Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25937 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25937 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona nel procedimento a carico di:
NOME NOMECOGNOME nato a Varazze il 08/05/1984
avverso la sentenza del 03/10/2024 del Tribunale di Savona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore rinvio della sentenza
generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con impugnata;
lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME NOMECOGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Savona impugna la sentenza emessa dal Tribunale di Savona che ha assolto NOME COGNOME in ordine ai delitti di cui agli artt. 81 e 348 cod. pen. per aver, dal 2021 al 17 aprile 2023, quale Sindaco del Comune di Varazze e, pertanto, componente della Giunta
NOME
comunale, omesso di astenersi nell’esercitare attività professionale di ingegnere (coordinatore alla sicurezza, progettista e direttore dei lavori e delle opere strutturali di lavori da realizzare nel territorio comunale di Varazze), svolgendo abusivamente detta attività in quanto impedito ex art. 78, comma 3, TUEL.
Il Procuratore della Repubblica, per mezzo di un unico articolato motivo, deduce violazione dell’art. 348 cod. pen.
Il Procuratore ricorrente· osserva come NOMECOGNOME in quanto Sindaco del Comune di Varazze e comunque facente parte in detta veste della Giunta comunale del citato Comune, a mente dell’art. 78 comma 3, TUEL Ł tenuto ad astenersi dall’esercitare l’attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio amministrato. Ciò implica che, qualora la citata attività sia svolta, venga ad integrazione il delitto di esercizio abusivo della professione ex art. 348 cod. pen.
Il giudice di merito che ha ritenuto di assolvere l’imputato si assume non ha operato una corretta interpretazione del significato da attribuire al termine “abusivamente” contenuto nella norma penale in esame, riduttivamente riferito alla sola ipotesi di assenza di abilitazione o iscrizione all’ordine professionale, dovendosi apprezzare anche l’interdizione promanante dalla legge (si cita giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della sussistenza del reato di abusivo esercizio di una attività professionale, Ł irrilevante la circostanza che l’imputato risulti iscritto in un albo professionale quando l’esercizio dell’attività professionale Ł interdetto dallo “status” che lo stesso effettivamente riveste; ipotesi relativa ad imputato, impiegato statale, che esercitava l’attività di geometra; Sez. 6, n. 10541 del 10/06/1986, Rossi, Rv. 173879- 01).
Anche l’espressa previsione di sanzioni disciplinari per il pubblico impiegato che svolge attività professionali incompatibili con la pubblica funzione non elide l’illiceità penale dell’esercizio della professione che deve ritenersi abusivo, sia quando non Ł assistito da abilitazione dello Stato, sia quando il titolo per l’esercizio della professione sia originariamente invalido o in ipotesi di invalidità sopravvenuta (si cita espressamente la decisione di questa Corte che ha ritenuto sussistente la fattispecie ex art. 348 cod. pen. in ipotesi di iscrizione all’albo dei Geometri di pubblico funzionario, appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, Sez. 6, n. 1435 del 30/01/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 183174- 01).
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. Il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato.
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2. Secondo il principio di diritto espresso da questa Corte in merito alla natura della fattispecie di abusivo esercizio di una professione, l’art. 348 cod. pen. Ł norma penale in bianco in quanto postula, come desumibile dall’avverbio “abusivamente”, l’esistenza di altre disposizioni di legge che stabiliscano le condizioni oggettive e soggettive in difetto delle quali non Ł consentito ed Ł quindi abusivo l’esercizio di determinate professioni (quelle per cui occorre l’abilitazione statale); trattasi di disposizioni che, essendo sottintese nell’art. 348, sono integrative della nprma penale ed entrano a far parte del suo contenuto quasi per incorporazione, cosicchØ la violazione di esse si risolve in violazione della norma incriminatrice (Sez. 6, n. 2685 del 18/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 198235 – 01).
Non tutte le norme che intervengono in materia di esercizio della professione sono però idonee a perimetrarne l’ambito oltre il quale l’attività esercitata può ritenersi abusivamente svolta.
Ormai da tempo questa Corte, a seguito di decisione del suo piø prestigioso consesso, ha avuto modo di precisare come l’art. 348 cod. pen. Ł fattispecie che sanziona l’esercizio della professione senza l’abilitazione dello Stato e non anche i casi in cui, nello ambito della professione per la quale la persona Ł abilitata, siano richiesti ulteriori requisiti per svolgere particolari funzioni professionali (Sez. U, n. 2 del 26/04/1990, COGNOME, Rv. 184559- 01).
Pertinente al tema sottoposto al vaglio di questa Corte Ł la parte della citata sentenza in cui si ribadisce come «la potestà esclusiva dello Stato ad abilitare all’esercizio di alcune professioni che piø significativamente possono pregiudicare requisiti culturali o morali, interessi rilevanti dei cittadini, e perciò vuole penalmente sanzionare solo l’accesso alle predette professioni ( … ) e non le successive modalità di esercizio di una professione a cui si Ł già abilitati».
Le Sezioni Unite COGNOME hanno, pertanto, escluso che integri l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 348 cod. pen. la condotta di chi «Ł stato abilitato all’esercizio della professione e non sia stato nØ sospeso nØ interdetto nØ dichiarato decaduto». Significative risultano, allora, solo quelle norme che incidono sulla validità del titolo professionale (speciale abilitazione).
Questo Ł il significato da attribuire a quelle sentenze di questa Corte che hanno in concreto rilevato come non sia sufficiente una formale iscrizione all’albo, essendo invece indispensabile che tale iscrizione sia anche valida ed efficace.
Conformi a detto indirizzo ermeneutico si rivelano tutte quelle decisioni che ritengono integrato il reato in ipotesi di sospensione dell’iscrizione o abilitazione o allorchØ all’iscrizione non corrisponda la relativa validità del titolo (in materia di sospensione, cfr. Sez. 6, n. 46963 del 03/11/2021, COGNOME, Rv. 282449 01; Sez. 6, n. 4456 del 16/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274982; Sez. 6, n. 18745
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del 21/01/2014, COGNOME, Rv. 261098 01; Sez. 6, n. 20439 del 15/02/2007, COGNOME, Rv. 236419- 01; in materia di iscrizione con titoli falsi, cfr. Sez. 6, n. 22274 del 05/06/2006, Plate’, Rv. 234727- 01).
3. Ciò premesso, giuridicamente corretta risulta la decisione del Tribunale che, proprio analizzando la ratio della fattispecie di cui all’art. 348 cod. pen., e muovP.ndo dall’oggetto della sua tutela individuato nella necessità che venga assicurato un elevato livello di professionalità a determinate professioni, capacità monitorata da parte dei corrispondenti organi professionali, ha escluso che potesse assegnarsi rilevanza alla violazione di qualsivoglia norma riferibile alla professione, dovendo ritenersi pertinenti solo quelle che evidenziano i requisiti prodromici all’esercizio della stessa, di tale portata da integrare il contenuto della norma penale in bianco quanto a profilo dell’abusivo esercizio della professione.
Dopo tutto, il tenore dell’art. 78 del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL), che al comma 3 prevede che «i componenti della giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall’esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica sul territorio da essi amministrato», implica come la norma non sia rivolta all’esercizio della professione nella dimensione che viene valorizzata dall’art. 348 cod. pen., quanto, piuttosto, allo svolgimento delle funzioni dei componenti della giunta comunale (e tra essi al sindaco), onde tutelare l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione e così prevenire conflitti di interesse tra le funzioni ricoperte dagli amministratori pubblici e quelle dai medesimi soggetti esercitate in forma privata.
La finalità della norma emerge là dove la stessa fa riferimento al localizzato “dovere di astensione” del professionista ed alla valenza di tale dovere rivolto, non già ad una determinata categoria professionale, ma, in generale, “all’esercizio dell’attività professionale”, sintagma che in realtà non Ł perfettamente inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 348 cod. pen., tanto da rendere abusivo l’esercizio in forma privata di qualsiasi attività che inerisca genericamente alla materia dell’urbanistica, dell’edilizi e dei lavori pubblici.
Non risulta pertinente, pertanto, l’accostamento operato nel ricorso a quella giurisprudenza che si sostiene autorizzerebbe un’estensione della preclusione dell’attività privata da parte di dipendenti pubblici al caso in esame. Le ipotesi oggetto di decisione da parte di questa Corte muovono, invero, da condotte caratterizzate dall’assenza di un titolo abilitante e, comunque, riguardano professionisti non iscritti o non validamente iscritti all’albo a fronte di una normativa primaria che preclude l’attività professionale, a vantaggio di quella pubblica.
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4. In tale direzione va la giurisprudenza di legittimità citata dal ricorrente secondo cui sarebbe irrilevante la circostanza che l’imputato sia iscritto in un albo professionale quando l’esercizio dell’attività professionale Ł interdetto dallo “status” che lo stesso effettivamente riveste, costituendo quella oggetto di scrutinio ipotesi afferente a condotta che interessa l’esercizio privato di geometra da parte di un funzionario statale cui detta autorità era preclusa (Sez. 6, n. 10541 del 10/06/1986, COGNOME, Rv. 173879 01); analogo caso Ł stato vagliato nella sentenza con cui questa Corte ha precisato come integri il delitto di abusivo esercizio di una professione l’attività del tecnico del Comune, a cui tale attività era preclusa a causa del rapporto di dipendenza con l’ente territoriale, Sez. 6, n. 21424 del 12/02/2003, COGNOME, Rv. 225673).
Le decisioni sopra richiamate, che si precisa precedono la sentenza a Sezioni Unite COGNOME, valorizzano, conformemente alla disciplina della professione ratione temporis, non il dovere di astensione ma la radicale impossibilità da parte di dipendenti pubblici (e) di poter esercitare la professione in forma privata, aspetto niente affatto assimilabile a quello derivante dall’applicazione dell’art. 78 TUEL in merito all’obbligo di astensione gravante ad una non determinata categoria di professionisti quando costoro facciano parte della giunta comunale.
Non Ł condivisibile, pertanto, quanto sostenuto dal Procuratore generale nella sua requisitoria là dove sostiene la correttezza della prospettazione del ricorrente, sul presupposto che l’art. 78, comma 3, TUEL delinei un’ipotesi di sospensione ex /ege, a carattere temporaneo e territoriale, operante nell’alveo della norma penale in bianco di cui all’art. 348 cod. pen., costituendo piuttosto quella delineata dalla norma amministrativa in esame una limitazione, territoriale e cronologicamente individuata, afferente alle modalità di esercizio della professione in alcun modo incidente sulla capacità originaria scaturente da una chiara iscrizione all’ordine professionale del COGNOME.
Onde rendere palesi le ragioni che portano il Collegio a non condividere la propugnata interpretazione, Ł sufficiente fare mente locale agli effetti che si realizzerebbero sul piano sanzionatorio nell’ipotesi in cui il professionista eserciti l’attività in materia urbanistica in un ambito piø esteso rispetto a quello comunale (per esempio nazionale o regionale), ovvero quando il professionista abbia iniziato a svolgere l’incarico prima di ricoprire la carica ed abbia omesso di dismetterlo. Ritenere che in dette ipotesi si realizzi un abusivo esercizio della professione implica, non solo un significato che non Ł espressamente ricompreso (come sopra detto) nella citata disposizione penale, ma neppure conforme alle stesse finalità che sono alla base dell’obbligo di astensione (e non divieto di esercitare la professione operante – come si sostiene ope /egis) previsto dall’art. 78 TUEL che mira a preservare direttamente un corretto esercizio dell’imparziale funzione
pubblica e non anche di assolvere alla verifica della capacità del libero professionista di esercitare la propria attività.
5. NØ risulta adeguato il richiamo a quella giurisprudenza disciplinare che si Ł espressa in ipotesi di professionista che ha omesso di astenersi dall’esercitare la professione a mente di quanto disposto dall’art. 78, comma 3, TUEL in materia di edilizia, secondo cui «L’obbligo di astensione dalle attività professionali in materia di edilizia imposto dall’art. 78, comma 3, TUEL ai componenti la giunta comunale competenti nel settore riguarda non solo gli assessori cui siano state conferite le relative deleghe, ma anche il sindaco, il quale, essendo organo responsabile dell’amministrazione del Comune e presidente della giunta, sovrintende a tutte le attività dell’ente, seppur delegate» (Sez. 2 civ., 19/07/2016, n. 14764, Rv. 640593 01), decisione che, se possibile, rimarca la reale portata della norma, !imitandone il riferimento al solo aspetto deontologico derivante dal dovere di astensione che grava sul professionista, senza alcuna incisione sulla capacità professionale, ambito tutelato dagli ordini professionali cui Ł attribuito il potere di gestire i relativi albi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Così deciso il 28/05/2025