Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18734 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18734 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME GiuseppeCOGNOME nato a Canicattì il 21/02/1976
avverso la sentenza del 11/09/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Varese del 22 settembre 2023, che aveva condannato l’imputato NOME COGNOME all’esito di giudizio abbreviato, per i reati allo stesso ascritti.
Tra questi, quello di cui al capo a) di abusivo esercizio della professione di avvocato (art. 348 cod. pen.), consistito nell’aver accettato tra febbraio e ottobre 2017, benché privo di titolo abilitativo, incarichi professionali dalla società “RAGIONE_SOCIALE” – tra i quali quello di proporre opposizione a decreto ingiuntivo, ,, ,,-in realtà mai presentato – remunerati per complessivi 7.600 euro circa. GLYPH
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Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 348 cod. pen.
La Corte di appello ha respinto erroneamente la censura difensiva volta a sostenere l’insussistenza del delitto contestato, posto che vi è stata soltanto l’offerta di una prestazione di difesa giurisdizionale rimasta di fatto ineseguita, non ricevendo il ricorrente alcuna procura ad litem da parte del soggetto patrocinato.
Le sentenze di merito non hanno evidenziato altra attività che possa essere ricompresa nel fuoco dell’art. 348 cod. pen. (neppure di consulenza), come integrato dall’art. 2 della I. n. 247 del 2012, che qualifica le specifiche attiv riservate agli avvocati.
La semplice ricezione dell’incarico difensivo o la spendita del titolo di avvocato non possono integrare il reato in esame (si allega la querela-denuncia), ma al più quello di truffa.
L’attività di consulenza stragiudiziale per essere ricompresa nell’attività riservata degli avvocati necessita in ogni caso di un incarico per l’attività giurisdizionale connessa (non rilevando lo svolgimento da parte di altri di tale attività).
2.2. Vizio di motivazione per travisamento della prova, con riferimento all’art. 348 cod. pen.
A pag. 11 della sentenza impugnata si afferma che il ricorrente avrebbe depositato presso il Tribunale di Monza un’istanza di ammissione al beneficio del pagamento dilazionato sulle somme, oggetto dell’atto di precetto.
Dalla mail che si allega emerge peraltro soltanto l’invio ad opera del ricorrente di un mandato da sottoscrivere e trasmettere con il nominativo del nome del lavoratore. Nulla si dice sull’effettivo conferimento dell’incarico e dello svolgimento dell’attività in sede giudiziale. Anzi è la stessa Corte di appello ad ammettere che , non eranroti i dettagli dell’incarico ricevuto dal cliente.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in ogni sua articolazione.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha ritenuto che la fattispecie delittuosa in esame fosse stata integrata dalla attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale svolta dal ricorrente in favore della società RAGIONE_SOCIALE in modo continuativo, sistematico e professionale e connessa ad attività giurisdizionale.
L’art. 2, comma 2, della I. n. 247 del 2012 stabilisce invero che “l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati”.
Quindi nel caso in esame ha soltanto rilevanza l’effettivo svolgimento di una attività con siffatte caratteristiche ad opera dell’imputato, non essendo invece necessaria l’esistenza di un mandato formale per l’attività giudiziale.
Non ha infatti alcun giuridico fondamento la tesi difensiva che pretende che l’attività giurisdizionale connessa sia affidata al medesimo soggetto.
Quel che è rilevante è che l’attività di consulenza – svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato – sia destinata a incidere su un contenzioso giudiziale, presente o futuro.
La giurisprudenza di legittimità invero in sede civile, ai fini del pagamento degli onorari di cui al D.M. n. 55 del 2014, ha evidenziato che l’attività stragiudiziale in correlazione con quella giudiziale può essere anche solo quella preparatoria (Sez. 2, 12/12/2023, n. 34713) o quella volta alla conclusione di una transazione che ponga termine alla lite, ancorché la definizione della controversia abbia avuto luogo non sotto forma di conciliazione davanti al giudice, ma mediante un negozio extraprocessuale (Cass. Sez. 2, 07/10/2020, n. 21565, Rv. 659321).
Come correttamente ha- rilevato dalla Corte di appello, la consulenza svolta dal ricorrente era volta a trovare la migliore linea difensiva (opposizione o transazione) per reagire agli atti giudiziali già notificati agli assistiti.
La difesa contesta inoltre che il ricorrente abbia svolto in concreto un’attività stragiudiziale, tesa a completare anche solo in via transattiva, quella di difesa giurisdizionale.
Il motivo è generico posto che già la sentenza di primo grado dava atto di tale attività svolta dal ricorrente per conto della RAGIONE_SOCIALE (cfr. pagg. 3-4) e sulla base di questo accertamento la Corte di appello ha affermato che risultava provato che l’attività transattiva riguardasse decreti ingiuntivi notificati e quindi un’attiv connessa a quella giudiziale (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Il secondo motivo è generico, in quanto il riferimento alla mail del 27 settembre 2017 è presentato dalla Corte di appello come elemento “ulteriore” di,prova, quindi non decisivo.
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve,
altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 26/02n025.