Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16669 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16669 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
Oggetto
VITTIME DEL DOVERE
R.G.N. 19419/2023
Ud. 27/03/2025 CC
ORDINANZA
sul ricorso 19419-2023 proposto da:
, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME L.E.
– ricorrente principale –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 486/2023 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 17/05/2023 R.G.N. 934/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. adiva il Tribunale di Brindisi in funzione di giudice del lavoroinvocando le disposizioni di cui all’art. 1, L.E.
commi 563 e 564 legge 23/12/2005, n. 266 e agli artt. 1 e 6 d.P.R. 07/07/2006, n. 243- e conveniva in giudizio il Ministero dell’Interno , chiedendo accertarsi lo status di soggetto equiparato a vittima del dovere e riconoscersi i conseguenti benefici in ragione della invalidità sofferta all’esito di un infortunio occorsogli durante il servizio quale Vigile del fuoco mentre valicava un cancello per trarre in salvo un cane. Con la sentenza n. 961/2021 il Tribunale di Brindisi, sezione lavoro, rigettava la domanda, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Amministrazione convenuta.
proponeva appello. Con la sentenza n. 486/2023, depositata il 17/05/2023, la Corte di Appello di Lecce, sezione lavoro dichiarava l’imprescrittibilità dello status di vittima del dovere ma rigettava nel merito la domanda e con essa l’appello. L.E.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione , articolato su un unico motivo. Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso ed ha chiesto il rigetto dell’impugnazione principale ; ha spiegato ricorso incidentale condizionato, articolato su un unico motivo. L.E.
La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Il ricorso è stato trattato nella camera di consiglio del 27 marzo 2025.
Considerato che :
La difesa di parte ricorrente, con l’unico motivo del ricorso spiegato in via principale, deduceai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ.la violazione dell’art. 1, comma 563, legge 266/2005. Assume la parte ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che l’infortunio occorso al ricorrente, vigile del fuoco- che si era procurato un grave lesione al ginocchio nello scavalcare un cancello per
prestare soccorso ad un cane randagio rimastovi incastrato- non sia rilevante ai fini della normativa di tutela delle vittime del dovere. Nell’assunto del ricorrente, si tratterebbe di infortunio avvenuto nell’ambito di una attività di soccorso sicché- ai sensi dell’art. 1, comma 563, lettera d), legge 266/2005 -le conseguenze dannose darebbero luogo a tutela a prescindere dalla configurazione di un rischio specifico diverso da quello insito nelle attività ordinarie istituzionali.
Nella fattispecie, prosegue il ricorrente, dovrebbe applicarsi il principio di diritto affermato da Cass 29/01/2024, n. 2664 in una vicenda che si assume analoga.
Il motivo è infondato.
2.1. In punto di fatto, deve ritenersi incontroverso che l’odierno ricorrente, vigile del fuoco, in data , inviato in soccorso di un cane con la testa incastrata in un cancello, si accinse a superare la cancellata ma nello scavalcare cadde malamente in terra, procurandosi le lesioni all’origine della vicenda.
2.2. Ritiene il Collegio che al fine di definire i principi giurisprudenziali di rilievo si debbano prendere le mosse dal più recente orientamento espresso da Cass. 24/12/2024, n. 34299, con il quale sono stati individuati i presupposti per ascrivere i soggetti infortunati in azioni di soccorso alla categoria delle vittime del dovere.
2.3. In tale prospettiva, cui il Collegio intende dare continuità, si è evidenziato che : «ai fini dell’applicazione della speciale disciplina prevista per le vittime del dovere, non può rilevare in specie il servizio che il pubblico dipendente era stato chiamato a svolgere, ma piuttosto l’azione che quel servizio ha, nelle circostanze concrete, reso necessaria: questa Corte ha infatti già avuto modo di chiarire, con riguardo alla nozione di
soccorso delineata nel combinato disposto degli artt. 3 e 4, l. n. 466/1980, che la necessità di adoperarsi per aiutare chi si trovi in una situazione di pericolo imminente può scaturire sia in conseguenza di una richiesta specifica di assistenza avanzata nell’immediatezza della situazione di pericolo, sia in conseguenza di un obbligo qualificato di soccorso che abbia fondamento nelle competenze attribuite, in via generale, dalla legge e distinto dal generico dovere di soccorso che opera per il comune cittadino (cfr. in tal senso Cass. n. 30902 del 2021); e dal momento che la nozione di operazione di soccorso di cui all’art. 1, comma 563, lett. d), l. n. 266/2005, deve necessariamente essere modulata su quella di cui agli artt. 3 e 4, l. n. 466/1980, cit., s tante l’assimilazione operata dall’art. 1, comma 563, cit., tra «gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto» e «i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466», deve logicamente ritenersi che una operazione di soccorso, ai sensi della lett. d) della norma in esame, può configurarsi sia in conseguenza dell’espletamento di compiti che istituzionalmente contemplino l’aiuto prest ato a chi si trova in situazione di pericolo imminente, sia in conseguenza di un’improvvisa situazione di pericolo determinatasi nell’espletamento di compiti che istituzionalmente non abbiano tale finalità. Non può, tuttavia, ritenersi che ogni lesione riportata da un pubblico dipendente nell’ambito di una operazione di soccorso possa valere a guadagnargli anche lo status di vittima del dovere. È bensì vero che l’art. 1, comma 563, l. n. 266/2005, nel richiedere, per quanto qui rileva, che le lesioni siano state riportate «in conseguenza di eventi verificatisi in operazioni di soccorso», sembra evocare una concezione naturalistica (o
meglio, logica) del rapporto di causalità, tale per cui sarebbe sufficiente che l’attività (in specie, di soccorso) costituisca mera condicio sine qua non dell’evento lesivo. È però altrettanto vero che questa Corte ha da tempo chiarito che la nozione di causa va ricostruita sulla base dello scopo della norma che la contempla come elemento della fattispecie (cfr. in tal senso Cass. S.U. n. 13246 del 2019 e, più di recente, Cass. n. 8429 del 2024): il concetto di causa è infatti eminentemente normativo ed è solo in virtù di questa sua peculiare connotazione che, ad es., è possibile attribuire efficienza causale ad una omissione (art. 40, comma 2°, c.p.) o escludere il rapporto di causalità tra azione o omissione ed evento in presenza di concause sopravvenute che non abbiano approfondito (o l’abbiano approfondito nei limiti del lecito) il rischio originariamente creato con l’azione o l’omissione (art. 41, comma 2°, c.p.). Ciò posto, si è già visto che l’art. 1, comma 563, l. n. 266/2005, nel dettare la definizione di vittime del dovere, assimila i dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto ai «soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466», vale a dire ai dipendenti pubblici civili e militari che «per diretto effetto di ferite o lesioni subite nelle circostanze ed alle condizioni di cui agli articoli 1 e 2 della presente legge, abbiano riportato una invalidità permanente». Sennonché, l’art. 1 , l. n. 466/1980, espressamente prevede che le lesioni rilevanti ai fini dell’attribuzione dello status di vittima del dovere debbano essere riportate «in conseguenza di eventi dipendenti da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all’espletamento di attività di soccorso»; e in presenza di un tale disposto normativo, l’assimilazione tra le due
categorie sancita dal legislatore non può non indurre l’interprete a ritenere che anche gli «eventi verificatisi in operazioni di soccorso», di cui all’art. 1, comma 563, lett. d), l. n. 266/2005, così come quelli verificatisi nello svolgimento delle altre attività menzionate nelle lett. a), b), c), e), f), della norma citata, debbano essere dipendenti da rischi specificamente attinenti a tali attività, ossia rappresentare una concretizzazione di quella speciale pericolosità e/o dell’assunzione di quel rischio qualificato che -come già posto in evidenza da Cass. n. 29204 del 2021 -il legislatore ha considerato per differenziare la categoria delle vittime del dovere rispetto alla generalità dei pubblici dipendenti che possano riportare un’infermità per causa di servizio: diversamente argomentando, infatti, la ratio sottesa all’assimilazione tra le due categorie di vittime del dovere verrebbe a smarrirsi e «gli altri dipendenti pubblici» verrebbero a godere, ai fini in discorso, di un trattamento di favore rispetto a quelli di cui all’art. 3, l. n. 466/1980, ciò che non potrebbe non indurre dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 3, comma 1°, Cost.. Proprio per ciò deve escludersi che, ai fini dell’attribuzione dello status di vittima del dovere, sia sufficiente che le lesioni patite dal pubblico dipendente siano state riportate in conseguenza di eventi verificatisi in occasione di una delle attività tipizzate dall’art. 1, comma 563, l. n. 266/2005: è necessario, piuttosto, che l’evento da cui è scaturita la lesione costituisca a sua volta una concretizzazione della speciale pericolosità e/o del rischio tipicamente proprio di quelle determinate attività».
2.4. Facendo applicazione di questi principi, non può dirsi che l’evento da cui è scaturita la lesione costituisca una concretizzazione della speciale pericolosità e/o del rischio tipicamente proprio di quella attività di soccorso; sebbene tale
infortunio sia intervenuto nell’ambito della operazione di soccorso dell’animale incastrato, la caduta dal cancello, intervenuta quale frutto di un autonomo dinamismo corporeo, non può essere considerata come concretizzazione del rischio tipico dell’operazione ; quest’ultimo piuttosto si identifica normalmente nel fatto che il soccorritore possa rimanere vittima delle conseguenze della situazione di pericolo imminente in cui si trova chi è beneficiario dell’intervento .
2.6. Il Collegio ritiene allora applicabile il principio di diritto affermato da Cass. 24/12/2024, n. 34299: fermo restando che, come più volte affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. ad es. Cass. S.U. n. 10791 del 2017), il tratto differenziale della previsione di cui all’art. 1, comma 563, l. n. 266/2005, rispetto alla previsione successiva contenuta nel successivo comma 564, risiede nel fatto che essa elenca una serie di attività ritenute dal legislatore ex se pericolose, ossia -come precisato da Cass. n. 29204 del 2021, cit. -connotate da una speciale pericolosità e dall’assunzione di rischi qualificati rispetto a quelli propri della generalità dei pubblici dipendenti ( senza che sia richiesta la presenza d’un rischio ulteriore e diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali), il riconoscimento dello status di vittima del dovere richiede nondimeno che le lesioni siano derivate da eventi che costituiscano concretizzazione della speciale pericolosità e del rischio qualificato che è tipico di quelle attività.
2.7. Il ricorso principale deve, così, essere respinto.
Il ricorso incidentale, spiegato solo in via condizionata per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, va dichiarato assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Si deve disporre, infine, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente ordinanza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti della parte, che ha instaurato una controversia avente ad oggetto il riconoscimento di diritti legati all’accertamento di dati inerenti alla salute.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 4.000,00 (quattromila), oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto;
dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente ordinanza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta