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Abuso d’ufficio: concessioni e discrezionalità

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di assoluzione per il reato di abuso d’ufficio a carico di un amministratore di società. Il caso riguardava la proroga di una concessione demaniale marittima ottenuta tramite un atto pubblico. La Corte ha ritenuto viziata la motivazione del giudice d’appello, che aveva definito l’atto contemporaneamente come ‘meramente ricognitivo’ e connotato da ‘ampi margini di discrezionalità’, una contraddizione logica. La decisione sottolinea che, anche dopo la riforma del 2020, l’abuso d’ufficio sussiste se vengono violate norme specifiche, e non solo principi generali, richiedendo un nuovo esame del caso.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Abuso d’ufficio e concessioni: la Cassazione fa chiarezza sulla discrezionalità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 30940/2024) riaccende i riflettori sul controverso reato di abuso d’ufficio, specialmente dopo la riforma del 2020. La Corte ha annullato l’assoluzione di un imprenditore nel settore delle concessioni demaniali marittime, evidenziando una cruciale contraddizione nella valutazione dell’atto amministrativo al centro del caso. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere i nuovi confini tra discrezionalità lecita e violazione penalmente rilevante della legge.

I fatti del processo

Il caso ha origine dal ricorso del Procuratore generale contro la sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Appello di Trieste a favore di un amministratore di una società titolare di una concessione demaniale marittima. L’imputato era stato accusato di abuso d’ufficio in concorso con un pubblico ufficiale (giudicato separatamente) per aver ottenuto una proroga di 15 anni della propria concessione. Tale proroga era stata formalizzata attraverso un cosiddetto “atto ricognitivo della durata ex lege della concessione”.

Secondo l’accusa, questo atto era illegittimo perché la concessione originaria non possedeva i requisiti richiesti dalla legge per beneficiare dell’estensione temporale. In primo grado, il Giudice aveva condannato l’imprenditore, ritenendo che l’atto contenesse affermazioni non veritiere e che la procedura per la proroga fosse stata attivata in violazione delle norme vigenti.

La Corte di Appello, invece, aveva ribaltato la decisione, assolvendo l’imputato con la motivazione che l’atto in questione fosse meramente “ricognitivo”, cioè descrittivo di una situazione già esistente, e che la materia presentasse “ampi margini di discrezionalità interpretativa”, tali da escludere l’applicazione della nuova e più restrittiva fattispecie di abuso d’ufficio.

La decisione della Corte di Cassazione e l’analisi dell’abuso d’ufficio

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore generale, annullando la sentenza di assoluzione e rinviando il caso a un’altra sezione della Corte di Appello per un nuovo giudizio. Il fulcro della decisione risiede nella critica serrata alla motivazione dei giudici di secondo grado.

La Cassazione ha evidenziato una palese contraddizione logica: un atto non può essere, allo stesso tempo, “meramente ricognitivo” e frutto di “ampi margini di discrezionalità”.

* Un atto ricognitivo, per sua natura, si limita a constatare e certificare una realtà giuridica preesistente, senza alcuna valutazione o scelta. È un atto privo di discrezionalità.
* Al contrario, se un atto presuppone una valutazione circa la sussistenza dei presupposti di legge per applicare una determinata norma (come in questo caso la proroga), allora non è più una mera constatazione, ma un vero e proprio giudizio che implica, per definizione, un esercizio di potere, anche se vincolato dalla legge.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha censurato la Corte di Appello per non aver adeguatamente considerato le argomentazioni della sentenza di primo grado, che aveva accertato la potenziale falsità delle affermazioni contenute nell’atto contestato.

Le motivazioni

La sentenza si sofferma sull’impatto della riforma del 2020 (D.L. n. 76/2020) sul reato di abuso d’ufficio. La nuova formulazione dell’art. 323 del codice penale ha ristretto l’ambito di applicazione del reato, escludendo la punibilità per la violazione di norme generali e astratte o di principi come l’imparzialità e il buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.).

Tuttavia, la Cassazione chiarisce un punto fondamentale: la riforma non ha depenalizzato ogni condotta che implichi un margine di discrezionalità. Il reato continua a sussistere quando il pubblico ufficiale viola “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge”. La violazione deve riguardare una norma concreta che impone un comportamento specifico, non un principio generico.

Nel caso di specie, la Corte di Appello dovrà quindi riesaminare i fatti per accertare se l’atto di proroga della concessione abbia violato specifiche disposizioni di legge che ne regolavano il rilascio, andando oltre una generica valutazione di opportunità.

Le conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione è di estrema importanza perché traccia una linea netta nella valutazione del reato di abuso d’ufficio post-riforma. Stabilisce che la qualificazione di un atto come “ricognitivo” non può essere usata come uno scudo per mascherare un’effettiva valutazione discrezionale, potenzialmente illegittima. La decisione impone ai giudici di merito un’analisi rigorosa e non contraddittoria della natura degli atti amministrativi e della condotta dei pubblici ufficiali, verificando se siano state violate specifiche norme di legge, unico presupposto per la configurabilità del reato. Il nuovo processo dovrà dunque concentrarsi su questo aspetto cruciale, abbandonando l’incongruente binomio tra atto ricognitivo e discrezionalità.

Un atto pubblico può essere contemporaneamente ‘ricognitivo’ e ‘discrezionale’ ai fini del reato di abuso d’ufficio?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che ciò rappresenta una contraddizione logica. Un atto ricognitivo si limita a constatare una realtà esistente, senza margini di scelta. Se invece presuppone una valutazione sulla sussistenza di presupposti di legge, non è puramente ricognitivo e implica un giudizio che può avere profili di discrezionalità.

Dopo la riforma del 2020, il reato di abuso d’ufficio si applica se un pubblico ufficiale viola una legge che richiede interpretazione?
Sì. La sentenza chiarisce che la riforma ha escluso la punibilità per la sola violazione di principi generali e astratti (come l’imparzialità). Il reato, però, sussiste quando la condotta viola norme specifiche ed espresse che regolano l’azione amministrativa, anche se queste lasciano un residuo margine di discrezionalità. Il giudice deve verificare se sono state violate regole di comportamento specifiche.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione in questo caso?
La sentenza è stata annullata perché la motivazione della Corte di Appello era viziata da due difetti principali: primo, era contraddittoria nel definire l’atto come ‘ricognitivo’ ma anche ‘discrezionale’; secondo, non si era confrontata con le argomentazioni della sentenza di primo grado che avevano evidenziato la possibile falsità di quanto attestato nell’atto stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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