Accordo in appello: la Cassazione chiarisce i limiti dell’impugnazione
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale della procedura penale: l’accordo in appello sulla pena preclude la possibilità di presentare un successivo ricorso per contestarne l’entità. Questa decisione sottolinea come la volontà delle parti, una volta formalizzata in un accordo, diventi vincolante e limiti le successive vie di impugnazione, rendendo il processo più celere ma imponendo una riflessione attenta prima di aderire a tali soluzioni.
I fatti del caso
Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Appello che, accogliendo un accordo tra le parti, aveva rideterminato la pena per un imputato condannato per reati legati alla detenzione di armi, munizioni e sostanze stupefacenti. La pena era stata fissata in due anni e un mese di reclusione, oltre a una multa.
Nonostante l’accordo, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso in Cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava la presunta illogicità del quantum di pena inflitto, sostenendo che, sebbene diverso dal minimo previsto dalla legge, mancasse di una motivazione adeguata.
La decisione della Corte: la centralità dell’accordo in appello
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la sua decisione sulla natura stessa dell’accordo in appello disciplinato dall’articolo 599 bis del codice di procedura penale. Questo istituto processuale consente alle parti, in presenza di motivi di appello che incidono sulla determinazione della pena, di proporre al giudice una pena concordata.
La preclusione all’impugnazione
La Corte ha evidenziato che la sentenza di appello era stata emessa proprio sulla base di tale accordo, che prevedeva anche una rinuncia parziale ai motivi di appello originari. Il raggiungimento di un’intesa sulla pena, secondo i giudici, comporta una serie di preclusioni sull’ulteriore impugnabilità della decisione.
Le motivazioni giuridiche della Suprema Corte
Il fulcro della motivazione risiede nel fatto che l’accordo sulla pena, fondato sulla rinuncia ad altri motivi relativi al trattamento sanzionatorio, determina una radicale inammissibilità di ogni successiva contestazione. In altre parole, una volta che l’imputato accetta una determinata pena in accordo con l’accusa, non può in un secondo momento lamentarsi che quella stessa pena sia ingiusta o immotivata. L’accordo stesso funge da motivazione e sana qualsiasi potenziale vizio legato alla quantificazione della sanzione.
L’atto di concordare la pena equivale a una rinuncia implicita a sollevare future obiezioni su quel punto. Pertanto, il ricorso presentato dall’imputato era palesemente inammissibile perché mirava a rimettere in discussione un aspetto del giudizio che era già stato definito consensualmente.
Conclusioni: le conseguenze pratiche dell’accordo in appello
La decisione della Cassazione rafforza la stabilità delle sentenze emesse a seguito di un accordo in appello. Le implicazioni pratiche sono significative: le parti devono ponderare con estrema attenzione la convenienza di un accordo, poiché una volta raggiunto, esso cristallizza la pena e chiude la porta a ulteriori contestazioni sul merito della sanzione. La conseguenza dell’inammissibilità, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro a favore della cassa delle ammende, a causa dell’evidente infondatezza del ricorso.
È possibile impugnare in Cassazione una pena che è stata concordata tra le parti in appello?
No, la sentenza chiarisce che il raggiungimento di un accordo sulla pena in appello, ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p., implica la rinuncia a contestare ulteriormente il quantum della sanzione, rendendo inammissibile un successivo ricorso su questo punto.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della parte che ha proposto il ricorso al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende.
Perché l’accordo sulla pena esclude la necessità di un’ulteriore motivazione da parte del giudice?
Perché l’accordo stesso, basato sulla volontà concorde delle parti, costituisce la base giustificativa della determinazione della pena, sostituendosi alla motivazione che il giudice dovrebbe altrimenti fornire per spiegare la quantificazione della sanzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45923 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45923 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Bari con sentenza del 20 ottobre 2023, decidendo sull’accordo delle parti rideterminava la pena inflitta a COGNOME per i reati di detenzione di arma comune da sparo e di munizioni, nonché per la detenzione di sostanza stupefacente, in anni due, mesi uno di reclusione e 2.600 euro di multa.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso l’imputato tramite il difensore di fiducia, lamentando con unico motivo l’inosservanza dell’art. 133 cod pen.
In particolare, rilevava la illogicità del quantum di pena inflitto, in quanto, sebbene discosto dal minimo edittale, la concreta determinazione era priva di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata, infatti, è stata emessa sull’accordo delle parti, previa rinuncia parziale ai motivi di appello, e ciò comporta una serie di preclusioni circa l’ulteriore impugnabilità della stessa.
Il particolare procedimento di cui all’art. 599 bis cod. proc. pen. prevede espressamente che “se i motivi di cui viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo”.
Il raggiungimento di tale accordo, fondato sulla rinuncia anche agli altri eventuali motivi relativi al trattamento sanzionatorio, determina la radicale inammissibilità di ogni ulteriore doglianza relativa ad una quantificazione della pena diversa da quella concordata e con riferimento a motivi ai quali la parte ha espressamente rinunciato.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» – della somma di euro 3000 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto dell’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2024