Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21066 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21066 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte di appello di Campobasso nel procedimento a carico di:
1.Di NOME COGNOME NOME, nato a Campobasso il DATA_NASCITA
2.COGNOME NOME, nato a Campobasso il DATA_NASCITA
3.NOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/10/2023 della Corte di appello di Campobasso visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO nell’interesse della parte civile NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso riportandosi alla memoria in atti;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso riportandosi alla memoria scritta.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Campobasso – in riforma della sentenza del 23 gennaio 2023 del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Campobasso – ha assolto con la formula ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’ NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato loro ascritto ai sensi RAGIONE_SOCIALE artt. 110 e 323 cod. pen., per avere, il primo quale Presidente della Giunta Regionale, in concorso con COGNOME e COGNOME, quali assessori, in violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 che impone la motivazione di ogni provvedimento amministrativo, emesso la deliberazione di Giunta Regionale n. 354 del 14 luglio 2016 con la quale nominavano il direttore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e i componenti del predetto nucleo in totale assenza di motivazione, procurando ai componenti nominati e in danno di NOME COGNOME un ingiusto vantaggio patrimoniale.
Rileva la Corte territoriale come le modifiche dell’art. 323 cod. pen., introdotte dall’art. 23 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, abbiano determinato una abolitio criminis parziale, rendendo non più punibili le condotte che, nel caso di specie, erano state contestate, almeno in parte, in termini di violazione di regole di condotta non espressamente previste da norme di legge e, comunque, regole la cui applicazione comportava l’esercizio di poteri caratterizzati da margini di discrezionalità.
Nel caso in esame, non risulta rinvenibile, a monte dell’atto incriminato, una norma di azione che regoli effettivamente e con certezza la procedura di nomina del direttore e dei componenti del RAGIONE_SOCIALE, imponendo una procedura comparativa tra i candidati, procedura espressamente esclusa, per tali organismi, dall’articolo 7, comma 6quater, d. Igs. 165 del 2001.
Si tratta di un punto della decisione rispetto al quale la sentenza impugnata ha espressamente dissentito dalla ricostruzione del giudice di primo grado secondo cui, invece, nella procedura di nomina la Giunta regionale avrebbe dovuto attenersi alla regola di azione a contenuto specifico che derivava dalla deliberazione di Giunta n. 774 del 31 dicembre 2015, con la quale venivano dettate le “linee guida dell’organizzazione del RAGIONE_SOCIALE“, e dalla delibera n. 129 del 31 marzo 2016 con la quale veniva individuato il contenuto dell’Avviso Pubblico da diramare per la procedura di selezione.
Tale avviso art. 4) prescriveva ai candidati esterni all’Amministrazione la redazione di una domanda (sulla base dei Modelli A) e B), rispettivamente previsti per il direttore e i componenti), indicando i titoli posseduti e, quindi, prevedendo una generica procedura comparativa affidata ad una apposita commissione.
Secondo la sentenza impugnata è erroneo il presupposto stesso sul quale era fondata la sentenza di primo grado poiché, invece, le linee guida di cui alla delibera di Giunta numero 129 del 31 marzo 2016 non indicavano una procedura comparativa specificando unicamente che la selezione dei candidati dovesse avvenire tramite avviso pubblico e che dovesse essere affidata ad un’apposita commissione di valutazione.
2.Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO della Repubblica presso la Corte di appello di Campobasso con due motivi di ricorso di seguito sintetizzati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei li strettamente indispensabili ai fini della motivazione:
2.1. violazione di legge, in relazione agli artt. 323 cod. pen. e 3 I. 241 del 1990 e vizio di motivazione, per carenza e apparenza della stessa, per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che le condotte accertate fossero state depenalizzate, senza tenere conto della disposizione recata dall’art. 3 della I. 241/1990 che impone l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, disposizione che costituisce norma avente immediatamente contenuto precettivo con la conseguenza che la mancanza di motivazione della nomina dei componenti è idonea ad integrare il vizio di violazione di legge ai fini della qualificazione d fatto come delitto di abuso di ufficio. Se è vero, infatti, che nelle linee guida dell delibera di Giunta n. 129 del 31 marzo 2016 per l’istituzione, organizzazione e il funzionamento dei RAGIONE_SOCIALE e i componenti del predetto nucleo, non era indicata la procedura comparativa per la selezione e nomina dei componenti, specificando che la stessa dovesse avvenire tramite avviso pubblico e dovesse essere affidata al giudizio di apposita commissione, tale previsione rendeva ancora più cogente l’obbligo di motivazione della scelta tanto più che la delibera era stata preceduta da altre delibere finalizzate alla nomina. Osserva il ricorrente, in punto di diritto, che l’art. 323 cod pen. è stato oggetto di una parziale abolitio criminis che, tuttavia, non ha riguardato l’obbligo di motivazione in relazione ai margini o profili di discrezionalità amministrativa delle nomine all’esito di procedure di selezione, nomine che non possono ritenersi del tutto fiduciarie e come tali svincolate da parametri di legalità e trasparenza;
2.2. violazione dell’obbligo di motivazione della sentenza impugnata che non contiene una motivazione rafforzata che dia ragione delle difformi conclusioni
rispetto a quella di primo grado. Vieppiù la sentenza impugnata, sommariamente motivata, non esplicita le ragioni, viceversa illustrate nella sentenza di primo grado, sull’obbligo della Giunta di indicare i parametri seguiti nella valutazione dei candidati e di sostenere, attraverso la motivazione, le proprie scelte dando conto delle ragioni per le quali la candidata COGNOME era stata del tutto pretermessa anche dall’incarico di componente venendo superata da candidate che non possedevano i suoi requisiti, con una scelta che aveva costituito, per la predetta, un danno di cui aveva atto, con decisione definitiva, il giudice del lavoro in esito alla una causa intentata per “perdita di chances”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente rilevato che il reato dal quale gli odierni imputati sono stati assolti non è prescritto alla data odierna per effetto della sospensione del termine di prescrizione della durata di sessanta giorni, a seguito di rinvio, per legittimo impedimento del difensore, dell’udienza del 25 ottobre 2022.
Il ricorso deve essere rigettato perché proposto per motivi infondati.
È manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso nella parte in cui richiama l’obbligo della motivazione rafforzata, una nozione delineata nella giurisprudenza di questa Corte quando le difformi valutazioni del giudice di appello, rispetto alla sentenza di condanna di primo grado, sono fondate sull’alternativa valutazione del materiale probatorio.
Nel caso in esame, invece, assume rilievo, ed è stata oggetto di difforme valutazione dei giudici del merito, a fronte di una delibera di nomina dei componenti e del direttore del RAGIONE_SOCIALE di valutazione pacificamente priva di motivazione, la individuazione delle coordinate normative che regolano la scelta: il tema centrale del ricorso e della sentenza è costituito proprio dalla individuazione della esistenza, a monte del provvedimento di nomina, della previsione della procedura di selezione attraverso una valutazione comparativa dei candidati.
Per tali aspetti, dunque, il motivo di ricorso si risolve nella reiterazione del primo motivo di ricorso che deve ritenersi, per le ragioni che verranno di seguito i indicate, infondato.
4.Come noto, sulla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 323 cod. pen. è intervenuta la modifica introdotta con l’art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che ha ristretto l’ambito applicativo dell’art. 323 cod. pen., determinando l’ aboliti() criminis delle condotte, antecedenti all’entrata in vigore della riforma, realizzate
mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità.
Fermi restando gli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie, il delitto abuso di ufficio per violazione di legge, in conseguenza delle su indicate modifiche, è ora configurabile solamente nei casi in cui la violazione da parte dell’agente pubblico abbia avuto ad oggetto “specifiche regole di condotta”, e non anche regole di carattere AVV_NOTAIO; solo se tali specifiche regole sono dettate “da norme di legge o da atti aventi forza di legge”, dunque non anche quelle fissate da meri regolamenti ovvero da altri atti normativi di fonte subprimaria; e, in ogni caso, a condizione che le regole siano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all’agente, restando perciò esclusa l’applicabilità della norma incriminatrice laddove quelle regole di condotta rispondano in concreto, anche in misura marginale, all’esercizio di un potere discrezionale (in questo senso, Sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359; Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296).
Alla luce di tali premesse va considerata giuridicamente corretta la decisione della Corte di appello di Campobasso di ritenere che il fatto di reato, così come addebitato nel capo d’imputazione in termini di violazione di legge, non è più previsto dalla legge come reato.
La Corte di appello ha chiarito, con motivazione adeguata, come fosse insufficiente il richiamo alle regole di condotta genericamente indicate nell’art. 97 Cost. a proposito dei principi di buona amministrazione e di imparzialità che devono governare l’operato dei pubblici agenti, secondo il riferimento contenuto nella sentenza di primo grado, e, soprattutto, come il dedotto vizio di mancanza della motivazione della delibera di nomina del direttore e dei componenti non fosse idoneo ad integrare il vizio di violazione di legge assumendo a parametro l’art. 3 della I. 241 del 1990.
Nel rispetto dei principi di tipicità e legalità, che hanno orientato la scelta de legislatore, è necessario individuare, quale presupposto del reato di abuso di ufficio, una specifica regola di condotta prevista dalla legge al fine di ritener integrata la illegittimità dell’atto amministrativo.
Una specifica regola di condotta che, come spiegato con chiarezza nella decisione impugnata, non può essere desunta dall’art. 3 della legge 241 del 1990, individuando nella disposizione un contenuto di portata immediatamente precettiva, essendo, invece, necessaria la previsione, a monte dell’obbligo di motivazione, di una precisa regola che consenta di dettagliare e circoscrivere l’azione amministrativa e sulla quale si innesta anche l’obbligo di motivazione quale enunciazione dei criteri seguiti.
La conseguenziale assenza di motivazione non può in sé equivalere ad abuso di ufficio, a meno di non ritenere tale generalissima norma di legge una norma di principio non ontologicamente diversa dall’art. 97 Cost., replicando, così, una interpretazione che questa Corte di legittimità ha ritenuto non più praticabile a seguito della riforma (Sez. 6, n. 38125 del 11/07/2023, Bazzarelli, Rv. 285184).
Detto in altri termini, ai fini della integrazione del reato di abuso di ufficio motivazione del provvedimento amministrativo è, a propria volta, necessariamente ancorata a criteri che rinvengono da una precisa regola di condotta di portata precettiva, tale non potendo essere riconosciuta quella di cui all’art. 3 della legge 241 del 1990 se non in ragione della eterointegrazione attraverso una ulteriore norma primaria di azione, a contenuto specifico, poiché, altrimenti, inquadrando il vizio di violazione di legge sotto il parametro del principio AVV_NOTAIO (sia pure fondamentale ai fini della imparzialità e trasparenza) quale quello della motivazione, sia essa assente, insufficiente e/o incoerente, si finirebbe con il riespandere l’ambito applicativo della norma incriminatrice di cui all’art. 323 cod. pen.
4.1. Non è revocabile in dubbio, secondo la pacifica ricostruzione delle sentenze di merito e del ricorso proposto dal Pubblico Ministero, che l’art. 7, comma 6-quater d. Igs. 165/2001, in materia di gestione delle risorse umane, esonera la pubblica amministrazione dalle procedure comparative nella scelta dei componenti RAGIONE_SOCIALE organismi dei Nuclei di valutazione.
Secondo la stessa ricostruzione del Pubblico Ministero ricorrente, infatti, anche la delibera di Giunta n. 129 del 31 marzo 2016 non contiene una regola specifica sulla procedura da seguire, poiché indica una selezione, ma non una procedura comparativa che possa essere individuata come fonte di un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell’adozione dell’atto in cui si sostanzia l’abuso di ufficio.
Né tale previsione è contenuta nell’art. 4 dell’Avviso Pubblico, che non specifica i criteri di valutazione.
5.Ciò nondimeno il ricorrente sostiene che proprio l’ampiezza della previsione dei poteri di scelta rendesse cogente il ricorso alla motivazione del provvedimento adottato il quale, non essendo motivato con riferimento al criterio seguito nella / comparazione dei candidati, sarebbe stato assunto in violazione dell’art. 3 della I. n. 241 del 1990 e, pertanto, in violazione di legge.
Si tratta di un’esegesi non condivisibile.
Il tenore letterale della nuova norma incriminatrice e il significato che alla stessa va attribuito alla luce dei lavori parlamentari, idonei ad illustrare quale si
stata la reale voluntas legis, consentono di affermare non solo che con la riforma in argomento si sia voluta escludere la possibilità di ritenere integrato il reato d abuso sulla base della sola accertata violazione dell’art. 97 Cost. / ma che, al di là dell’occasione che aveva determinato l’intervento del legislatore, si sia voluto incidere sulla configurabilità del reato di abuso di ufficio selezionando le modalità tipiche di realizzazione attraverso la precisazione che l’abuso deve consistere nella violazione di regole specifiche: un riferimento che mira ad impedire che si sussuma nell’ambito della condotta tipica anche l’inosservanza di norme di principio (quali quelle contenute nella disposizione costituzionale) o di regole generali dell’azione amministrativa, quale l’art. 3 della I. 241 del 1990, diverse da quelle specifiche da cui è dato desumere schemi comportamentali passibili di inottemperanza, contenuti nella legge o in atti aventi forza di legge, ossia di regole specifiche che, a loro volta, devono rimandare a regole formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all’agente.
La sussunzione dell’art. 97 Cost., quale norma integratrice dell’art. 323 cod. pen., secondo la evidente finalità posta a fondamento della scelta legislativa, aveva elevato a condotta punibile qualunque lesione arrecata al bene giuridico, introducendo una clausola AVV_NOTAIO che elideva, nella prassi, anche il filtro costituito dalle modalità dell’offesa: una conclusione alla quale si presterebbe anche l’utilizzazione dell’art. 31. 241 del 1991 quale diretto ed unico parametro di riferimento del reato di abuso di ufficio.
6.11 tema della idoneità della violazione dell’art. 3 della I. 241 del 1990 ad integrare il reato di abuso di ufficio è più volte venuto all’attenzione della Corte d legittimità, anche se spesso collegato alla violazione di ulteriori norme procedimentali.
Fra le prime decisioni va ricompresa una risalente affermazione secondo cui è idonea ad integrare la violazione di legge rilevante ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 323 cod. pen. la inosservanza da parte del pubblico ufficiale del dovere di motivazione del provvedimento e della forma scritta imposti dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, ancor prima, dall’art. 7 della legge 9 maggio 1989, n. 168 (Sez. 6, n. 13341 del 27/10/1999, COGNOME, Rv. 215278). Sono, invece, molto più numerose le decisioni che hanno ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 323 cod. pen. richiamando la violazione dell’art. 3 della I. 24 del 1990 sotto il profilo della mancanza di una istruttoria volta ad individuare un adeguato numero di potenziali aspiranti al conferimento dell’incarico ed a verificarne l’idoneità, e quindi la mancanza di una congrua motivazione sulla scelta adottata, quali carenze che avevano avuto effetto sulla decisione (ex multis, Sez. 6, n. 18149 del 07/04/2005, COGNOME, Rv. 231341).
Decisione, quella ora richiamata, emessa proprio in relazione ad un caso di conferimento di un incarico esterno.
Va ricordato che, in una prima fase di applicazione della disposizione di cui all’art. 323 cod. pen., modificata dalla I. n. 234 del 1997, il presupposto della condotta di abuso era stato collegato alla violazione di norme comportamentali non meramente strumentali alla regolarità del servizio, cioè destinate a svolgere la loro funzione solo all’interno del procedimento (cfr. su tale analisi Sez. 6, n. 5597 del 11/02/1999, Chirico, Rv. 213898), nozione che, tuttavia, era stata dilatata ricomprendendo nella violazione di norme di legge tutte quelle disposizioni che, in modo diretto o mediato, avevano incidenza sulla così detta fase decisoria di composizione del conflitto d’interessi materiali oggetto di valutazione amministrativa o la cui violazione incidesse su posizioni soggettive “sostanziali”.
