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Abuso edilizio: SCIA non basta, serve il permesso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre individui condannati per un abuso edilizio. La sentenza conferma che la costruzione di opere che richiedono il permesso di costruire, se realizzate con una semplice SCIA, costituiscono reato. Inoltre, viene ribadito che gli accordi privati tra confinanti non possono derogare alle norme urbanistiche imperative sulle distanze e che la consapevolezza di realizzare l’opera è sufficiente per configurare l’elemento soggettivo del reato.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Abuso edilizio: quando la SCIA non è sufficiente e scatta il reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33790/2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia edilizia: la differenza tra i vari titoli abilitativi e le conseguenze penali in caso di abuso edilizio. La pronuncia chiarisce che l’utilizzo di una SCIA per lavori che richiedono il permesso di costruire integra il reato, e che la buona fede o gli accordi privati non possono scusare la violazione delle norme urbanistiche.

I fatti del caso: una costruzione illegittima

Il caso ha origine dalla costruzione di una soletta in calcestruzzo e di un box metallico sovrastante. I lavori erano stati realizzati dal proprietario dell’area e da un committente, sulla base di un progetto redatto da un geometra che aveva presentato una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). Tuttavia, l’intervento, per sua natura, avrebbe richiesto il rilascio di un permesso di costruire. Oltre a ciò, la costruzione violava le disposizioni del piano regolatore comunale relative alle distanze minime tra fabbricati e alla destinazione urbanistica della zona.

Il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello avevano entrambi condannato i tre soggetti per il reato di abuso edilizio, disponendo la demolizione delle opere e il risarcimento dei danni. Contro la decisione di secondo grado, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione.

Le difese e l’errata percezione della liceità

Gli imputati hanno basato i loro ricorsi su tre argomenti principali:
1. Violazione delle norme sulle distanze: Sostenevano che le norme invocate non fossero applicabili al caso di specie e che un accordo privato con i confinanti li autorizzasse a costruire a confine.
2. Mancanza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa): Affermavano di aver agito in buona fede, confidando nella legittimità della SCIA presentata, e che solo la successiva anomalia amministrativa avesse reso illecito il loro operato.
3. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Lamentavano una motivazione carente sulla negazione di questo beneficio.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, confermando la condanna e fornendo chiarimenti fondamentali.

Il titolo edilizio corretto è imprescindibile

Il punto centrale della decisione è l’inadeguatezza del titolo abilitativo utilizzato. La Corte ha ribadito un principio consolidato: se la legge richiede un permesso di costruire, realizzare l’opera con una semplice SCIA costituisce un abuso edilizio ab origine. La natura abusiva dell’opera è quindi acclarata sin dal momento della sua esecuzione. Il fatto che gli imputati avessero successivamente tentato di ottenere una sanatoria, poi annullata dal Tribunale Amministrativo (TAR), non solo non sana l’illecito, ma ne dimostra la piena consapevolezza.

Gli accordi privati non prevalgono sulla normativa urbanistica

La Cassazione ha smontato anche la tesi difensiva basata su un presunto accordo tra privati per costruire in deroga alle distanze. Le norme urbanistiche, in particolare quelle sulle distanze tra pareti finestrate, hanno carattere imperativo e sono poste a tutela di interessi pubblici. Di conseguenza, non possono essere derogate da convenzioni private. Un accordo di servitù tra vicini non può legittimare una costruzione che viola il piano regolatore.

La sussistenza dell’elemento soggettivo nell’abuso edilizio

Infine, la Corte ha respinto la tesi della mancanza di colpa. In materia di reati edilizi, l’elemento soggettivo è integrato dalla semplice coscienza e volontà di realizzare l’opera in violazione delle norme. Non è necessario un intento fraudolento o una specifica consapevolezza dell’illiceità. È sufficiente la consapevolezza di compiere l’atto materiale, cioè la costruzione senza il titolo corretto. La presunta complessità della normativa non costituisce una scusante.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per tutti gli operatori del settore edilizio: la scelta del corretto titolo abilitativo è un passaggio non negoziabile. Confidare in una SCIA per interventi che richiedono il permesso di costruire espone a gravi conseguenze penali, tra cui la condanna, la demolizione dell’opera e il risarcimento dei danni. La Corte di Cassazione conferma un approccio rigoroso, sottolineando che l’interesse pubblico alla corretta pianificazione del territorio prevale sempre sugli accordi privati e sulla presunta buona fede di chi costruisce violando la legge.

È possibile costruire un’opera edilizia con una semplice SCIA quando la legge richiede un permesso di costruire?
No, la sentenza conferma che se un intervento edilizio, per sua natura, richiede il permesso di costruire, realizzarlo presentando una semplice SCIA integra il reato di abuso edilizio. Il titolo abilitativo deve essere quello specificamente previsto dalla normativa.

Un accordo privato tra vicini può derogare alle norme urbanistiche sulle distanze tra edifici?
No, la Corte ribadisce che le norme urbanistiche, come quelle sulle distanze minime tra pareti finestrate, sono imperative e tutelano interessi pubblici. Pertanto, non possono essere modificate o derogate da accordi e convenzioni stipulate tra privati.

Per essere condannati per abuso edilizio è necessario dimostrare l’intenzione specifica di violare la legge?
No, per la configurazione del reato è sufficiente la consapevolezza di compiere l’atto materiale che costituisce l’abuso (cioè la costruzione illegittima). Non è richiesta una specifica volontà di violare la norma penale o un intento fraudolento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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