Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30278 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30278 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
In nome del Popolo Italiano
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME COGNOME nato a Catania il 23/04/1931, avverso la sentenza in data 30/09/2024 della Corte di appello di Catania, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha dichiarato che l’avv. NOME COGNOME aveva rinunciato alla difesa e ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 30 settembre 2024 la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza in data 29 giugno 2022 del G.u.p. del Tribunale di Siracusa che aveva condannato l’imputato alle pene di legge per la violazione dell’art. 44 lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), dell’art. 1161 cod. nav. (capo B), dell’art. 733 cod. pen. (capo D).
Il ricorrente lamenta con il primo motivo la violazione di legge in relazione al reato dell’art. 44 lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 perchØ per le opere di sbancamento era stata erroneamente applicata la normativa urbanistica anzichØ quella ambientale, nonostante fosse stata effettuata la rimozione dei rifiuti.
Deduce con il secondo la violazione di legge e la violazione di norme processuali nonchØ il vizio di motivazione, perchØ il predetto intervento non aveva determinato una modifica permanente del suolo ma aveva realizzato solo un ripristino ambientale, rientrante tra le attività di interesse pubblico o preminente previste dalla normativa ambientale. Dopo aver richiamato in suo favore una serie di atti amministrativi per comprovare la legittimità del
suo operato – verbale di sopralluogo del 29 aprile 2020, relazione tecnica geologica, autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza, comunicazione SUAP del 15 maggio 2020 – nonchØ l’orientamento del Consiglio di Stato secondo cui l’attraversamento temporaneo del demanio marittimo per finalità pubblicistiche non costituiva occupazione abusiva, invoca l’applicazione della scriminante dell’art. 59, quarto comma, cod. pen., nella forma putativa, perchØ non Ł prevista la punibilità in forma colposa della contravvenzione dell’art. 1161 cod. nav. Insiste sul fatto che l’aver agito al solo fine di rimuovere i rifiuti era circostanza idonea a escludere la sussistenza della piena consapevolezza della rilevanza penale del fatto. E, in ogni caso, precisa di aver agito su autorizzazione dell’amministratore giudiziario e della Procura della Repubblica per cui qualsiasi omissione, ivi compresa la mancata richiesta di un’autorizzazione alla Capitaneria, era da ascriversi a loro. Lamenta sul punto l’omessa risposta della Corte di appello.
Denuncia infine con il terzo motivo la violazione di legge e la violazione di norme processuali in relazione al reato dell’art. 733 cod. pen., sotto il profilo soggettivo e oggettivo. Sostiene che l’area non era sottoposta a vincolo archeologico, che non vi era certezza del reperto, non vi era stato effettivo nocumento al patrimonio archeologico, non si poteva desumere l’elemento soggettivo dalla richiesta del parere alla Soprintendenza dei beni culturali e archeologici.
Nella memoria replica alla requisitoria del Procuratore generale e insiste nelle sue ragioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. COGNOMEIl ricorso Ł nel complesso infondato.
I Giudici di merito hanno accertato in fatto che l’imputato, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, ha proceduto alla pulizia di un sito per la successiva urbanizzazione, con sbancamento del terreno che ha determinato la modifica permanente dell’orografia. Come verificato dalla Capitaneria di porto, prima dell’intervento, il terreno digradava verso il mare, mentre, dopo l’intervento, presentava un terrazzamento con un dislivello di dieci metri. Di qui la condanna per il reato dell’art. 44 lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, siccome le opere edilizie non erano state assentite. L’occupazione del demanio marittimo e il danneggiamento delle mura bizantine hanno giustificato la condanna per i reati degli art. 55 e 1161 cod. nav. e dell’art. 733 cod. pen.
Il primo motivo di ricorso relativo al reato edilizio Ł infondato. Il ricorrente ha sostenuto di aver eseguito non un intervento edilizio, bensì una bonifica ambientale. Tale prospettazione Ł del tutto eccentrica rispetto alle risultanze istruttorie, essendo stato accertato che i rifiuti si erano comunque stratificati in quarant’anni e integrati con gli altri materiali, e non si confronta con i principi di diritto costantemente applicati dalla giurisprudenza di legittimità a cui ha fatto puntuale riferimento la Corte di appello. Integra, infatti, il reato edilizio la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di opere di spianamento e di riporto di terreno (Sez. 3, n. 29466 del 22/02/2012, COGNOME, Rv. 253154 – 01), tra cui, a esempio, la realizzazione di un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno (da ultimo Sez. 3, n. 7538 del 11/01/2024, COGNOME, Rv. 285956-01, ma si vedano amplius , Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268847-01, che ha chiarito che tale attività determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli Ł proprio, e Sez. 3, n. 28457 del
30/04/2009, COGNOME, Rv. 244569-01, secondo cui integra l’illecito edilizio l’esecuzione, in assenza del permesso di costruire, di interventi finalizzati a realizzare un’area attrezzata per il rimessaggio ed il deposito giudiziario di veicoli, in quanto, pur non consistendo in un’attività di edificazione in senso stretto, comporta comunque una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo a un impiego diverso da quello che gli Ł proprio). Pertanto, anche le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono sempre assoggettate a titolo abilitativo edilizio (Sez. 3, n. 4916 del 13/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262475 – 01).
