Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29748 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29748 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato ad Agrigento il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Comitini (Ag) il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 19/9/2023 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi; lette le conclusioni del difensore dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi, anche con memoria e documentazione
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/9/2023, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia emessa il 14/10/2022 dal Tribunale di Agrigento, con la quale NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati giudicati colpevoli del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001
380, limitatamente alla realizzazione di una veranda, e condannati alla pena di 20 giorni di arresto e 12mila euro di ammenda ciascuno.
Propongono ricorso per cassazione COGNOME e la COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
COGNOME:
Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 157, 161 cod. pen. La Corte di appello non avrebbe dichiarato la prescrizione del reato, maturata il 30/8/2023 alla luce di 105 giorni di sospensione; e senza poter calcolare, invece, il rinvio d’ufficio dal 29/6/2020 al 7/12/2020, perché inefficace a fini di prescrizione, ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 140 del 2021;
inosservanza di norme processuali. Con riguardo alla dedotta violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza (la prima contesterebbe l’esecuzione di opere in difformità da un permesso di costruire; l’altra riconoscerebbe opere eseguite in forza di un permesso di costruire illecito) la sentenza non motiverebbe affatto, limitandosi ad affermare – con argomento apodittico – che la difesa non avrebbe subito alcun pregiudizio, e senza pronunciarsi sulla contestata violazione;
nullità della sentenza. La motivazione non permetterebbe di comprendere l’iter logico seguito dalla Corte, anche a causa di una frase tronca verosimilmente incompleta circa la necessità del permesso di costruire per realizzare la veranda. L’istruttoria, peraltro, avrebbe confermato che il permesso di costruire rilasciato nel 2017 non era affatto illecito, anche in ragione dell’interpretazione offerta dai tecnici comunali. La Corte di appello, pertanto, non avrebbe potuto confermare la condanna senza ripercorrere i passaggi logici necessari tanto sul profilo oggettivo del reato, quanto su quello psicologico, specie in assenza di una illogicità manifesta del provvedimento emesso (e poi annullato) dal Comune.
COGNOME:
il primo motivo ribadisce l’eccezione di prescrizione già sollevata dal COGNOME, negli stessi termini;
nullità della sentenza, che non permetterebbe di comprendere l’iter logico seguito dalla Corte in punto di elemento soggettivo del reato. In particolare, la sentenza si muoverebbe lungo affermazioni apodittiche, sostenendo che la ricorrente avrebbe dovuto vigilare sull’operato del progettista usando la dovuta diligenza, ma senza indicare quali concrete attività la stessa avrebbe dovuto compiere. Quanto alla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, la sentenza non terrebbe conto del fatto che questo era successivo alla realizzazione della veranda (con
ingiunzione del 20/8/2018, successiva all’annullamento in autotutela emesso dal Comune). Si lamenta, poi, l’affermata illegittimità del permesso di costruire, richiamando le stesse considerazioni di cui sopra con particolare riguardo al profilo soggettivo della condotta, palesemente assente stante la mancanza di una macroscopica illegittimità del titolo rilasciato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano manifestamente infondati; al riguardo, peraltro, nessun rilievo può avere la documentazione prodotta dalla difesa il 7/6/2024 (sentenza emessa dal RAGIONE_SOCIALE di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana del 23/11/2023), in quanto successiva all’emissione della sentenza impugnata.
Con riguardo, in primo luogo, all’eccezione di prescrizione del reato, sollevata da entrambi gli imputati, la stessa non può trovare accoglimento.
4.1. La prescrizione, infatti, è rimasta sospesa dal 9/9/2019 al 6/12/2019, dal 6/12/2019 al 27/1/2020 e dal 1°/7/2022 al 14/10/2022, per un totale di 245 giorni: muovendo dalla data di accertamento del reato – 17/5/2018 – e letti gli artt. 157, 161 cod. proc. pen., la prescrizione è quindi maturata il 17/1/2024, successivamente alla pronuncia di appello.
In ordine, poi, al secondo motivo proposto dal COGNOME, che lamenta il vizio di motivazione quanto al dedotto difetto di correlazione tra contestazione e sentenza, lo stesso risulta manifestamente infondato.