E’ innegabile che la disposizione dell’art. 323 cod. pen., nella vecchia formulazione, si era prestata ad una lettura estensiva, agevolata dalla lettera della legge, strutturata sul riferimento alla “violazione di norme di legge o di regolamento” e rendendo problematica la definizione, sul piano della tipicità dell’illecito, del delitto di abuso di ufficio.
Una difficoltà alla quale, con la riforma del 2020, si è inteso sopperire attraverso la complessa definizione dei presupposti della illegittimità dell’atto suscettibili di integrare la condotta di reato in presenza di attività amministrative che appaiono influenzate dalla proiezione di interessi privati nella gestione della funzione pubblica, risultato che, nella presente vicenda, è stato diffusamente illustrato nelle conclusioni della parte civile che, a sostegno della illegittimità del delibera di nomina dei componenti e del direttore del RAGIONE_SOCIALE, ha evidenziato l’intreccio di interessi sottesi alla scelta di professionisti meno titolati rispetto parte civile.
7.11 difensore della parte civile, a sostegno della fondatezza dei motivi di ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, da una parte, ha ribadito l’esito del processo svoltosi dinanzi al giudice del lavoro, che aveva riconosciuto la illegittimità dell delibera che aveva escluso la COGNOME, assegnandole un risarcimento danni per “perdita di chances”, e, dall’altra, ha illustrato i principi della giurispruden amministrativa sull’obbligo di motivazione.
Anche tali prospettazioni non sono, tuttavia, condivisibili.
La soluzione cui è pervenuto il giudice del lavoro risulta incentrata, infatti, sull’applicazione alla vicenda in esame delle prescrizioni recate dal d.p.r. n. 262 del 21 dicembre 2012, che hanno dettato le modalità di designazione dei componenti dei Nuclei stessi. L’art. 4 del d.P.R. n. 262 cit., in particolare, prescrive che “la scelta dei componenti esterni, ove necessaria, avviene tramite procedure
selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che assicurino adeguata pubblicità delle selezioni e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e la trasparenza”.
Rileva la Corte che il decreto ora indicato è stato emanato in attuazione della legge n. 144 del 1999 che aveva istituto i Nuclei (art. 1), senza nulla prevedere in materia di nomina dei componenti.
La Manifesta infondatezza di tale argomentazione emerge dal rilievo che la riscrittura dell’art. 323 cod. pen., attraverso la legge di modifica del 2020, ha eliminato il riferimento ai regolamenti quale fonte delle norme integratrici del precetto, individuando con chiarezza quali siano le norme passibili di essere violate in quanto costituite da “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge…”.
Il tenore della disposizione (che esprime una opzione politico-criminale di favore, pertanto non suscettibile di censure in punto di legittimità costituzionale) esclude tout court dal perimetro delle norme rilevanti ai fini della integrazione della fattispecie di cui all’art. 323 cod. pen. la violazione di regole contenute in fonti di rango sub legislativo, quale il decreto n. 262 cit., ancorché richiamate dalla legge, in quanto non si tratta di regole “espressamente” previste dalla legge ma desunte da fonte subordinata.
Deve, infine, rilevarsi come siano controverse anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato la valenza e la portata della motivazione del provvedimento amministrativo in un ambito in cui la valutazione del giudice amministrativo si gioca prevalentemente sul controllo dell’esercizio della discrezionalità della pubblica amministrazione: un ambito di operatività dell’azione amministrativa che, a seguito dell’apportata modifica legislativa, è posto al di fuori del sindacato del giudice penale ai fini della configurabilità, nella concreta fattispecie, del reato abuso di ufficio, sicché risulta incongruente richiamare nell’ordinamento penale regole desunte dal un ordinamento diverso.
8. Dalle argomentazioni svolte consegue il rigetto del ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 12 marzo 2024
La Consigliera relatrice