LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Vittima del dovere: la vigilanza in infermeria

La Corte di Cassazione ha stabilito che un agente di polizia penitenziaria che contrae un’infermità durante la sorveglianza di detenuti in infermeria non rientra nella categoria di ‘vittima del dovere’ per vigilanza a infrastrutture. La Corte ha chiarito che il beneficio si applica solo alla vigilanza diretta dell’infrastruttura stessa, considerata intrinsecamente rischiosa, e non alle generiche attività svolte al suo interno.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Vittima del dovere: non basta lavorare in carcere, conta l’attività svolta

Il riconoscimento dello status di vittima del dovere è un tema di grande importanza per chi opera nelle forze dell’ordine e nel pubblico impiego. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, distinguendo nettamente tra la generica attività di servizio svolta all’interno di una struttura a rischio e l’attività specifica di ‘vigilanza a infrastrutture’. Analizziamo la decisione per capire quando un agente può beneficiare di questa tutela.

I fatti di causa

Un agente di polizia penitenziaria, in servizio presso un istituto carcerario, aveva richiesto il riconoscimento dei benefici previsti per le vittime del dovere. L’agente sosteneva di aver contratto una patologia a causa della sua attività lavorativa, che consisteva nella sorveglianza di detenuti ricoverati nell’infermeria del carcere. Secondo la sua tesi, tale compito rientrava nell’ipotesi di ‘vigilanza ad infrastrutture civili e militari’ prevista dalla legge n. 266 del 2005.

Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto la sua domanda. I giudici di merito avevano concluso che la mansione svolta dall’agente non potesse essere assimilata alla vigilanza di un’infrastruttura, ma rappresentasse piuttosto un’ordinaria attività di sorveglianza nei confronti di persone.

La nozione di vittima del dovere e la vigilanza a infrastrutture

La legge (art. 1, comma 563, lettera c, della L. 266/2005) identifica tra le vittime del dovere coloro che hanno subito un’invalidità permanente ‘nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari’. Questa specifica categoria gode di una tutela rafforzata: a differenza di altre ipotesi, non è necessario dimostrare l’esistenza di un rischio specifico e ulteriore (quid pluris) rispetto a quello ordinario, poiché la pericolosità è considerata intrinseca all’attività stessa.

Il cuore della controversia era quindi stabilire se la sorveglianza di detenuti malati all’interno di un’infermeria carceraria potesse essere considerata ‘vigilanza a un’infrastruttura’.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’agente, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno offerto una interpretazione rigorosa e selettiva della norma. La legge, secondo la Corte, intende tutelare l’attività di vigilanza che ha come oggetto diretto e immediato una determinata infrastruttura, in quanto tale attività è di per sé fonte di rischi specifici e apprezzabili (es. attacchi esterni).

L’attività svolta dall’agente, invece, era la sorveglianza di persone (i detenuti) che si trovavano all’interno di una porzione dell’infrastruttura (l’infermeria). Il referente immediato del suo compito non era la struttura, ma gli individui. La Corte ha sottolineato che accogliere l’interpretazione estensiva proposta dal ricorrente significherebbe far rientrare in questa categoria, in modo indiscriminato, quasi tutte le attività svolte dalla polizia penitenziaria, snaturando la volontà del legislatore di tutelare contesti di rischio specifici.

La Cassazione ha anche distinto il caso in esame da un precedente delle Sezioni Unite (n. 10792/2017), in cui era stato riconosciuto lo status a un agente deceduto mentre era ‘in servizio di guardia presso il suddetto istituto’. In quel caso, l’attività era proprio la vigilanza dell’infrastruttura carceraria nel suo complesso, che rientra pienamente nella previsione normativa.

Le conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio chiaro: per ottenere i benefici come vittima del dovere nella categoria della ‘vigilanza a infrastrutture’, non è sufficiente operare all’interno di una struttura a rischio come un carcere. È necessario che l’attività principale e diretta sia la sorveglianza e la protezione dell’infrastruttura stessa. Le mansioni di sorveglianza e custodia di persone, anche se svolte in contesti pericolosi, non rientrano automaticamente in questa specifica tutela, ma devono essere valutate alla luce di altre disposizioni normative che richiedono, eventualmente, la prova di un rischio eccezionale e imprevedibile.

L’attività di sorveglianza dei detenuti in infermeria qualifica un agente come ‘vittima del dovere’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questa attività non rientra nella specifica ipotesi di ‘vigilanza ad infrastrutture civili e militari’, poiché ha come oggetto la sorveglianza di persone e non della struttura in sé.

Qual è la differenza tra vigilanza ‘a un’infrastruttura’ e ‘all’interno di un’infrastruttura’ per la legge?
La vigilanza ‘a un’infrastruttura’ si riferisce alla guardia e protezione della struttura stessa, attività considerata intrinsecamente pericolosa dalla legge. La vigilanza ‘all’interno di un’infrastruttura’ si riferisce ai compiti svolti al suo interno (es. sorveglianza di persone), che non godono della stessa presunzione di rischio per questa specifica categoria di tutela.

Per essere riconosciuti ‘vittima del dovere’ è sempre necessario dimostrare un rischio superiore a quello ordinario?
No. Per la specifica categoria della ‘vigilanza ad infrastrutture civili e militari’ (art. 1, c. 563, lett. c, L. 266/2005), il rischio è presunto e non va provato. Per altre ipotesi, come quelle previste dal comma 564 della stessa legge, è invece necessario dimostrare un ‘quid pluris’, cioè un rischio specifico e diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati