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Abuso d’ufficio: la nuova legge e la motivazione

La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione di alcuni amministratori pubblici accusati del reato di abuso d’ufficio per aver effettuato nomine senza motivazione. La sentenza chiarisce che, a seguito della riforma del 2020, il reato sussiste solo in caso di violazione di una ‘specifica regola di condotta’ prevista da una legge, che non lasci alcun margine di discrezionalità. La violazione del solo obbligo generale di motivazione, previsto dalla L. 241/1990, non è più sufficiente a integrare il delitto.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Abuso d’ufficio: Quando la Mancanza di Motivazione Non è Più Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21066/2024) ha messo un punto fermo sull’interpretazione del reato di abuso d’ufficio dopo la riforma del 2020. La Corte ha stabilito che la semplice violazione dell’obbligo generale di motivare un provvedimento amministrativo non è più sufficiente per configurare questo delitto. È necessaria la violazione di una regola di condotta specifica, prevista dalla legge, che non lasci alcun margine di discrezionalità all’agente pubblico. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Nomina Pubblica Sotto Accusa

Il caso riguardava tre amministratori pubblici, tra cui il Presidente di una Giunta Regionale, accusati di abuso d’ufficio in concorso. L’accusa si fondava sull’aver emesso una delibera di nomina del direttore e dei componenti di un ‘Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici’ in totale assenza di motivazione. Tale condotta, secondo l’accusa, aveva procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale ai soggetti nominati e, al contempo, un danno a un’altra candidata, poi costituitasi parte civile, che era stata ingiustamente esclusa dalla selezione.

Il Percorso Giudiziario e la Riforma dell’abuso d’ufficio

Se in un primo momento gli imputati erano stati condannati, la Corte d’appello aveva ribaltato la decisione, assolvendoli con la formula ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’. Il cuore della decisione di secondo grado risiedeva nell’impatto della riforma dell’art. 323 del codice penale, introdotta dal decreto-legge n. 76 del 2020. Questa modifica ha ristretto notevolmente l’ambito di applicazione del reato di abuso d’ufficio.
Il Procuratore generale ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la violazione dell’obbligo di motivazione, sancito dall’art. 3 della legge 241/1990, costituisse ancora una violazione di legge penalmente rilevante.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Procuratore, confermando l’assoluzione e fornendo chiarimenti decisivi sulla portata della nuova norma.

Violazione di Legge vs. Discrezionalità Amministrativa

Il punto centrale della sentenza è la distinzione tra violazione di norme generali e violazione di ‘specifiche regole di condotta’. La riforma del 2020 ha voluto escludere dall’area del penalmente rilevante le condotte che violano principi generali, come quello di buona amministrazione (art. 97 Cost.) o, appunto, l’obbligo di motivazione, quando questi lasciano comunque un margine di discrezionalità all’amministrazione.
Perché si configuri il reato, oggi è necessario che il pubblico ufficiale violi una norma di legge (o di un atto avente forza di legge) che imponga un comportamento specifico e vincolato, senza spazi per scelte discrezionali.

L’Irrilevanza dell’Obbligo Generale di Motivazione

Nel caso specifico, la Cassazione ha chiarito che l’art. 3 della legge 241/1990, pur fondamentale per la trasparenza amministrativa, costituisce una norma di carattere generale. La sua violazione (l’assenza di motivazione) può integrare il reato di abuso d’ufficio solo se si combina con un’altra norma primaria che detti criteri precisi e vincolanti per la scelta.
Poiché la legge che regolava la nomina (d.lgs. 165/2001) escludeva espressamente una procedura comparativa per tali organismi, la scelta era intrinsecamente discrezionale. Di conseguenza, la mancata motivazione non ha violato una ‘specifica regola di condotta’ come richiesto dalla nuova formulazione dell’art. 323 c.p.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando la voluntas legis della riforma del 2020: evitare che il giudice penale possa sindacare l’esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione. Il legislatore ha inteso circoscrivere l’intervento penale ai soli casi in cui l’agente pubblico disattenda un obbligo specifico e puntuale, formulato in termini che non lascino margini di scelta. L’obbligo di motivazione, essendo un principio generale che si applica a un’azione discrezionale, non rientra in questa casistica. Inoltre, la Corte ha specificato che le norme contenute in fonti sub-legislative (come regolamenti o decreti), anche se richiamate dalla legge, non possono più fondare una condanna per abuso d’ufficio, poiché la norma incriminatrice richiede espressamente la violazione di ‘legge o atti aventi forza di legge’.

Conclusioni: L’Impatto della Sentenza sull’abuso d’ufficio

Questa sentenza consolida un’interpretazione restrittiva del reato di abuso d’ufficio, offrendo maggiori certezze agli amministratori pubblici. La decisione chiarisce che la responsabilità penale non deriva più dalla violazione di principi generali di correttezza e trasparenza, ma è ancorata alla trasgressione di comandi legali specifici e non discrezionali. Se da un lato ciò riduce il rischio di un’eccessiva ‘penalizzazione’ dell’attività amministrativa, dall’altro sposta la tutela contro gli atti amministrativi illegittimi ma discrezionali sul piano della giustizia amministrativa e della responsabilità civile o erariale, anziché su quello penale.

Dopo la riforma del 2020, la violazione dell’obbligo di motivare un atto amministrativo costituisce sempre abuso d’ufficio?
No. Secondo la sentenza, la sola assenza di motivazione, che viola un principio generale (art. 3 della L. 241/1990), non è sufficiente a configurare il reato di abuso d’ufficio. È necessario che tale violazione si innesti sulla trasgressione di una ‘specifica regola di condotta’, prevista da una legge, che non lasci alcun margine di discrezionalità all’amministratore.

Cosa intende la Corte per ‘specifica regola di condotta’ nel reato di abuso d’ufficio?
Per ‘specifica regola di condotta’ si intende una norma, contenuta in una legge o in un atto avente forza di legge, che impone all’agente pubblico un comportamento preciso e vincolato, eliminando ogni spazio per una scelta o valutazione discrezionale.

Le norme contenute in regolamenti o decreti presidenziali possono integrare il reato di abuso d’ufficio se violate?
No. La sentenza chiarisce che la riforma del 2020 ha escluso le fonti di rango sub-legislativo (come i regolamenti) dal novero delle norme la cui violazione può costituire abuso d’ufficio. La regola violata deve essere ‘espressamente prevista dalla legge o da atti aventi forza di legge’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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