Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30937 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30937 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME COGNOME, nata in Kenya il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/10/2023 della Corte di appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con note
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26/10/2023, la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la pronuncia emessa il 4/5/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stata giudicata colpevole del delitto di cui all’art. 7, comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. convertito, con modificazioni, dalla I. 28 marzo 2019, n. 26, e condannata alla pena di un anno di reclusione.
e-
Propone ricorso per cassazione l’imputata, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione degli artt. 1, comma 318, I. 19 dicembre 2022, n. 197, 2 cod. pen., 73, comma 3, Cost. La I. n. 197 del 2022 – Legge di Bilancio 2023 conterrebbe l’espressa abrogazione (con eccezioni qui non rilevanti) degli articoli da 1 a 13 del d.l. n. 4 del 2019 citato, a decorrere dal 10 gennaio 2024, compresa, dunque, la fattispecie contestata alla ricorrente; la Corte di appello, pertanto avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, riscontrando che la norma abrogante (il citato art. 1, comma 318, della I. n. 197 del 2022) sarebbe in vigore dal 1° gennaio 2023, a nulla rilevando la differente data del 10 gennaio 2024, che atterrebbe soltanto all’efficacia, differita, di una norma del tutto valida. Questa Corte, peraltro, si sarebbe già espressa su materia simile, addirittura affermando che gli effetti dello ius novum più favorevole al reo si produrrebbero anche durante il periodo di vacatio legis;
-si contesta, poi, l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 42 cod. pen., in rapporto alla norma contestata. La ricorrente sarebbe stata condannata pur in assenza di dolo: la stessa, infatti, sarebbe una suora di nazionalità straniera limitatasi a sottoscrivere i moduli prestampati dalla madre superiora, e su indicazione di questa. Difetterebbe del tutto, pertanto, il presupposto soggettivo del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta infondato.
L’art. 1, comma 318, I. 19 dicembre 2022, n. 197, stabilisce che “A decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati ad eccezione degli articoli 4, comma 15-quater, 6, comma 2, commi da 6-bis a 6-quinquies e comma 8-bis, 7-bis, 9-bis, 10, comma 1-bis, 11, 11-bis, 12, commi da 3 a 3-quater e 8 e 13, comma 1-ter.”
Successivamente, sulla materia è intervenuto il d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla I. 3 luglio 2023, n. 85, che, all’art. 13, comm 3, ha stabilito che “Al beneficio di cui all’articolo 1 del decreto-legge 28 genna 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fa commessi fino al 31 dicembre 2023.”
Tanto premesso, occorre innanzitutto esaminare il primo motivo di ricorso (che, peraltro, neppure menziona il d.l. n. 48/2023), in forza del quale l’inter disciplina in materia di reddito di cittadinanza – con specifiche eccezioni qui non
rilevanti – sarebbe stata già abrogata al tempo della pronuncia della sentenza di appello, in quanto, in allora, sarebbe stata già in vigore la legge abrogante (n. 197 del 2022), sebbene i suoi effetti in parte qua fossero stati differiti al 10 gennaio 2024.
6.2. Ebbene, questa tesi non può trovare accoglimento, come peraltro già affermato in numerose altre pronunce (per tutte. Sez. 3, n. 7541 del 24/1/2024, Picciano, Rv. 285964, e, tra le non massimate, Sez. 2, n. 23265 del 7/5/2024, COGNOME raou i).
6.3. Al riguardo, basti evidenziare che l’abrogazione della disciplina, compresa la norma contestata alla ricorrente, non era ancora efficace alla data della sentenza di appello, e dalla stessa, pertanto, la Corte di merito non era vincolata nell’ottic della pronuncia di una sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Se è vero, infatti, che la disposizione abrogante era vigente sin dal 10 gennaio 2023, è altresì innegabile – per espressa previsione – che il suo effetto non era ancora operativo nella parte qui di interesse, e che il medesimo effetto ben avrebbe potuto essere ulteriormente differito, nel corso del 2023, con un ulteriore intervento normativo.
