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Abuso edilizio permanente: no alla prescrizione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due soggetti condannati per la realizzazione di un’opera abusiva. La sentenza chiarisce che in caso di abuso edilizio permanente, la prescrizione non decorre finché l’attività illecita non cessa definitivamente. La Corte ha ritenuto che la prosecuzione dei lavori, anche dopo un sequestro, impedisce l’estinzione del reato, confermando la condanna e respingendo le tesi difensive sulla natura pertinenziale dell’opera e sulla particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Abuso Edilizio Permanente: la Cassazione Blocca la Prescrizione

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia edilizia: il reato di abuso edilizio permanente non si prescrive finché la condotta illecita perdura. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti su come viene calcolato il tempo necessario per l’estinzione del reato, soprattutto quando i lavori abusivi proseguono nel tempo. Analizziamo insieme il caso e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Costruzione Abusiva e Violazione dei Sigilli

La vicenda riguarda due persone condannate in primo grado e in appello per aver realizzato opere edili senza alcuna autorizzazione. Nello specifico, avevano costruito ventotto pilastri in cemento armato su un solaio preesistente, in violazione delle normative urbanistiche e antisismiche. A seguito di un controllo, l’area era stata sottoposta a sequestro, ma uno degli imputati aveva violato i sigilli, proseguendo i lavori.

I due condannati hanno quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre principali motivi: l’avvenuta prescrizione dei reati, la qualificazione dell’opera come semplice pertinenza (e quindi non soggetta a permesso di costruire) e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa sosteneva che il tempo per la prescrizione fosse ormai maturato prima della sentenza d’appello. Inoltre, i ricorrenti affermavano che i pilastri, essendo costruiti su una struttura preesistente, dovessero essere considerati una pertinenza, un’opera accessoria per cui non era necessario il permesso di costruire. Infine, lamentavano che la Corte d’Appello non avesse valutato la possibilità di escludere la punibilità per la lieve entità del reato, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale.

L’Analisi della Corte sull’Abuso Edilizio Permanente

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi manifestamente infondati, rigettandoli integralmente. Il punto centrale della decisione riguarda la natura di abuso edilizio permanente. I giudici hanno chiarito che i reati edilizi, come la costruzione senza permesso, sono reati la cui condotta illecita si protrae nel tempo.

La consumazione del reato non si esaurisce con l’inizio dei lavori, ma continua fino alla loro completa ultimazione, comprese le finiture, o fino alla cessazione definitiva dell’attività abusiva. Di conseguenza, il termine di prescrizione (il cosiddetto dies a quo) inizia a decorrere solo dal momento in cui l’abuso cessa. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano accertato che i lavori erano proseguiti anche dopo il sequestro. Non essendo stata fornita alcuna prova di una cessazione definitiva e inequivocabile, il reato era da considerarsi ancora in corso di consumazione, impedendo così il decorso della prescrizione.

Rigetto delle Altre Istanze: Pertinenza e Tenuità del Fatto

La Cassazione ha respinto anche gli altri due motivi. L’argomentazione sulla pertinenza è stata giudicata generica. Per essere tale, un’opera non solo deve servire un edificio principale, ma deve anche avere dimensioni oggettivamente ridotte. La costruzione di ventotto grandi pilastri su un’ampia superficie è stata ritenuta, anche implicitamente dai giudici di merito, un intervento di dimensioni rilevanti e non una semplice pertinenza.

Infine, è stata esclusa l’applicabilità della particolare tenuità del fatto. La Corte ha sottolineato la gravità della condotta, caratterizzata dalla violazione di normative urbanistiche e antisismiche, dalla realizzazione di un’opera di dimensioni significative e, per uno degli imputati, dall’ulteriore reato di violazione dei sigilli. Tale gravità complessiva è risultata incompatibile con il presupposto della tenuità dell’offesa.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla consolidata giurisprudenza in materia di reati edilizi. Il principio chiave è che l’abuso edilizio permanente è una condotta illecita che si protrae nel tempo. La prescrizione non può iniziare a decorrere fino a quando non vi sia la prova certa della cessazione dell’attività abusiva, che può coincidere con il completamento finale dell’opera o con un abbandono definitivo dei lavori. La prosecuzione delle opere, specialmente in spregio a un provvedimento di sequestro, non solo aggrava la posizione dell’imputato ma conferma la permanenza del reato, bloccando di fatto il cronometro della prescrizione. La gravità intrinseca di una costruzione abusiva di rilevanti dimensioni, che mette a rischio la sicurezza e l’ordine del territorio, esclude inoltre la possibilità di beneficiare di istituti premiali come la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un orientamento rigoroso nei confronti dell’abusivismo edilizio. Chi realizza opere senza permesso non può contare sul semplice trascorrere del tempo per ottenere l’estinzione del reato se l’attività illegale non viene interrotta in modo definitivo e provato. La decisione sottolinea che la cessazione della permanenza deve essere dimostrata con dati oggettivi e univoci. Per i proprietari e i costruttori, ciò significa che l’unico modo per far partire il termine di prescrizione è completare l’opera o dimostrare inequivocabilmente l’abbandono del cantiere, altrimenti il reato continuerà a essere perseguibile.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per un abuso edilizio permanente?
La prescrizione inizia a decorrere solo dal momento in cui l’attività edilizia abusiva cessa definitivamente. Tale cessazione può coincidere con l’ultimazione completa dei lavori, incluse le rifiniture, oppure con l’abbandono definitivo e inequivocabile del cantiere.

Un’opera abusiva può essere considerata una ‘pertinenza’ per evitare il permesso di costruire?
No, se non ha dimensioni oggettivamente ridotte. Secondo la giurisprudenza, per essere qualificata come pertinenza urbanistica, l’opera deve avere un volume modesto (generalmente inferiore al 20% dell’edificio principale) ed essere funzionale all’edificio stesso. La realizzazione di opere di grandi dimensioni, come 28 pilastri su un’ampia soletta, non rientra in questa categoria.

Perché la Corte ha escluso l’applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’?
La Corte ha ritenuto il fatto complessivamente grave. La valutazione ha tenuto conto non solo delle dimensioni rilevanti dell’opera abusiva, ma anche della violazione di normative urbanistiche e antisismiche e, per uno degli imputati, della commissione di un ulteriore reato (violazione di sigilli). Questa gravità è stata giudicata incompatibile con la nozione di ‘particolare tenuità’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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