A differenza di quanto sostenuto dalla difesa, non vi Ł un collegamento esclusivo tra il rifiuto e la normativa ambientale, ma sono la natura dell’intervento, la sua funzione e le modalità di esecuzione che orientano, di volta in volta, l’applicazione della normativa edilizia o di quella ambientale o di entrambe. Nel caso in esame, correttamente i Giudici di merito hanno accertato che, in disparte la normativa ambientale, il ricorrente non si Ł limitato a rimuovere i rifiuti, ma, nel rimuoverli, ha asportato anche il terreno sottostante, compiendo un intervento edilizio non autorizzato. NØ vale in senso opposto argomentare che l’intervento era stato concordato con gli Uffici che si sarebbero dovuti attivare per sollecitare eventuali ulteriori richieste di autorizzazioni. Spetta sempre al ricorrente verificare la legittimità della propria azione, anche in itinere .
Il secondo motivo, inerente alla violazione degli art. 55 e 1161 cod. nav., Ł manifestamente infondato perchØ non si confronta con la pur laconica motivazione della sentenza impugnata. I Giudici di merito hanno, infatti, accertato che le opere edilizie non autorizzate di sbancamento erano state eseguite anche in una porzione di terreno distante a meno di trenta metri dal demanio marittimo, in spregio della fascia di rispetto. L’argomento difensivo dell’occupazione temporanea per finalità pubblicistiche Ł dunque stravagante rispetto alle risultanze istruttorie da cui Ł emersa una permanente trasformazione del territorio per lavori edili privati, finalizzati alla successiva urbanizzazione. Il reato ha natura permanente e cessa solo con il conseguimento dell’autorizzazione prescritta o con la demolizione del manufatto edificato entro la fascia demaniale (tra le piø recenti, Sez. 3, n. 36605 del 15/02/2017, COGNOME, Rv. 270730 – 01). Il ricorrente ha poi invocato in suo favore la scriminante putativa sul presupposto di aver agito per rimuovere i rifiuti senza la consapevolezza della rilevanza penale del fatto sotto il profilo edilizio. Tale tesi Ł inconsistente perchØ i Giudici di merito hanno accertato invece l’arbitrarietà della condotta e quindi il dolo (Sez. 3, n. 5168 del 21/12/2023, dep. 2024, Reale, Rv. 285943 – 01). Lo stesso ricorrente ha richiamato in suo favore la relazione del consulente del P.m. secondo cui per rimuovere i rifiuti era necessario occupare il demanio marittimo. Ma, all’evidenza, la condotta tenuta non si Ł limitata alla rimozione dei rifiuti, avendo avuto a oggetto lo sbancamento del terreno e quindi essendo consistita in un vero e proprio intervento edilizio.
Il terzo motivo, relativo al reato dell’art. 733 cod. pen., Ł del pari inammissibile. I Giudici di merito hanno accertato che l’intervento edilizio ha danneggiato le mura bizantine che si trovavano sul sito. Il ricorrente ha negato la sussistenza sia dell’elemento oggettivo che soggettivo. In particolare, ha allegato che non vi era l’oggettiva e generale notorietà del rilevante pregio del bene, non vi era la consapevolezza di tale pregio, non vi era l’effettivo nocumento al patrimonio archeologico. Il motivo Ł in larga parte nuovo perchØ, dalla sintesi del motivo di appello, non confutata dal ricorrente, risulta che la contestazione abbia avuto a oggetto non il nocumento del bene archeologico bensì l’ignoranza del vincolo, giustificata dal fatto che si trattava di pochi resti murari che, nel dubbio sulla loro storicità e valenza culturale, erano stati protetti. La motivazione della Corte di appello, che Ł ineccepibile, Ł
tutta concentrata in ciò, e cioŁ che l’esistenza del vincolo non era elemento costitutivo del reato. Il motivo Ł poi fattuale e rivalutativo con riferimento all’accertamento alla consapevolezza del rilevante pregio del bene. Infatti, i Giudici hanno desunto la prova di tale consapevolezza dalla preventiva richiesta dell’autorizzazione alla Soprintendenza che aveva addirittura inviato un proprio tecnico al fine di sorvegliare i lavori perchØ non fossero danneggiati i resti archeologici ivi esistenti. La motivazione Ł logica e razionale e resiste alla censura sollevata.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Così deciso, il 27 giugno 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME