Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30940 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO della Repubblica presso la Corte di appello di Trieste nel procedimento a carico di COGNOME NOMENOME nato a Latisana (Ud) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/9/2023 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza;
udite le conclusioni del difensore della parte civile, AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni dei difensori dell’imputato, AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/9/2023, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della pronuncia emessa il 6/12/2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, assolveva NOME COGNOME dai reati di cui ai capi Al) e B), perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili.
Propone ricorso per cassazione il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO della Repubblica presso la Corte di appello di Trieste, deducendo – con unica censura l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale. La Corte di appello avrebbe assolto l’imputato dal reato di abuso d’ufficio, così come da quello di cui all’art. 353-bis cod. pen. (estraneo al ricorso), con motivazione viziata: l’istanza per l’applicazione della I. 30 dicembre 2018, n. 145 alla concessione demaniale marittima n. 4/2011, intestata a “RAGIONE_SOCIALE.I. s.r.l.” (di cui l’imputato e amministratore), non avrebbe invero potuto essere accolta, in quanto la concessione medesima era scaduta da quasi due anni, così da non poter essere prorogata (fino al 31/12/2033) ai sensi della legge citata. L’atto pubblico emesso dal coimputato NOME COGNOME su richiesta dello stesso COGNOME risulterebbe peraltro illegittimo, poiché falso, in quanto la concessione citata sarebbe stata rilasciata in forza di un’istanza formulata nel 2009, ma mai pubblicata nei modi e nelle forme dovute, così come la concessione n. 4/2018 sarebbe stata rilasciata come titolo provvisorio, così da non rientrare nell’alveo della previsione di cui alla I. n. 145 del 2018. In forza di ciò, il ricorrente evidenzia che lo stesso atto, sebbene definito ricognitivo, avrebbe invece carattere costitutivo, certificando circostanze false in mancanza delle quali la concessione non avrebbe mai potuto ottenere proroga. Si osserva, peraltro, che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza, lo stesso atto non rivestirebbe alcun carattere discrezionale, tale non potendo essere quello che si esaurisce in una mera ricognizione dell’esistente. Risulterebbe viziata, pertanto, l’affermazione della Corte di appello in forza della quale proprio tale carattere discrezionale impedirebbe la consumazione del reato di abuso d’ufficio, per come novellato da ultimo dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla I. 11 settembre 2020, n. 120. D’altronde, anche la giurisprudenza di questa Corte successiva alla novella avrebbe chiarito che l’eliminazione degli atti discrezionali dalla portata della norma rileverebbe soltanto per i casi cui tale discrezionalità concerna le modalità di esercizio di un potere, non anche la verifica a monte dei presupposti di legge per l’esercizio medesimo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La difesa ha depositato memoria, con la quale ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta fondato.
Preliminarmente, il Collegio ritiene opportuno richiamare i tratti decisivi della materia – quella delle concessioni demaniali marittime – che costituisce il contesto dal quale origina il procedimento, in quanto, sebbene non direttamente coinvolta nel ricorso, è stata ampiamente trattata nelle sentenze di primo e di secondo grado; a tale proposito, appare sufficiente, per completezza di argomento ed autorevolezza di fonte, ribadire il contenuto della recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 109 del 16/4/2024, depositata il 24/6/2024, che ha ribadito sul tema principi decisivi.
4.1. In questa pronuncia, è stato evidenziato che “i numerosi interventi adottati dal legislatore nazionale negli ultimi 15 anni hanno dovuto confrontarsi con i vincoli derivanti dai principi comunitari di tutela della concorrenza e di libertà di stabilimento, declinati, in special modo, dall’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno. Per quelle attività economiche che, come nel caso delle concessioni demaniali, utilizzano a fini imprenditoriali la disponibilità esclusiva di un bene pubblico caratterizzato dalla “scarsità” della relativa risorsa, il diritto dell’Unione europea sottopone il rilascio del titolo autorizzativo a stringen condizioni, atte a favorire il ricambio tra gli operatori e a rimuovere gli ostacol all’ingresso nel mercato di riferimento. Dette condizioni impongono che la risorsa pubblica sia affidata previo espletamento di una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza (art. 12, paragrafo 1, della direttiva servizi), e che il titolo, rilasciarsi «per una durata limitata adeguata», non preveda procedure di rinnovo automatico né accordi RAGIONE_SOCIALE vantaggi al prestatore uscente (art. 12, paragrafo 2).
