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Acquisizione screenshot: legittima prova senza sequestro

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, stabilendo principi chiari sulla validità delle prove digitali. È stato confermato che l’acquisizione di screenshot da una chat, se forniti da uno dei partecipanti, è una prova pienamente utilizzabile e non necessita di un decreto di sequestro del magistrato. La Corte ha inoltre ribadito il principio del ‘favor querelae’, secondo cui la volontà di denunciare un reato prevale sui formalismi.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Acquisizione Screenshot: Prova Legittima se Fornita da un Partecipante alla Conversazione

L’era digitale ha introdotto nuove sfide nel processo penale, in particolare per quanto riguarda la validità delle prove raccolte da dispositivi elettronici. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un tema di grande attualità: l’acquisizione di screenshot da piattaforme di messaggistica. La Corte ha stabilito che, se a fornire le immagini è uno dei partecipanti alla conversazione, la prova è legittima e non richiede un provvedimento di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di condanna della Corte d’Appello. La difesa sollevava diverse questioni procedurali, sostenendo che il processo fosse viziato fin dalle sue fondamenta. I motivi del ricorso si concentravano su tre punti principali: la presunta improcedibilità dell’azione penale per un vizio formale nella denuncia, l’inutilizzabilità delle prove digitali e un’errata valutazione del materiale probatorio da parte dei giudici di merito.

I Motivi del Ricorso e la questione dell’acquisizione screenshot

L’imputato, attraverso il suo legale, ha articolato il ricorso per Cassazione su tre distinti motivi, due dei quali di particolare interesse procedurale.

Primo Motivo: Denuncia o Querela?

La difesa sosteneva che l’atto iniziale, presentato dalla persona offesa, fosse una semplice denuncia e non una querela formale. Poiché il reato era procedibile solo a querela di parte, secondo il ricorrente il processo non avrebbe dovuto nemmeno iniziare. Si contestava, in sostanza, un vizio di forma che avrebbe dovuto portare a una declaratoria di improcedibilità.

Secondo Motivo: l’Acquisizione degli Screenshot e la Prova Digitale

Il cuore della questione risiedeva nel secondo motivo. L’imputato lamentava la violazione di legge per l’inutilizzabilità delle prove basate su messaggi inviati tramite una nota piattaforma social. La difesa asseriva che l’acquisizione degli screenshot di tali messaggi fosse avvenuta contra legem, ovvero illegalmente, poiché non supportata da un provvedimento di sequestro dell’autorità giudiziaria. Si trattava, secondo questa tesi, di una prova patologicamente inutilizzabile.

Terzo Motivo: Travisamento della Prova

Infine, il ricorrente contestava la valutazione delle prove operata dalla Corte d’Appello, sostenendo un travisamento dei fatti e un vizio di motivazione. Questo motivo, tuttavia, mirava a una rivalutazione del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi e fornendo importanti chiarimenti. I giudici hanno smontato le argomentazioni della difesa con un ragionamento logico e ancorato a consolidati principi giurisprudenziali.

Sul primo motivo, la Corte ha richiamato il principio del favor querelae. Secondo questo orientamento, la volontà di sporgere querela non necessita di formule sacramentali. È sufficiente che la persona offesa, presentando una denuncia alle forze dell’ordine e allegando documentazione utile a identificare l’autore del reato, manifesti implicitamente l’intenzione di perseguirlo penalmente. In caso di dubbio, si deve sempre favorire l’interpretazione che consente l’esercizio dell’azione penale.

Sul secondo e cruciale motivo, relativo all’acquisizione degli screenshot, la Corte ha offerto una duplice risposta. In primo luogo, ha rilevato che la questione non era stata sollevata come specifico motivo di appello, rendendola quindi inammissibile in Cassazione. Ma, entrando nel merito, ha ribadito un principio ormai consolidato: l’acquisizione di screenshot di messaggi, forniti agli inquirenti da uno dei partecipanti alla conversazione (in questo caso, la persona offesa), non richiede un decreto di sequestro. La ragione è che tali messaggi non sono più ‘in itinere’ (in transito), ma sono già stati recapitati sul dispositivo del destinatario, che ne ha piena disponibilità. Egli è quindi legittimato a documentare e presentare tali conversazioni come prova. Inoltre, la Corte ha sottolineato che la difesa non aveva superato la cosiddetta prova di resistenza: non aveva cioè dimostrato come l’eventuale eliminazione di tale prova avrebbe potuto modificare l’esito del giudizio, dato che la condanna si basava anche su altre risultanze investigative.

Infine, il terzo motivo è stato giudicato inammissibile in quanto meramente reiterativo delle doglianze già respinte in appello e tendente a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La Corte ha confermato che la motivazione della sentenza impugnata era logica, coerente e giuridicamente corretta.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida due importanti principi del diritto processuale penale. In primo luogo, rafforza l’idea che la volontà della vittima di un reato di ottenere giustizia debba prevalere sui meri formalismi. In secondo luogo, e con grande impatto pratico, chiarisce definitivamente la legittimità dell’acquisizione di screenshot come fonte di prova, a condizione che provenga da chi ha legittimamente partecipato alla comunicazione. Questa decisione offre uno strumento agile e fondamentale per l’accertamento dei reati commessi attraverso le moderne piattaforme di comunicazione, bilanciando la necessità di tutela della privacy con l’esigenza di repressione degli illeciti.

Una denuncia presentata alle forze dell’ordine può essere considerata una querela valida anche se non usa formule specifiche?
Sì. Secondo il principio del ‘favor querelae’, la volontà di perseguire penalmente l’autore di un reato si desume dalla presentazione di una denuncia accompagnata da elementi utili a identificare il colpevole. Non sono necessarie formule sacramentali e, nel dubbio, si privilegia l’interpretazione che consente la procedibilità dell’azione penale.

È necessario un decreto di sequestro del giudice per utilizzare gli screenshot di una chat come prova in un processo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che se gli screenshot di una conversazione sono forniti agli inquirenti da uno dei partecipanti (come la persona offesa), non è necessario un provvedimento di sequestro. Questo perché i messaggi sono già stati ricevuti dal destinatario e non sono più in fase di trasmissione, rendendone legittima la divulgazione da parte di chi li ha ricevuti.

Perché un motivo di ricorso che contesta l’uso di una prova può essere dichiarato inammissibile?
Un motivo di ricorso sull’inutilizzabilità di una prova può essere dichiarato inammissibile per due ragioni principali evidenziate nel caso: primo, se la stessa eccezione non è stata sollevata nel precedente grado di giudizio (l’appello); secondo, se il ricorrente non dimostra la ‘prova di resistenza’, ossia non spiega come l’eliminazione di quella specifica prova avrebbe cambiato l’esito del processo, rendendola di fatto irrilevante ai fini della decisione finale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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