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Abusivo esercizio professione: il dovere di astensione

La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione di un Sindaco accusato di abusivo esercizio della professione per aver lavorato come ingegnere nel proprio comune. La Corte ha chiarito che il ‘dovere di astensione’ imposto dalla legge sugli enti locali (TUEL) per evitare conflitti di interesse non equivale a una mancanza di abilitazione professionale. Di conseguenza, la sua violazione non costituisce il reato previsto dall’art. 348 c.p., che sanziona solo chi esercita una professione senza il necessario titolo di studio o iscrizione all’albo. La violazione resta rilevante solo sul piano disciplinare e amministrativo.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Abusivo esercizio professione: non basta la violazione del dovere di astensione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25937 del 2025, ha fornito un’importante precisazione sui confini del reato di abusivo esercizio professione. La Corte ha stabilito che la violazione del dovere di astensione imposto a un amministratore pubblico (nel caso specifico, un Sindaco) non è sufficiente per configurare il delitto previsto dall’art. 348 del codice penale, se il professionista possiede una valida abilitazione. Questa decisione traccia una linea netta tra le norme che regolano l’accesso a una professione e quelle che ne disciplinano le modalità di esercizio in contesti specifici.

I fatti di causa

Il caso ha origine dal ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica contro la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Savona nei confronti di un Sindaco. Quest’ultimo, di professione ingegnere, era stato accusato del reato di cui agli artt. 81 e 348 c.p. per aver continuato a svolgere la sua attività professionale (come progettista, direttore lavori e coordinatore della sicurezza) nel territorio del Comune da lui amministrato.

Secondo l’accusa, tale condotta violava l’art. 78, comma 3, del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), che impone ai componenti della giunta comunale competenti in materia di urbanistica, edilizia e lavori pubblici di astenersi dall’esercitare attività professionali in tali settori nel territorio amministrato. Per il Procuratore, questa violazione integrava automaticamente il reato di abusivo esercizio della professione.

L’incompatibilità tra carica pubblica e abusivo esercizio professione

Il nodo centrale della questione era interpretare la portata del termine “abusivamente” contenuto nell’art. 348 c.p. La Procura sosteneva che l’incompatibilità prevista dal TUEL costituisse una forma di interdizione legale temporanea e territoriale, rendendo “abusiva” qualsiasi attività professionale svolta in violazione di tale norma, anche se il soggetto era regolarmente iscritto all’albo.

Il Tribunale di primo grado, invece, aveva assolto l’imputato, ritenendo che il reato si configurasse solo in assenza dei requisiti fondamentali per l’esercizio della professione, come l’abilitazione statale o l’iscrizione all’ordine, e non per la violazione di norme deontologiche o amministrative volte a prevenire conflitti di interesse.

La posizione della Corte di Cassazione

La Sesta Sezione Penale della Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore, confermando la sentenza di assoluzione. Gli Ermellini hanno chiarito la natura e la finalità dell’art. 348 c.p., richiamando un principio consolidato, in particolare quello espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza “Soricelli” del 1990.

La Corte ha spiegato che l’art. 348 c.p. è una “norma penale in bianco”, il cui contenuto è integrato da altre disposizioni che stabiliscono le condizioni per l’esercizio di una professione. Tuttavia, non tutte le norme che disciplinano una professione hanno rilevanza penale.

Le Motivazioni

La Cassazione ha operato una distinzione fondamentale. Le uniche norme la cui violazione può integrare il reato di abusivo esercizio professione sono quelle che incidono sulla validità del titolo professionale stesso. Il reato sanziona l’accesso non autorizzato a una professione, ovvero la condotta di chi la esercita senza possedere l’abilitazione statale richiesta, o quando tale abilitazione sia stata sospesa, revocata o sia comunque inefficace. Lo scopo della norma è tutelare l’interesse pubblico a che determinate attività, potenzialmente rischiose per i cittadini, siano svolte solo da soggetti la cui competenza è stata verificata e certificata dallo Stato.

L’art. 78, comma 3, del TUEL, invece, ha una finalità completamente diversa. Non è una norma che valuta la capacità professionale del Sindaco-ingegnere, ma mira a tutelare l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione. Impone un “dovere di astensione” per prevenire conflitti di interesse che potrebbero sorgere tra il ruolo di amministratore pubblico e quello di professionista privato che opera nello stesso territorio. La violazione di questo dovere non incide sulla validità della sua iscrizione all’albo degli ingegneri, che rimane pienamente efficace. Pertanto, la sua condotta può avere rilevanza sul piano disciplinare, deontologico o amministrativo, ma non su quello penale.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte Suprema ha stabilito che il reato di esercizio abusivo di una professione non si configura quando un professionista, regolarmente abilitato e iscritto a un albo, viola una norma che impone un mero dovere di astensione per incompatibilità con una carica pubblica. La sanzione penale interviene solo quando manca il presupposto fondamentale: il titolo che abilita all’esercizio della professione. Questa sentenza ribadisce un principio di stretta legalità, evitando un’eccessiva espansione dell’illecito penale a situazioni che trovano la loro corretta sanzione in altri rami dell’ordinamento giuridico.

Un sindaco che esercita la professione di ingegnere nel proprio comune commette il reato di abusivo esercizio della professione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il sindaco è regolarmente abilitato e iscritto all’albo professionale, la violazione del dovere di astensione previsto dall’art. 78, comma 3, del TUEL non costituisce il reato di cui all’art. 348 c.p., ma può avere conseguenze disciplinari o amministrative.

Qual è la differenza tra l’assenza di abilitazione e la violazione di un dovere di astensione?
L’assenza di abilitazione riguarda la mancanza del titolo legale necessario per accedere a una professione, e la sua violazione è penalmente rilevante. Il dovere di astensione, invece, è un obbligo che regola le modalità di esercizio di una professione già legittimamente posseduta, al fine di prevenire conflitti di interesse. La sua violazione non incide sulla validità del titolo professionale.

Per quale motivo la violazione dell’art. 78, comma 3, del TUEL non integra il reato di cui all’art. 348 del codice penale?
Perché la finalità dell’art. 348 c.p. è proteggere i cittadini garantendo che solo persone con competenze certificate dallo Stato esercitino determinate professioni. La finalità dell’art. 78, comma 3, del TUEL è invece quella di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione. La violazione di quest’ultima norma non mette in discussione la competenza tecnica del professionista e quindi non rientra nell’ambito di tutela della norma penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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