4.2. L’inerzia del legislatore nazionale nel dare attuazione a tali previsioni, con specifico riguardo alle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo, ,ha indotto la Commissione europea, già nel 2009, ad aprire una procedura di infrazione. La vicenda è già stata ricostruita da questa Corte, in occasione di giudizi analoghi a quello odierno (tra le altre, sentenza n. 1 del 2019).
4.3. Per effetto di tali rilievi dell’organo comunitario il legislatore nazionale è determinato ad accantonare, nella regolazione delle concessioni demaniali marittime, il cosiddetto diritto di insistenza, già previsto dall’art. 37, secondo · comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione). È stata dunque abrogata l’originaria previsione che, nel fissare la durata delle concessioni dei beni demaniali marittimi a sei anni, stabiliva che esse «si rinnovano automaticamente per RAGIONE_SOCIALE sei anni e così successivamente ad ogni scadenza» (art. 01, comma 2, del decreto-legge 5
ottobre 1993, n. 400, recante «Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime», convertito, con modificazioni, in legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo sostituito dall’art. 10, comma 1, della legge 16 marzo 2001, n. 88, recante «Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime»). L’abrogazione, proprio al fine di superare i rilievi della Commissione europea, è stata disposta dall’art. 11, comma 1, lettera a), della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010).
4.4. Allo stesso tempo, tuttavia, il legislatore nazionale – anziché procedere a una conseguente e necessaria rivisitazione della materia, pur preannunziata più volte e oggetto anche di apposita delega al Governo, da parte della menzionata legge n. 217 del 2011, mai portata a compimento – ha inaugurato, sin dal 2010, una stagione di ripetute proroghe delle concessioni in scadenza. Ad un primo differimento al 31 dicembre 2012 (disposto dall’art. 1, comma 18, del decretolegge 30 dicembre 2009, n. 194, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 25), è seguita una nuova proroga fino al 31 dicembre 2020 (così l’art. 34duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», come introdotto dalla relativa legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221).
4.5. Nonostante la Corte di giustizia UE – con la sentenza 14 luglio 2016, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE – avesse dichiarato il contrasto di tali previsioni con l’art. 12 della “direttiva serviz legislatore nazionale, approssimandosi la scadenza del 31 dicembre 2020, ha prorogato ulteriormente la validità delle concessioni dei beni del demanio marittimo per ulteriori quindici anni. Così ha stabilito l’art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018, pur preannunziando un programma (ivi delineato, ai commi 677 e seguenti) di complessiva revisione del modello di gestione delle imprese turistico-ricreative e ricettive che operano sul demanio marittimo, tale da comprendere anche una «revisione organica delle norme connesse alle concessioni demaniali marittime» (così il comma 677, lettera c). L’effetto pratico di queste previsioni è dunque stato quello di avallare la prosecuzione, senza l’indizione di gare, fino all’anno 2033, delle concessioni ormai prossime alla scadenza, senza che, nel periodo immediatamente successivo, abbia mai visto la luce il preannunziato programma di riforme.
4.6. La richiamata nuova proroga – assistita poi da una “moratoria” (di cui all’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche
sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2020, n. 77), atta a bloccare, durante il periodo pandemico, le procedure amministrative per il rilascio o per l’assegnazione, con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione – è stata sottoposta al giudizio dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che, con le sentenze n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, ne ha rilevato il contrasto con le norme UE in tema di libertà di stabilimento e di non discriminazione tra operatori economici e la conseguente necessità di non applicazione, anche da parte delle pubbliche amministrazioni. In particolare, le richiamate pronunce, nel ribadire la necessità delle procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione delle aree demaniali, hanno escluso la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari. Esse, allo stesso tempo, «[(3 . 11 fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia i conformità ai principi di derivazione europea», hanno comunque riconosciuto l’efficacia delle concessioni in essere fino alla data del 31 dicembre 2023. Si è, poi, avvertito che, «oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento delIV.E.».
4.7. Il legislatore nazionale ha recepito quest’ultima indicazione con l’art. 3 della legge n. 118 del 2022, con cui sono stati abrogati i commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018 (comma 5) e si è contestualmente stabilito che le concessioni demaniali de quibus continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023 (comma 1). Solo in presenza di ragioni oggettive, tali da impedire la conclusione delle procedure di gara entro tale data, il legislatore ha acconsentito ad un ulteriore differimento del termine di scadenza delle concessioni, per il tempo strettamente necessario e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024 (comma 3).
4.8. Nell’approssimarsi della scadenza, l’art. 12, comma 6-sexies, del decretolegge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), come introdotto dalla legge di conversione 24 febbraio 2023, n. 14, ha fissato il termine ultimo al 31 dicembre 2024, e l’art. /O-quater, comma 3, ha spostato al 31 dicembre 2025 l’ulteriore possibilità di differimento in caso di oggettive ragioni tali da impedire la conclusione tempestiva delle procedure selettive.
4.9. La legge di conversione appena citata è stata promulgata dal Presidente della Repubblica con contestuale invio di una lettera, in data 24 febbraio 2023, ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento e al Presidente del Consiglio dei ministri. In tale lettera è stata fortemente stigmatizzata, tra l’altro, proprio nuova proroga delle concessioni demaniali marittime, per contrasto sia con il diritto UE, sia con le citate sentenze dell’Adunanza plenaria. La giurisprudenza amministrativa, di recente, ha affermato che sono passibili di non applicazione le norme della legge n. 14 del 2023 per ragioni sostanzialmente corrispondenti a quelle indicate dal Presidente della Repubblica (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 28 agosto 2023, n. 7992, e 10 marzo 2023, n. 2192).
4.10. Nello stesso tempo, su rinvio del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, la Corte di giustizia UE, con la sentenza in causa C-348/22 (richiamata anche dal ricorrente), si è nuovamente pronunciata sulla disciplina italiana delle concessioni demaniali marittime, ribadendo la contrarietà delle proroghe alle norme del diritto UE. La Corte di Lussemburgo, in particolare, ha ricordato che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE impone agli Stati membri, in termini incondizionati e sufficientemente precisi, l’obbligo di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali e vieta di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività”.
5. Così richiamata la giurisprudenza costituzionale sulla materia, peraltro in linea con quella ripetutamente affermata da questa Corte (tra le molte, Sez. 3, n. 404 del 14/12/2022, PM/Giraldi, Rv. 283919), e dunque affrontando nello specifico il ricorso, occorre premettere che questo concerne esclusivamente il reato di cui al capo B), contestato ai sensi dell’art. 323 cod. pen. in concorso con il coimputato NOME COGNOME, giudicato separatamente; l’abuso d’ufficio, in particolare, si sarebbe consumato in violazione dell’art. 1, commi 682-683, I. n. 145 del 2018 (poi abrogati dalla I. 5 agosto 2022, n. 118), ed avrebbe avuto ad oggetto un “atto ricognitivo della durata ex lege della concessione demaniale”, emesso proprio dal COGNOME su istigazione del ricorrente. Con questo atto, la “RAGIONE_SOCIALET.I.” avrebbe ottenuto la proroga di 15 anni della concessione demaniale n. 4/2011 (variata dalla concessione suppletiva n. 3/2013), contestata come illegittima, e tale riconosciuta dalla sentenza di primo grado, in quanto: a) la proroga avrebbe richiesto che la concessione fosse stata rilasciata con procedura attivata anteriormente al 31/12/2009 e con istanza pubblicata ai sensi dell’art. 18 del Regolamento al Codice della Navigazione, senza che ciò fosse accaduto; b) la stessa concessione sarebbe stata collegata ad una precedente concessione demaniale (n. 41475 del 2005) che, tuttavia, sarebbe stata annullata nel maggio 2009; c) il rinvio a quest’ultimo provvedimento, peraltro, sarebbe stato errato, in quanto avente ad oggetto una superficie ben diversa da quella di cui alla concessione n. 4/2011.
Tanto premesso, la Corte di appello, riformando sul capo l’ampia decisione del primo Giudice, ha ritenuto che l’atto emesso dal COGNOME avesse natura meramente ricognitiva, limitandosi a precisare che la concessione in esame, prossima a scadenza, rientrava tra quelle prorogate per legge al 10 gennaio 2034, in quanto rilasciata dopo il 31 dicembre 2009 a seguito di procedura iniziata in precedenza e rispettosa dell’articolo 18 citato, ossia della previa pubblicazione del bando. A giudizio del Collegio di appello, un tale provvedimento non potrebbe essere sanzionato ai sensi della vigente lettera dell’art. 323 cod. pen., in quanto la normativa richiamata non imporrebbe specifiche regole di condotta (trattandosi di proroga ex lege di concessione amministrative) e presupporrebbe l’esercizio di ampi margini di discrezionalità interpretativa; quello ricognitivo rilasciato peraltro, non sarebbe produttivo di effetti giuridici, ma meramente descrittivo dell’esistente, così da mancare il nesso causale tra l’atto medesimo ed il concreto vantaggio per il privato interessato. Con riguardo, poi, al profilo della discrezionalità, la sentenza ha sottolineato che: a) numerose pronunce giurisdizionali, all’epoca, sostenevano la continuità tra l’autorizzazione e l’anticipata occupazione (art. 38 Cod. Nav.) e la successiva concessione (che, ove accolta, avrebbe consentito l’applicazione della proroga in oggetto); b) l’applicabilità della proroga anche alle concessioni provvisorie era stata sostenuta anche dal consulente del Comune; c) due diversi dirigenti succedutisi nella stessa amministrazione avevano seguito differenti linee di condotta per gestire la medesima pratica (concessioni e proroghe sollecitate proprio da “V.T.I.”); d) all’interno del Comune vi era stata una ampia discussione sul tema, e la tesi infine adottata era stata seguita anche in casi analoghi. Ad ulteriore evidenza del carattere discrezionale della materia, la Corte di appello ha infine evidenziato che la società aveva presentato una prima istanza il 25/2/2019, cui aveva fatto riscontro un provvedimento del 27/3/2019, positivo nel contenuto ma molto sintetico, tanto che la stessa richiedente aveva sollecitato chiarimenti il 1°/4/2019, così poi ottenendo l’emissione dell’atto ricognitivo qui contestato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ebbene, questa motivazione risulta viziata nei termini dedotti e merita la censura dell’annullamento.
Il primo Giudice aveva specificato – come indicato nel ricorso – che l’atto ricognitivo di cui al capo B) conteneva affermazioni non veritiere: in particolare, attestava che “la concessione demaniale n. 4/2011 (…) ha durata ex lege di 15 anni a decorrere dal 1/1/2019”, considerati “la vigenza della concessione n. 5/2019 del 30/10/2018 e il continuato ininterrotto utilizzo dell’area di cui al tito n. 4/2011 e succ. variazione il quale è stato concesso a seguito di una procedura amministrativa attivata anteriormente al 31/12/2009 ed il cui rilascio era avvenuto nel rispetto dell’articolo 18 del d.P.R. 15/2/1952, n. 328”. La falsità di queste
affermazioni, per come sostenuta nella sentenza del G.i.p., derivava dal fatto che la stessa concessione era stata rilasciata sulla base di un’istanza, formulata nel 2009, mai pubblicata nei modi o nelle forme di cui all’art. 18 appena richiamato. Ancora, la prima decisione – come richiamata nel ricorso – aveva sottolineato che la concessione n. 5 del 2018 del 30/10/2018 era stata rilasciata come provvisoria, “per il periodo intercorrente fra la scadenza del relativo atto e la sua rinnovazione” non trattandosi, dunque, di una concessione ordinaria disciplinata dall’art. 1, comma 01, d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, come espressamente richiesto dall’art. 1, comma 682, I. n. 145 del 2018.
