Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34296 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 34296  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Firenze il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/3/2025 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20/3/2025, la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia emessa il 5/10/2022 dal locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del reato di cui all’art. 256, comma 2, d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
omessa applicazione dell’Allegato I del Regolamento 2014/1357/UE e dell’Allegato del Regolamento 2017/997/UE, direttamente applicabili negli Stati membri, che impongono l’obbligo di analisi chimico-fisiche delle sostanze, per la loro qualificazione come rifiuti pericolosi. Entrambi i Giudici del merito avrebbero ritenuto non necessario tale accertamento, sebbene imposto dalle norme richiamate, ritenendo sufficiente la dicitura riportata sulle etichette di alcuni bidon rinvenuti, che ben potevano esser riferite a contenuto precedente. La mancata esecuzione delle analisi, dunque, impedirebbe di classificare le sostanze in modo incontrovertibile, così imponendosi l’annullamento della sentenza;
non conferenza e non pertinenza della motivazione. La Corte di appello avrebbe travisato il secondo motivo di gravame, ritenendo che la difesa avesse chiesto la riqualificazione del reato da deposito incontrollato di rifiuti alla fattispec di cui all’art. 255, d. Igs. n. 152 del 2006 (all’epoca di presentazione del gravame, peraltro, illecito amministrativo), invece che nella fattispecie di abbandono di rifiuti ex art. 256, comma 2, stesso decreto, come sarebbe risultato chiaramente dal tenore del motivo. In forza di ciò, la sentenza non si sarebbe pronunciata sul tema, invero rilevante in sé ed alla luce della natura istantanea della contravvenzione che si chiedeva riconoscere, tale da far maturare interamente il termine prescrizionale già alla data di presentazione dell’atto di appello. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima censura, il Collegio osserva, innanzitutto, che il motivo di gravame non conteneva alcun riferimento ai Regolamenti citati, così giustificandosi l’assenza di motivazione sul punto.
4.1. Di seguito, si rileva comunque che l’Allegato al Regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014, contiene le caratteristiche di pericolo per i rifiuti (esplosivo, carburente, infiammabile, ecc.), ma non prescrive l’obbligo di procedere ad analisi chimico-fisiche per accertarne la presenza; alle stesse conclusioni, poi, si perviene quanto all’Allegato al Regolamento (UE) 2017/997 del Consiglio, dell’8/6/2017, che modifica l’allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la caratteristica di pericolo HP 14 «Ecotossico».
4.2. Proprio per l’assenza di una disposizione cogente nel senso indicato dal ricorso, la giurisprudenza di legittimità afferma costantemente che, ai fini dell’accertamento della natura di una cosa come rifiuto, non è sempre necessaria una analisi tecnica disposta dal giudice, potendosi ricavare il relativo convincimento da altri elementi del processo, sicché tale attitudine non deve
essere necessariamente accertata mediante perizia, potendo il giudice, secondo le regole generai, fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali, a titolo esemplificativo, le dichiarazioni testimoniali, i ril fotografici, le ispezioni o i sequestri (per tutte, Sez. 3, n. 33102 del 7/6/2022, COGNOME, Rv. 283417. Tra le molte non massimate, Sez. 3, n. 14221 del 13/3/2025, COGNOME; Sez. 3, n. 985 del 18/12/2024, COGNOME).
4.3. Tanto premesso in termini generali, il Collegio evidenzia che la sentenza impugnata si è pronunciata sul tema con una motivazione adeguata, fondata su oggettivi (e non controversi) elementi di merito e, dunque, non censurabile. Premesso che neppure la difesa ha mai contestato che i fusti in metallo recassero diciture come “acetone”, “vernici pitture e resine”, “biossido di manganese” e che, dunque, di certo avessero (quantomeno in passato) avuto tale contenuto, la sentenza ha sottolineato che l’accertamento tecnico richiesto non risultava necessario alla luce di quanto pacificamente riscontrato. In particolare, è stato sottolineato che: a) sarebbe spettato al produttore dimostrare che in quei fusti fossero stati gettati rifiuti di natura diversa da quanto riportato nelle etichette; b la giurisprudenza di legittimità ritiene non sempre necessarie le indagini tecniche, nei termini già sopra richiamati; c) la normativa definisce espressamente come rifiuti pericolosi non solo le sostanze, ma anche i loro contenitori che le abbiano precedentemente accolte (argomento, quest’ultimo, neppure contestato nel ricorso).
4.4. A ciò si aggiunga, peraltro, che la difesa non sostiene affatto che tali rifiuti non avessero le caratteristiche per essere qualificati come pericolosi, ma pone la questione in termini meramente ipotetici ed eventuali, sul presupposto del tutto teorico – che l’attuale contenuto dei bidoni non corrisponderebbe a quello originario indicato sulle etichette.
4.4. Il primo motivo di impugnazione, pertanto, risulta manifestamente infondato.
Alle stesse conclusioni, poi, la Corte giunge quanto al secondo motivo, concernente la richiesta di riqualificazione della condotta.
5.1. Al riguardo, si osserva innanzitutto che l’oggetto della richiesta è stato correttamente individuato dal Giudice di appello, come ben può leggersi nella sintesi delle ragioni di gravame (pag. 4, punto 2), senza ravvisarsi, dunque, alcun travisamento.
5.2. In secondo luogo, la sentenza impugnata ha adeguatamente respinto la richiesta difensiva (peraltro ancora riportata negli esatti termini a pag. 5), sottolineando, in particolare, che appariva “ingiustificatamente atomistica, laddove fraziona in una miriade di singoli abbandoni una condotta protratta per anni, che insiste sul medesimo luogo”. Già il Tribunale, peraltro, aveva di fatto
richiamato la costante giurisprudenza di legittimità, qui da ribadire, in forza della quale la contravvenzione che punisce l’abbandono dei rifiuti ha natura di reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti, presupponendo una volontà esclusivamente dismissiva che, per la sua episodicità, dà luogo a un gesto isolato sostanziantesi nella derelizione, diversamente da quella sanzionante il deposito incontrollato, che è integrata con un solo atto o con più condotte recanti i segni del persistente dominio sulla cosa e che ha sempre natura permanente, qualificandosi la condotta come deposito “controllabile”, cui segue l’omessa rimozione e cessando lo stato di antigiuridicità con lo smaltimento, il recupero, l’eventuale sequestro oppure con la sentenza di primo grado, se la contestazione è di natura aperta (tra le molte, Sez. 3, n. 30929 del 10/4/2024, Duse, Rv. 286838; Sez. 3, n. 6999 del 22/11/2017, COGNOME, Rv.272632). Ancora questa Corte, poi, ha costantemente affermato che la contravvenzione di abbandono di rifiuti, di cui all’art. 256, comma 2, in esame, è configurabile nel solo caso di condotta estemporanea e meramente occasionale, che abbia ad oggetto quantitativi modesti, interessi aree non estese e non implichi attività di gestione dei rifiuti o ad esse prodromiche, essendo altrimenti configurabile la contravvenzione di discarica abusiva (tra le altre, Sez. 3, n. 33287 del 10/7/2024, Paparazzo, Rv. 286844).
5.3. Non può condividersi, dunque, la tesi difensiva secondo la quale i Giudici di merito non avrebbero concretamente valutato le caratteristiche dello stato dei luoghi: il Tribunale, integralmente confermato dalla Corte di appello, ha infatti rilevato che la condotta accertata in punto di fatto escludeva ogni carattere di temporaneità e di occasionalità, integrando appieno i caratteri del reato contestato.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2025