5.1. Al riguardo, occorre premettere che, per costante e Condivisa giurisprudenza di legittimità, il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possib individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi (tra le molte, Sez. 3, n. 7146 del 4/2/2021, Rv. 281477); con l’effetto che non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza quando vi è corrispondenza tra l’individuazione degli elementi tipici della fattispecie contestata e l’accertamento contenuto nella sentenza di condanna, a nulla rilevando eventuali difformità quantitative e qualitative degli elementi di definizione della condotta, dell’evento e del nesso causale in considerazione della relatività delle tecniche descrittive utilizzate nella redazione della imputazione (tr le altre, Sez. 2, n. 12328 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 276955).
5.2. Tanto premesso e ribadito, il Collegio rileva allora che la motivazione resa dalla Corte di appello sul punto risulta adeguata e priva di illogicità manifesta; come tale, dunque, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha evidenziato
che l’oggetto della contestazione era sempre stato il medesimo – il carattere abusivo di una veranda – e che, pertanto, la differente prospettiva ravvisata dai giudici del merito rispetto alla contestazione (opere realizzate in forza di u permesso di costruire illegittimo, piuttosto che in difformità del permesso di costruire stesso) non dava luogo ad alcun rapporto di eterogeneità o di incompatibilità tra condotta rubricata e condotta ritenuta, emergendo, piuttosto, la piena vicinanza tra le due contestazioni, i cui tratti erano ben emersi nel corso dell’istruttoria, così garantendo ampio e pieno esercizio delle prerogative difensive.
5.3. I ricorsi, di seguito, risultano manifestamente infondati anche laddove contestano alla sentenza di non chiarire il percorso logico-giuridico seguito, rendendo così una motivazione viziata. In senso contrario, infatti, si osserva che la Corte di appello ha ampiamente motivato quanto alle caratteristiche dell’opera contestata (una veranda di 104,50 mq., costruita da struttura portante e da copertura in legno lamellare, saldamente ancorata al suolo con intelaiatura zincata fissata a piattaforma in calcestruzzi), sottolineando le ragioni per le quali la stess non poteva essere edificata (ampiamente riportate alle pagg. 4-6, specie con riguardo alla violazione della legge regionale n. 16 del 2016). Sui profili oggettiv del reato, peraltro, nessuno dei ricorsi spende argomento, dovendosi pertanto ritenere la questione estranea ad ogni contestazione: come le censure della COGNOME, infatti, si muovono esclusivamente lungo il versante psicologico della condotta, così quella del COGNOME si limita di fatto ad evidenziare – sempre nella medesima ottica soggettiva – la ritenuta regolarità dell’opera, confermata dall’interpretazion favorevole della normativa che gli stessi tecnici comunali sarebbero stati soliti compiere.
5.4. Non viene speso argomento, pertanto, per superare le adeguate e solide considerazioni della Corte d’appello, che – muovendo dalle citate caratteristiche (e dimensioni) dell’opera – ha evidenziato che il ricorrente, titolare di una impresa edile e dotato di un’evidente competenza specifica, versava in chiara condizione quantomeno di colpa: anche per l’esperienza maturata nel settore, infatti, egli avrebbe dovuto rendersi conto – usando la normale diligenza – della palese contrarietà dell’intervento rispetto alla normativa regionale, sul presupposto che questa avrebbe consentito al più la realizzazione di una tettoia “precaria” uguale a quella precedente e demolita, non già una veranda come quella sopra descritta. In forza di questi argomenti, la Corte di appello ha dunque riscontrato anche l’elemento soggettivo del reato.
Il ricorso del COGNOME, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Alle stesse conclusioni, di seguito, la Corte giunge anche quanto alla COGNOME.
6.1 La colpevolezza dell’imputata è stata riconosciuta sul presupposto che proprietaria e committente dell’opera abusiva – avrebbe dovuto “meglio vigilare
sull’operato del progettista e del costruttore”, usando la dovuta diligenza in relazione proprio alle caratteristiche strutturali ed alle dimensioni della veranda i questione. Ebbene, questa motivazione non appare censurabile, anche perché sostenuta da un ulteriore e significativo argomento, quale la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione (che seguiva l’annullamento del permesso di costruire), ritenuta – con affermazione non manifestamente illogica – evidenza di un concreto ed effettivo interesse alla realizzazione dell’opera abusiva; adeguatamente riconosciuta, pertanto, ai sensi dell’art. 29, d.P.R. n. 380 del 2001, in forza del quale il titolare del permesso di costruire, il committente e il costrutto sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue l’irrilevanza della prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello, non essendosi costituito alcun valido rapporto processuale.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
sigliere estensore II
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2024
F Presidente