7.1. Alla luce di questi elementi, il G.i.p. aveva quindi concluso che la concessione n. 4/2011 non rientrava nell’alveo di quest’ultima legge, non potendo, pertanto, essere prorogata di 15 anni.
Tanto richiamato, la Corte osserva, in adesione al ricorso, che tutte queste considerazioni – rilevanti ed assai diffusamente sviluppate nella pronuncia di condanna, quali suo fondamento – non hanno formato oggetto della sentenza di appello, che, pur assolvendo l’imputato, alle stesse non ha dedicato alcun passo, mancando, quindi, di un qualunque confronto con la prima decisione.
In forza di ciò solo, la decisione dovrebbe essere annullata.
8.1. La Corte di appello, infatti, ha soltanto sostenuto che l’atto emesso dal COGNOME su stimolo del ricorrente aveva natura meramente ricognitiva, constatando che la concessione in oggetto rientrava trà quelle prorogate ex lege poiché rilasciata dopo il 31 dicembre 2009, a seguito di procedura iniziata prima e rispettosa dell’art. 18 menzionato; già tale argomento, tuttavia, non si misura affatto con le richiamate (ed ampiamente argomentate) affermazioni della prima sentenza, secondo cui, in realtà, la procedura medesima non era stata seguita nel caso di specie.
8.2. Di seguito, la sentenza impugnata ha affermato che questo atto asseritamente ricognitivo – conteneva “ampi margini di discrezionalità interpretativa”, alla luce delle considerazioni sopra richiamate circa l’applicabilità della procedura di proroga anche alle concessioni provvisorie ed alla tesi della continuità tra autorizzazione al l’anticipata occupazione di cui all’art. 38 citato e successiva concessione. Ebbene, questo argomento risulta contraddittorio, in quanto un atto ricognitivo è, per propria natura, volto ad attestare l’esistente, con carattere di riscontro e, dunque, privo di ogni profilo discrezionale. Qualora, infatti, presupponga una valutazione circa la sussistenza dei presupposti di legge ai quali collegare un determinato effetto giuridico, come nel caso di specie, lo stesso atto non può esser qualificato ricognitivo, in quanto quello che dovrebbe essere l’oggetto di una mera constatazione, per l’appunto priva di discrezionalità, emerge come il presupposto di un effettivo giudizio, che di per sé implica discrezionalità,
solo in esito al quale è riconosciuta al soggetto o al bene una determinata caratteristica o qualifica o qualità, dalre quali l’ordinamento fa conseguire specifici effetti.
9. La motivazione della sentenza, pertanto, risulta viziata e deve essere annullata con rinvio, affinché sia compiuto un nuovo esame circa l’effettivo contenuto dell’atto e del profilo discrezionale riguardante la sua adozione. Con la precisazione, peraltro, che qualora l’atto stesso non possedesse alcun profilo di tale natura, la sua emanazione potrebbe comunque essere ricondotta all’art. 323 cod. pen., nella vigente formulazione: questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato – come peraltro il primo Giudice, con il quale ancora la sentenza in esame non si confronta – che in tema di abuso di ufficio, la modifica introdotta con l’art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha ristretto l’ambito applicativo dell’art. 323 cod. pen., determinando rabolitio crimínis” delle condotte, antecedenti all’entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità, sicché deve escludersi che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97, comma 3, Cost. (per tutte, Sez. 6, n. 38125 de1111/7/2023, Bazzarelli, Rv. 285184).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024
Il Cr,kjiere estensore