massima severità riguardo all’uso di additivi non consentiti, stabilendo una sorta di “tolleranza zero”. I produttori devono garantire la conformità assoluta dei loro prodotti alle normative vigenti, effettuando controlli rigorosi non solo sul processo produttivo ma anche sugli ingredienti utilizzati. La derivazione di un additivo da una materia prima lecita non costituisce una scusante se la normativa ne vieta la presenza nel prodotto finito. La tutela del consumatore e la correttezza del mercato esigono il rispetto scrupoloso di regole chiare e inderogabili.

È permessa la presenza di additivi non consentiti in un alimento se derivano da un ingrediente lecito (come il vino)?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il divieto è assoluto per determinate categorie di alimenti. Il “principio del riporto” (carry-over), che potrebbe giustificarne la presenza, non si applica alle preparazioni di carne fresca. Pertanto, la presenza di solfiti, anche se veicolati dal vino, rende l’alimento illegale.

Cosa si intende per “alimento non genuino” ai sensi dell’art. 516 del codice penale?
Secondo la sentenza, un alimento è “non genuino” non solo quando le sue caratteristiche nutrizionali sono state alterate, ma anche quando è prodotto in violazione delle specifiche norme che ne regolano la preparazione. La semplice presenza di un additivo vietato è sufficiente a renderlo tale.

La vendita di un prodotto con un additivo non consentito è sempre un reato commesso con dolo?
Non necessariamente. Il reato previsto dall’art. 516 c.p. richiede il “dolo generico”, cioè la consapevolezza di vendere un prodotto non conforme. La Corte ha rinviato il caso ai giudici di merito per valutare questo aspetto. Se il dolo non fosse provato, la condotta potrebbe comunque essere punita come contravvenzione a titolo di colpa, un reato meno grave.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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