6.4. D’altronde, sostenere che nel medesimo periodo un effetto abrogante si fosse già di fatto verificato (per la vigenza della norma e, dunque, senza considerare l’efficacia differita della previsione) e che, pertanto, dello stesso Giudice avrebbe dovuto tener conto, assolvendo la ricorrente, comporterebbe la conseguenza – certamente estranea alla volontà legislativa – che le condotte sanzionate dall’art. 7 in esame avrebbero potuto essere impunemente consumate per ben un anno, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, senza timore che il reo le vedesse punite in sede penale. Dal che, un evidente effetto criminogeno che deve essere scongiurato, e che il legislatore stesso ha inteso scongiurare con il differimento dell’abrogazione della disciplina sul reddito di cittadinanza, nelle more dell’introduzione di un differente strumento assistenziale.
Tanto premesso, e dunque infondato il primo motivo di ricorso, questa Corte – pur in assenza di censura – deve tuttavia misurarsi con il successivo art. 13, comma 3, d.l. n. 48 del 2023, che, approvando proprio questo nuovo strumento, ha prorogato gli effetti dell’art. 7 contestato a tutti i fatti comme fino al 31 dicembre 2023; ebbene, il Collegio rileva che questo nuovo intervento normativo non produce effetti sulla vicenda in questione.
7.1. Al riguardo – e riscontrato che, ad oggi, è pienamente efficace l’abrogazione del reato contestato e riconosciuto in capo all’imputata – occorre interrogarsi sull’efficacia retroattiva della norma più favorevole, che, s riconosciuta, evidentemente travolgerebbe l’art. 13 citato, ciò in ragione dell’art 2, comma 2, cod. pen.
7.2. Sul punto, si osserva innanzitutto che la giurisprudenza costituzionale ha reiteratamente affermato (tra le altre, sent. n. 236 del 2011) che “il principio d retroattività della disposizione penale più favorevole al reo previsto a livello d legge ordinaria dall’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen. – non è stato costituzionalizzato dall’art. 25, secondo comma, Cost., che si è limitato a sancire l’irretroattività delle norme incriminatrici e, in generale, delle norme penali pi severe. Esso, dunque, ben può subire deroghe per via di legislazione ordinaria, quando ne ricorra una sufficiente ragione giustificativa (ex plurimis: sentenze n. 215 del 2008, n. 393 del 2006, n. 80 del 1995, n. 74 del 1980, n. 6 del 1978; ordinanza n. 330 del 1995). Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, «il principio di retroattività della lex mitior ha una valenza ben diversa, rispetto al principio di irretroattività della norma penale sfavorevole. Quest’ultimo si pone come essenziale strumento di garanzia del cittadino contro gli arbitri del legislatore, espressivo dell’esigenza della “calcolabilità” delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale. (…) In questa prospettiva, è dunque incontroverso che il principio de quo trovi diretto riconoscimento nell’art. 25, secondo comma, Cost. in tutte le sue espressioni: e, cioè, non soltanto con riferimento all’ipotesi della nuova incriminazione, sulla quale pure la formula costituzionale risulta all’apparenza calibrata; ma anche con riferimento a quella della modifica peggiorativa del trattamento sanzionatorio di un fatto già in precedenza penalmente represso. In questi termini, il principio in parola si connota, altresì, come valore assoluto, non suscettibile di bilanciamento con altri valori costituzionali. (…) Invece, il principio di retroattività della norm favorevole non ha alcun collegamento con la libertà di autodeterminazione individuale, per l’ovvia ragione che, nel caso considerato, la /ex mitior sopravviene alla commissione del fatto, al quale l’autore si era liberamente autodeterminato sulla base del pregresso (e per lui meno favorevole) panorama normativo. In quest’ottica, la Corte ha quindi costantemente escluso che il principio di retroattività in mitius trovi copertura nell’art. 25, secondo comma, Cost.» (sentenza n. 394 del 2006).” Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7.4. Tanto premesso, la stessa Corte costituzionale ha del pari affermato che «la regola della retroattività della lex mitior, pur avendo rango diverso dal principio d’irretroattività della norma incriminatrice, di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., non è priva di un fondamento costituzionale» (sentenza n. 215 del 2008). Questo fondamento è stato individuato nel «principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo
l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitío criminis o la modifica mitigatrice» (sentenza n. 394 del 2006).
