Abbandono di Rifiuti: Quando la Quantità Fa l’Imprenditore di Fatto
L’abbandono di rifiuti è un reato ambientale con serie conseguenze, ma come si stabilisce la responsabilità quando l’attività non è formalizzata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla figura dell'”imprenditore di fatto” in questo contesto, sottolineando come la quantità e le modalità di accumulo possano essere decisive per la condanna, anche in assenza di una prova diretta per ogni singolo rifiuto.
Il Caso: Dall’Appello alla Cassazione
Il caso ha origine dalla condanna inflitta dalla Corte di Appello a un individuo per il reato di trasporto e abbandono di rifiuti pericolosi e non pericolosi. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali: in primo luogo, contestava la sua qualificazione come “imprenditore di fatto”, ritenendola non provata; in secondo luogo, negava l’esistenza di prove concrete che lo collegassero all’abbandono specifico di due lastre di fibrocemento contenenti amianto, trovate sulla sua proprietà.
La Qualifica di Imprenditore di Fatto nell’Abbandono di Rifiuti
La Corte di Cassazione ha respinto la tesi difensiva, confermando la validità del ragionamento della Corte d’Appello. La qualifica di imprenditore di fatto non è stata desunta dalla mancanza di altre attività lavorative, ma dall’enorme quantità di rifiuti rinvenuti nei terreni di proprietà dell’imputato. Secondo i giudici, un accumulo così vasto e protratto nel tempo (dal 2016 al 2018) non poteva essere casuale, ma presupponeva un’attività continuativa e organizzata di raccolta e deposito, tipica di un’attività imprenditoriale, sebbene esercitata informalmente. Questo criterio sposta l’attenzione dalla forma giuridica alla sostanza dell’attività svolta.
La Prova dell’Abbandono dei Rifiuti Pericolosi
Anche la doglianza relativa alla mancanza di prove sull’abbandono delle lastre in amianto è stata giudicata infondata. La Corte ha osservato che tali rifiuti pericolosi erano stati accumulati insieme ad altri, in una posizione non nascosta ma anzi ben visibile, all’interno di una zona porticata nella piena disponibilità dell’imputato. Quest’area, secondo quanto emerso, veniva utilizzata proprio per ammassare materiali provenienti da attività di sgombero cantine. I giudici hanno quindi ritenuto inverosimile l’ipotesi che le lastre fossero state abbandonate da terzi sconosciuti, i quali avrebbero dovuto accedere illegittimamente a un’area privata e strettamente connessa all’abitazione dell’imputato.
Le Motivazioni della Decisione della Cassazione
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate non rientravano tra quelle consentite in sede di legittimità. L’imputato, infatti, non contestava vizi di legge, ma tentava di ottenere una nuova valutazione delle prove e una diversa ricostruzione dei fatti, attività che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Cassazione ha ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata fosse congrua, esauriente e logicamente coerente, e pertanto non sindacabile. L’iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito per affermare la responsabilità penale è stato considerato corretto e ben fondato.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati ambientali: la responsabilità per l’abbandono di rifiuti può essere affermata anche sulla base di prove logiche e presuntive. La qualifica di “imprenditore di fatto” può derivare direttamente dalla vastità e sistematicità dell’accumulo, senza che sia necessaria l’iscrizione a registri commerciali. Inoltre, la presenza di rifiuti pericolosi in un’area sotto il proprio controllo crea una forte presunzione di responsabilità, che può essere superata solo fornendo una spiegazione alternativa credibile e non meramente ipotetica.
Come può una persona essere considerata ‘imprenditore di fatto’ in casi di abbandono di rifiuti senza avere un’impresa formale?
La qualifica può essere desunta dall’enorme quantità di rifiuti rinvenuti, raccolti e depositati nel tempo, poiché tale circostanza indica l’esistenza di un’attività organizzata e continuativa, anche se svolta in modo informale.
È sufficiente affermare che rifiuti pericolosi trovati sulla propria proprietà siano stati lasciati da terzi per escludere la propria responsabilità?
No, non è sufficiente se le circostanze rendono tale spiegazione inverosimile. Nel caso di specie, i rifiuti si trovavano in una zona non nascosta e nella piena disponibilità dell’imputato, usata per accumulare altri materiali, rendendo improbabile l’intervento di estranei.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le lamentele dell’imputato riguardavano la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti, attività che sono di competenza esclusiva del giudice di merito e non possono essere riesaminate in sede di legittimità, a meno che la motivazione della sentenza precedente non sia manifestamente illogica o carente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27839 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27839 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NIZZA MONFERRATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/07/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la qual la Corte di appello lo ha assolto con riferimento al reato di cui al capo di imputazione sub cui all’ art. 256, comma 1, lett. a) d.lgs. 152/2006, concernente i conferimenti di rifi società RAGIONE_SOCIALE, e lo ha condannato con riferimento al reato di cui al capo A), di cui all’ar comma 2, d.lgs. 152/2006, relativamente alle condotte di trasporto ed abbandono di rifiu pericolosi e non pericolosi. Il ricorrente deduce, con unico motivo di ricorso, vizio motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità, e precisamente in ordine a sussistenza della qualifica di imprenditore di fatto evidenziando l’assenza di prova del depo di due lastre in fibrocemento contenenti amianto.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Con memoria difensiva, il ricorrente ha chiesto la trattazione in pubblica udienza. Considerato che la doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione d riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insind in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di spe Corte di appello ha ritenuto sussistente la qualifica di imprenditore di fatto non solo in qu ricorrente non svolge altra attività lavorativa, ma desumendo la qualifica dall’ enorme quan di rifiuti rinvenuti in corrispondenza della proprietà del ricorrente, che li aveva quindi r depositati; il giudice ha anche evidenziato che tale abbandono risulta accertato sin dal 2016 f al 2018. In ordine alla mancanza di prova circa l’autore della condotta di abbandono di due last in fibrocemento, il giudice a quo ha evidenziato che tali rifiuti di natura pericolosa erano accumulati Vicino ‘agli altri, in posizione non defilata, anzi in una zona porticata nella dispo dell’imputato che utilizzava per accumulare quanto rinveniva nelle cantine oggetto di sgombero. Il giudice ha quindi ritenuto inverosimile che tali lastre siano state abbandonate da terzi che avrebbero dovuto introdursi nell’area cortilizia dell’abitazione dell’imputato, formalm demaniale, ma che costituisce un corpo unico con gli immobili di proprietà del ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2024
Il Presidente Il Consigliere estensore