Accordo sulla Pena e Misure Cautelari: La Cassazione Chiarisce i Limiti
L’istituto dell’accordo sulla pena in appello, previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, ma quali sono i suoi esatti confini? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la validità dell’accordo non può essere messa in discussione dalla delusione delle aspettative dell’imputato su questioni estranee all’accordo stesso, come la revoca di una misura cautelare.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in primo grado dal GUP del Tribunale di Milano per rapina aggravata e lesioni, proponeva appello. In sede di giudizio di secondo grado, le parti raggiungevano un accordo sulla rideterminazione della pena. La Corte di appello di Milano, pur accogliendo il concordato e riformando parzialmente la sentenza, non revocava la misura cautelare a cui l’imputato era sottoposto.
Ritenendo che la sua volontà fosse stata viziata, l’imputato ricorreva in Cassazione, sostenendo di aver prestato il proprio consenso all’accordo proprio perché confidava nella contestuale revoca della misura restrittiva. A suo dire, il mancato verificarsi di questa condizione inficiava la validità del patto raggiunto.
La Decisione della Cassazione: Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, trattandolo con la procedura semplificata ‘de plano’. La decisione si fonda su un principio netto: l’oggetto dell’accordo sulla pena ex art. 599-bis c.p.p. è circoscritto alla sola quantificazione della sanzione penale.
I giudici di legittimità hanno sottolineato che le valutazioni in merito alle misure cautelari sono del tutto estranee al perimetro di tale accordo. Di conseguenza, il mancato accoglimento di una richiesta o di un’aspettativa relativa a tali misure non può in alcun modo essere considerato un vizio della volontà capace di invalidare il consenso prestato sul patteggiamento.
Le Motivazioni della Suprema Corte
Le motivazioni dell’ordinanza sono chiare e dirette. La Corte distingue nettamente tra un diritto e una ‘mera aspettativa’. L’imputato non aveva un diritto alla revoca della misura cautelare, ma nutriva semplicemente una speranza in tal senso. La delusione di questa aspettativa non è giuridicamente rilevante ai fini della validità del consenso prestato per l’accordo sulla pena.
In altre parole, la volontà dell’imputato di accordarsi sulla pena è un atto processuale distinto e autonomo rispetto alle decisioni che il giudice deve assumere in materia di misure cautelari. Queste ultime restano nella piena discrezionalità del giudice, che le valuta sulla base dei presupposti di legge, indipendentemente da eventuali accordi intercorsi tra le parti sulla pena. Pertanto, l’impugnazione è stata ritenuta priva di fondamento e, di conseguenza, inammissibile.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa pronuncia della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale per la difesa tecnica e per gli imputati. Quando si valuta l’opportunità di un accordo sulla pena in appello, è essenziale essere consapevoli che l’oggetto della negoziazione è unicamente la sanzione. Qualsiasi altra aspettativa, seppur comprensibile dal punto di vista umano, non rientra nel patto e non può condizionarne la validità. La decisione sulla libertà personale dell’imputato, attraverso la gestione delle misure cautelari, rimane una prerogativa esclusiva e autonoma del giudice, che la esercita secondo criteri di legge non negoziabili tra le parti.
Un accordo sulla pena in appello include automaticamente la revoca delle misure cautelari?
No, l’ordinanza chiarisce che l’accordo riguarda esclusivamente la rideterminazione della pena e non ha alcun effetto automatico sulle misure cautelari, la cui valutazione resta una decisione autonoma del giudice.
È possibile impugnare un accordo sulla pena se la propria aspettativa di revoca di una misura cautelare viene delusa?
No, la Suprema Corte ha stabilito che la delusione di una mera aspettativa, non essendo la lesione di un diritto, non costituisce un vizio della volontà e non è un motivo valido per impugnare l’accordo. Il ricorso basato su tale motivo è inammissibile.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile in questo caso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) a favore della cassa delle ammende, a causa della colpa nel proporre un’impugnazione senza fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9106 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 9106 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Algeria il 16/8/1990 avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Milano il 19 settembre 2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
La Corte di appello di Milano, aderendo all’accordo intercorso tra le parti ex art. 599-bis cod. proc. pen., ha parzialmente riformato la sentenza resa dal GUP del Tribunale di Milano il 24/1/2024, confermando la responsabilità di NOME in ordine ai reati di rapina aggravata e lesioni, rideterminando la pena come concordata dalle parti.
Ricorre l’imputato deducendo vizio della formazione della volontà dell’imputato, poiché la Corte, pur accogliendo il concordato sulla pena, non ha revocato la misura cautelare cui l’imputato è sottoposto, su cui l’imputato confidava.
Il ricorso deve essere trattato nelle forme «de plano», ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. – come modificato dalla legge n. 103 del 2017 -, trattandosi di impugnazione che deve essere dichiarata inammissibile perché allega la delusione di una mera aspettativa del ricorrente e non di un suo diritto, in quanto le valutazioni in ordine alla misura cautelare non rientrano nell’accordo
sulla pena, e non rilevano ai fini della validità dell’accordo intercorso tra le par ex art. 599 bis cod.proc.pen.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma 8 gennaio 2025