7.5. Importanti argomenti sul tema, poi, si ricavano dalla Convenzione EDU e dalla interpretazione che la Corte di Strasburgo ne ha dato. In particolare, nella nota sentenza del 17 settembre 2009, COGNOME contro Italia, la Grande Camera, mutando il proprio precedente e consolidato orientamento, ha ammesso che «l’art. 7 § 1 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività delle legg penali più severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattività dell legge penale meno severa», traducendosi «nella norma secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato». Il nuovo orientamento è stato poi ribadito nella successiva decisione del 27 aprile 2010, COGNOME contro Italia, in cui la Corte europea ha affermato che «le disposizioni che definiscono le infrazioni e le pene» sottostanno a «delle regole particolari in materia di retroattività, che includono anche il principio retroattività della legge penale più favorevole» all’imputato. In questa occasione è stato, peraltro, sottolineato che l’art. 7 riguarda solamente le norme penali sostanziali, e in particolare le disposizioni che influiscono sull’entità della pena infliggere.
7.6. Proprio con riguardo all’ottica convenzionale, occorre allora verificare se il riconoscimento, da parte della giurisprudenza europea, del principio di retroattività della norma più favorevole e la sua iscrizione tra le garanzie sancit dalla citata norma convenzionale, oltre a fargli acquistare autonomia, ne abbia mutato natura e caratteristiche, se cioè esso sia assoluto e inderogabile come il principio di non retroattività delle norme penali di sfavore, ovvero se la sua diversità rispetto alla garanzia fondamentale che questo rappresenta renda possibile, in presenza di particolari ragioni giustificative, l’applicabilità disposizione meno favorevole che era in vigore quando il reato è stato commesso, o comunque l’introduzione di limiti alla regola della retroattività in mitius. In secondo luogo, occorre individuare quale ne sia l’oggetto, se cioè riguardi solamente le disposizioni che prevedono il reato e la pena o anche qualunque altra disposizione che incida sul trattamento penale.
7.7. Ebbene, nella sentenza COGNOME, nulla la Corte EDU ha detto per far escludere la possibilità che, in presenza di particolari situazioni, il principi retroattività in mitius subisca deroghe o limitazioni: come ancora affermato dalla Corte costituzionale (n. 236 del 2011), è un aspetto che la Corte non ha considerato, e che non aveva ragione di considerare, date le caratteristiche del caso oggetto della sua decisione. È però significativo che la stessa Corte abbia
espressamente posto un limite, escludendo che il principio in questione possa travolgere il giudicato (nella sentenza si fa esclusivo riferimento a «leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva»), diversamente da quanto prevede nel nostro ordinamento l’art. 2, secondo e terzo comma, cod. pen. È da aggiungere che la sentenza COGNOME, anche se in modo non inequivoco, induce a ritenere che il principio di retroattività della norma più favorevole sia normalmente collegato dalla Corte europea all’assenza di ragioni giustificative di deroghe o limitazioni. Si legge, infatti, nella sentenza c «infliggere una pena più severa solo perché essa era prevista al momento della commissione del reato si tradurrebbe in una applicazione a svantaggio dell’imputato delle norme che regolano la successione delle leggi penali nel tempo» e che «ciò equivarrebbe inoltre a ignorare i cambiamenti legislativi favorevoli all’imputato intervenuti prima della sentenza e continuare a infliggere pene che lo Stato e la collettività che esso rappresenta considerano ormai eccessive». Ma, se la retroattività non può essere esclusa “solo” perché la pena più mite non era prevista al momento della commissione del reato, è legittimo concludere che la soluzione può essere diversa quando le ragioni per escluderla siano altre e consistenti». Perciò, qualora vi sia una ragione diversa, che risulti positivamente apprezzabile, la deroga all’applicazione della legge sopravvenuta più favorevole al reo dovrebbe ritenersi possibile anche per la giurisprudenza di Strasburgo, specie quando, come è avvenuto nel caso in esame, fattispecie incriminatrice e pena siano rimaste immutate.
