Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36409 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36409 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/04/2025 del TRIBUNALE DI ROMA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, Sezione per le misure di prevenzione, con decreto del 3 aprile 2025 precisava che il decreto di sequestro di prevenzione emesso in data 11 novembre 2024, nei confronti di NOME COGNOME, aveva in oggetto tutte le somme collocate sui conti correnti e su deposito titoli già trasferite al FUG – RAGIONE_SOCIALE, riferibili: a) all’intero controvalore della SICAV Carmignac contenuta in origine nel dossier titoli 925/052/9183107 intestata alla madre del proposto, già oggetto del sequestro preventivo in sede penale emesso dal G.i.p. del Tribunale di Roma del 17 ottobre 2019; b),alle disponibilità dei Deposito titoli nn. 925/052/9183107 e 052-925-9237280, nonché i conti correnti 010-925-7253, già oggetto del sequestro emesso dal G.i.p. del Tribunale di Roma in data 31 ottobre 2023, nel procedimento poi trasferito per competenza al Tribunale di Latina.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo deduce abnormità del provvedimento impugnato.
Dopo aver ripercorso le nozioni di abnormità strutturale e funzionale, il ricorrente rappresenta di essere latore di un interesse all’impugnazione in quanto gli importi oggetto del provvedimento risultavano essere stati già destinati, a seguito dei provvedimenti autorizzativi delle autorità giudiziarie in sede penale, al pagamento delle rate nell’ambito del procedimento di definizione agevolata in sede tributaria.
L’abnormità denunciata riguarda la circostanza che abbia deciso il Tribunale in forma collegiale e non il giudice delegato, cosicché è preclusa la relativa opposizione avverso il provvedimento di diniego, l’omessa fissazione per l’integrazione del contraddittorio ex art. 23 d.lgs. 159 del 2011, per altro trattandosi di un provvedimento emesso su istanza dell’amministratore giudiziario e non del pubblico ministero.
Rappresenta il ricorrente che esistono due dissequestri in sede penale, aventi ad oggetto le somme non impugnati dal pubblico ministero, mentre il decreto qui impugnato è latore di un danno erariale in quanto impeditivo della soddisfazione delle ragioni del Fisco.
Né si tratta di un provvedimento di precisazione di altro precedente, in quanto i Titoli SIVAC Carmignac non erano stati oggetto di sequestro perché mai citati nel decreto genetico e in quelli di integrazione.
Inoltre, non è corretto che la misura di prevenzione prevalga sulla giurisdizione. Si verterebbe nel caso di un sequestro di un dissequestro, il che determina una stasi non superabile di carattere processuale, oltre a essere l’impugnato decreto al di fuori di qualsivoglia schema procedimentale consentito.
Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite COGNOME (sentenza n. 25957 del 26/03/2009), l’area dell’abnormità, ricorribile per cassazione, nella sua duplice accezione, strutturale e funzionale, va ricondotta ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge.
2.1 In particolare nei rapporti tra giudice e pubblico ministero, l’abnormità strutturale è riconoscibile soltanto nel «caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). L’abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo» (Sez. U. n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, cit.; conf. da ultimo Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
2.2 Le Sezioni Unite COGNOME hanno avuto modo di distinguere l’ambito concettuale della abnormità, da un lato, dalle anomalie dell’atto irrilevanti perché innocue, dall’altro, dalle situazioni di contrasto del pronunciamento giudiziale con singole norme processuali, la cui violazione sia rinforzata dalla previsione della nullità.
«Sotto il primo profilo, è ininfluente e non riconducibile all’abnormità quell’atto, pur compiuto al di fuori degli schemi legali o per finalità diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione, che sia superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione. Quanto al secondo aspetto, l’incompatibilità della decisione con una o più disposizioni di legge processuale vizia l’atto per mancata applicazione o errata interpretazione del referente normativo e ne determina l’illegittimità, che, se ciò sia prescritto,
viene sanzionata in termini di nullità. In questa situazione la violazione sussistente non travalica nell’abnormità se l’atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento. Resta dunque escluso che, come precisato anche dalla dottrina, possa invocarsi la categoria dell’abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullità o comunque sgraditi e non condivisi (Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME), perché tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall’art. 568, comma 1, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, in motivazione)
Alla luce dei principi ora delineati, la decisione impugnata non è affetta da abnormità, dunque non è impugnabile, con conseguente inammissibilità del ricorso.
Infatti, quanto al presupposto di fatto – vale a dire l’estraneità dei Titoli Sivac Carmignac al decreto di sequestro di prevenzione genetico – come lo stessd ricorrente evidenzia i titoli erano presenti nel Deposito titoli 925/052/9183107 intestato alla madre del proposto, che pacificamente è stato oggetto del decreto genetico di prevenzione, come risulta dal relativo dispositivo.
Il sequestro del conto corrente 7253 presso Credem e del deposito titoli 9183107, collegato al conto, implicava anche il . sequestro dei titoli depositati e del valore nel tempo maturato.
Pertanto, il provvedimento qui impugnato, che ‘precisa’ il contenuto del sequestro genetico, non estende il sequestro a ulteriori beni – il che per altro sarebbe consentito officiosamente, se il procedimento di prevenzione è già iniziato, senza neanche l’istanza del pubblico ministero ai sensi dell’art. 20 d.lgs. 159 del 2011 – bensì si limita a precisare il contenuto dei beni già sequestrati.
Il che esclude che il provvedimento qui impugnato possa essere qualificato come un ulteriore sequestro, in disparte la circostanza che pur se si vedesse in tema di secondo sequestro lo stesso correttamente sarebbe stato emesso dal Tribunale collegiale nell’esercizio di un potere officioso attribuitogli dall’ordinamento.
Né la dedotta abnormità può trarsi dalla concomitanza dei sequestri penali e di prevenzione, in quanto tali evenienze sono fisiologiche, tanto da essere normate dall’ad. 30 d.lgs. cit., che prevede la prevalenza della gestione da parte dell’amministratore giudiziario nominato in sede di sequestro di prevenzione rispetto a quella in sede penale.
Anche la doglianza relativa alla collegialità del Tribunale che ha ‘precisato’ l’oggetto del sequestro è infondata, sia perché proveniente dall’organo che ha emesso il decreto genetico, sia perché la competenza rispetto al sequestro è dell’organo collegiale, non vertendosi in tema di gestione dei beni sequestrati (ex art. 40 d.lgs. cit.), sia anche perché la collegialità non impedisce di poter procedere all’incidente di esecuzione avverso il primo provvedimento assunto de plano, dinanzi allo stesso Tribunale collegiale.
Rileva questa Corte, in conclusione, come il provvedimento impugnato sia privo di contenuto giurisdizionale di cognizione, non consistendo in un ulteriore sequestro, limitandosi a precisare – anche in modo superfluo – quanto già si evinceva dal decreto genetico, nell’ambito delle prerogative proprie dell’organo emittente il sequestro di prevenzione per quanto concerne l’esecuzione dello stesso.
Pertanto, del tutto infondate sono le denunce di abnormità strutturale – esiste il potere in astratto e in concreto del Tribunale – e funzionale, in quanto alcuna stasi viene a determinarsi, non potendo intendersi tale l’indisponibilità delle somme – a fini tributari – conseguente all’esistenza del vincolo reale di prevenzione, non avendo il proposto avanzato alcuna richiesta di autorizzazione al Giudice della prevenzione, come andava fatto, trattandosi di titolo cautelare reale concorrente con quello penale.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 02/10/2025