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Vittima del dovere: status negato per casco non idoneo

Un operatore delle forze dell’ordine, infortunatosi in un incidente motociclistico durante il servizio, ha richiesto il riconoscimento dello status di vittima del dovere, attribuendo l’aggravarsi delle lesioni a un casco in dotazione ritenuto inadeguato. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, specificando che per ottenere tale status non basta un infortunio in servizio o l’uso di equipaggiamento non tecnologicamente avanzato. È indispensabile dimostrare l’esposizione a rischi straordinari, superiori alla normalità del proprio incarico, condizione che nel caso di specie non è stata riscontrata.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Vittima del dovere: quando un equipaggiamento obsoleto non basta per il riconoscimento

Il riconoscimento dello status di vittima del dovere rappresenta un importante traguardo di tutela per chi serve lo Stato in condizioni di particolare rischio. Tuttavia, i requisiti per ottenerlo sono stringenti e non ogni infortunio occorso in servizio ne dà diritto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un aspetto cruciale: l’inadeguatezza dell’equipaggiamento in dotazione è sufficiente a integrare i presupposti per tale riconoscimento? La risposta della Suprema Corte è stata negativa, tracciando una linea netta tra le ordinarie condizioni di lavoro e le circostanze eccezionali richieste dalla legge.

I fatti di causa: un incidente in servizio e un casco sotto accusa

Il caso riguarda un appartenente alle forze dell’ordine che, durante un servizio di scorta in motocicletta, veniva tamponato da un’automobile, riportando lesioni. Il ricorrente sosteneva che la gravità delle conseguenze fisiche fosse stata amplificata da un difetto del casco in dotazione. Nello specifico, il cavo di collegamento radio non si sarebbe sganciato automaticamente a seguito dell’urto, causando il trascinamento del malcapitato per diversi metri sull’asfalto. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua domanda volta a ottenere lo status di vittima del dovere.

I motivi del ricorso: la sicurezza dell’equipaggiamento come elemento chiave

Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il ricorrente ha basato le sue doglianze su tre motivi principali, tutti incentrati sulla questione dell’equipaggiamento:
1. Omesso esame di un fatto decisivo: i giudici di merito non avrebbero considerato la difettosità del casco come causa determinante delle lesioni.
2. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: la Corte territoriale non si sarebbe espressa sulla mancata adozione, da parte dell’Amministrazione, di dispositivi di protezione individuale più moderni ed efficienti.
3. Violazione di legge: le stesse censure venivano riproposte sotto il profilo della violazione della normativa specifica in materia di vittime del dovere.

In sostanza, la tesi difensiva puntava a dimostrare che l’impiego di un equipaggiamento non all’avanguardia o difettoso costituisse quella condizione di rischio straordinario richiesta per il riconoscimento dello status.

L’analisi della Corte: la distinzione tra “causa di servizio” e lo status di vittima del dovere

La Corte di Cassazione, esaminando congiuntamente i motivi, ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato nel suo orientamento. Ai fini del riconoscimento dello status di vittima del dovere, non è sufficiente che l’infortunio sia semplicemente riconducibile a una “causa di servizio”. La legge richiede un quid pluris, un elemento aggiuntivo.

Questo “qualcosa in più” consiste nel verificarsi di particolari condizioni ambientali o operative che implichino l’esistenza o la sopravvenienza di circostanze straordinarie. Tali circostanze devono aver esposto il dipendente a rischi o fatiche maggiori rispetto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei suoi compiti. La Corte ha chiarito che estendere il riconoscimento a ogni caso di presunta violazione degli obblighi di sicurezza sul lavoro (ex art. 2087 c.c.) annullerebbe la distinzione voluta dal legislatore, facendo coincidere impropriamente lo status di vittima del dovere con la semplice dipendenza da causa di servizio.

Le motivazioni della decisione

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha ritenuto che l’argomentazione del ricorrente non superasse questa soglia. I giudici hanno specificato che il malfunzionamento di un dispositivo di protezione individuale può rilevare solo se si tratta di un difetto specifico del singolo apparecchio (ad esempio, per un problema di manutenzione). Non rileva, invece, quando la presunta inadeguatezza riguarda la generalità dei dispositivi in dotazione in un determinato momento storico.

La Corte ha inoltre osservato che i giudici di merito avevano correttamente escluso la sussistenza di prove che, all’epoca dei fatti, esistesse una dotazione tecnologicamente più avanzata e obbligatoria. Di conseguenza, è stato confermato che non ricorrevano quelle “particolari condizioni ambientali e operative” in presenza delle quali può essere riconosciuto lo status di vittima del dovere. Il ricorso principale è stato quindi rigettato e quello incidentale del Ministero, di natura condizionata, è stato dichiarato assorbito.

Conclusioni: le implicazioni della sentenza

Questa pronuncia consolida un’interpretazione rigorosa dei requisiti per il riconoscimento dello status di vittima del dovere. Le implicazioni sono significative: si afferma che l’Amministrazione non è tenuta a fornire costantemente l’ultima tecnologia disponibile sul mercato per evitare responsabilità in questo specifico ambito. La tutela rafforzata prevista per le vittime del dovere è riservata a situazioni di eccezionalità e rischio concreto, che vanno oltre la normale operatività e i rischi intrinseci a una professione, anche se pericolosa. La decisione traccia un confine chiaro, impedendo che lo strumento di tutela venga esteso a tutti gli infortuni sul lavoro nel pubblico impiego, preservandone così la natura speciale e il valore.

Un infortunio sul lavoro è sufficiente per essere riconosciuti ‘vittima del dovere’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente che le lesioni dipendano da una causa di servizio. È necessario che l’incidente sia legato a particolari condizioni ambientali o operative che comportino un rischio maggiore rispetto alle normali condizioni di svolgimento dei compiti.

L’utilizzo di un equipaggiamento non tecnologicamente all’avanguardia può fondare la richiesta di status di vittima del dovere?
Generalmente no. La Corte ha chiarito che il malfunzionamento o l’inadeguatezza di un dispositivo di protezione rileva solo se riguarda un difetto specifico del singolo pezzo (es. cattiva manutenzione), non se riguarda la dotazione standard disponibile in un dato momento storico, anche se tecnologicamente superata.

Qual è la differenza tra ‘causa di servizio’ e i requisiti per essere ‘vittima del dovere’?
La ‘causa di servizio’ lega una patologia al servizio prestato. Per essere ‘vittima del dovere’, la legge richiede un ‘quid pluris’, ovvero un elemento aggiuntivo: l’esposizione a circostanze straordinarie e a un fattore di rischio maggiore rispetto alla normalità del compito istituzionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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