7.8. Alla luce delle considerazioni che precedono, ha affermato la Corte costituzionale, non è arbitraria la conclusione che il riconoscimento da parte della Corte europea del principio di retroattività in mitius che già operava nel nostro ordinamento in forza dell’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen. e aveva trovato un fondamento costituzionale attraverso la giurisprudenza di questa Corte – non abbia escluso la possibilità di introdurre deroghe o limitazioni alla sua operatività, quando siano sorrette da una valida giustificazione. Sul presupposto, peraltro, che il principio di retroattività della lex mitior riconosciuto dalla Corte di Strasburgo riguardi esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all’ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità.
7.9. Tanto premesso, la Corte ritiene che nel caso in esame la deroga sia del tutto ragionevole, considerando che tale scelta legislativa mai potrebbe dar luogo ad una disparità di trattamento fra fatti identici, in virtù della loro m collocazione temporale; a partire dal 1° gennaio 2024, infatti, non possono più essere riscontrate condotte di indebita percezione del reddito di cittadinanza,
trattandosi di un beneficio ormai abrogato, ma soltanto condotte – assimilabili nella sostanza, ma differenti nei presupposti – di indebita percezione dell’assegno di inclusione, ossia della misura a carattere sociale introdotta proprio dal d.l. n. 4 del 2023 “a decorrere dal 1° gennaio 2024”. Il legislatore, pertanto, ha realizzato una sorta di “staffetta” tra il reddito di cittadinanza e l’assegno di inclusion facendo subentrare il secondo al primo alla data del 1° gennaio 2024; le due misure – si ribadisce – sono differenti nei presupposti, ma l’indebita percezione dell’una o dell’altra costituisce comunque reato, peraltro sanzionato nei medesimi termini. Ciò a conferma ulteriore, dunque, della ragionevolezza della irretroattività della /ex mitior, in quanto il legislatore non ha inteso liberalizzare qualunque condotta fraudolenta volta ad ottenere una prestazione assistenziale, ma diversamente – ha sostituito l’una misura con un’altra, mantenendo per entrambe, e ratione temporis, la piena valenza penale delle condotte fraudolente riscontrate.
7.11. Il primo motivo di ricorso, pertanto, risulta infondato.
Non rileva, peraltro, la questione di legittimità costituzionale pendente sull’art. 2, comma 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 4 del 2019, poi convertito, che prevede(va), tr i requisiti per l’accesso al reddito di cittadinanza, l’esser residente in Italia almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo (esattamente il requisito oggetto della contestazione alla ricorrente): la questione medesima – fissata innanzi alla Corte costituzionale per l’udienza del 7/5/2024, poi del 21/5/2024, infine rinviata a nuovo ruolo – attiene, infatti, al “denunciata discriminazione indiretta che sfavorisce maggiormente i cittadini di altri Stati membri rispetto a quelli italiani”, non rilevando, dunque, al caso specie, che concerne una ricorrente di nazionalità non comunitaria (keniota).
Il ricorso, di seguito, risulta inammissibile sulla seconda censura, che contesta l’assenza del dolo per aver – l’imputata – soltanto compilato un modulo predisposto dalla madre superiora, e su indicazioni di questa. Tale doglianza, infatti, attiene ad un evidente profilo di merito, introducendo circostanze di fatt proprie della sola fase di cognizione e la cui valutazione non è consentita in questa sede.
Conclusivamente, dunque, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2024
Il Co gliere estensore
Il Presidente