Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30712 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30712 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19409-2022 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 577/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 07/08/2022 R.G.N. 902/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 19409/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 22/10/2024
CC
RILEVATO CHE
Con nota del 20.2.2018 la RAGIONE_SOCIALE contestava al dipendente NOME COGNOME con funzioni di responsabile del servizio di vigilanza e sicurezza gestito dalla società, i seguenti addebiti: i) avere consentito, in data 12.5.2017, che uscisse dal sito multi-societario gestito dalla RAGIONE_SOCIALE, attraverso la portineria ovest, materiale (fogli di lamiera) in violazione delle procedure di stabilimento le quali, a tutela del patrimonio, prescrivevano una serie di adempimenti funzionali ad evitare la fuoriuscita di materiali; ii) avere insabbiato e nascosto, in data 18.5.2017, ai vertici aziendali un furto di cavo di rame comunicatogli da un suo sottoposto, addetto al servizio di vigilanza, al quale il COGNOME aveva dato istruzioni di non fare rapporto, di non notiziare della sottrazione i vertici della società e di provvedere a sostituire il cavo di rame rubato con altro cavo da reperire all’interno del sito multi -societario; iii) di avere intrattenuto, in data 4.10.2016, una ripetuta serie di brevi contratti telefonici con due soggetti individuati dall’autorità giudiziaria come autori di un furto di 20 mila litri di gasolio per autotrazione da un serbatoio della società RAGIONE_SOCIALE presente all’interno del sito multi -societario della Priolo Gargallo -Melilli denominato RAGIONE_SOCIALE.
In data 8.3.2018 veniva intimato al Rizza licenziamento disciplinare per giusta causa.
Impugnato il recesso il Tribunale di Siracusa, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92/2012, annullava il licenziamento condannando la società a reintegrare nel posto di lavoro il dipendente e a pagargli una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione fino ad un massimo di dodici mensilità.
La Corte di appello di Catania, con la sentenza n. 577/2022, in accoglimento del reclamo della Priolo RAGIONE_SOCIALE e in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava le domande originariamente presentate da NOME COGNOME
I giudici di seconde cure, premesso che le condotte realizzate dal lavoratore costituivano violazioni delle previsioni del Codice etico della società sia con riferimento all’art. 4.1. (che prevede ‘il comportamento dei dipendenti nel perseguimento degli obiettivi e nella conclusione di ogni operazione deve essere ispirato ai principi di onestà, trasparenza, lealtà e integrità e correttezza’) sia con riguardo al par. 4.4. del medesimo codice etico (nella parte in cui è stabilito che ‘tutti i dipendenti devo no anche operare al fine di ridurre il rischio di furti, danneggiamenti od altre minacce esterne alle risorse assegnate o presenti in Azienda, informando tempestivamente le Funzioni preposte in caso di situazioni anomale’) e che la violazione del Codice et ico aziendale era espressamente ricompresa dall’art. 54 Parte II del CCNL Energia e Petrolio nella declaratoria delle condotte del dipendente che giustificavano il licenziamento per motivi disciplinari, rilevavano che le condotte addebitate e accertate sub 1 e 2 integravano da sole la giusta causa di licenziamento perché la prima denotava una consapevole violazione, da parte del Rizza, delle disposizioni specifiche che era chiamato ad osservare e a fare osservare, mentre la seconda manifestava una violazione dei doveri di diligenza ancora più gravi in quanto posta in essere al fine specifico di sottrarsi a eventuali rilievi da parte della società ed era ulteriormente aggravata dalla circostanza di avere indotto un suo sottoposto a commettere una violazione dei doveri primari degli addetti alla sicurezza. La Corte precisava che le suddette condotte rivestivano il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, di quello fiduciario, sia sotto l’aspetto oggettivo che dell’intensità dell’elemento intenzionale e la sanzione espulsiva era proporzionale alla gravità dei fatti; tutte le altre questioni venivano ritenute assorbite.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi e due submotivi cui resisteva con controricorso la società intimata.
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione ed erronea applicazione di norme di diritto; la violazione dei canoni ermeneutici delle norme di diritto e dei contratti collettivi di categoria; la violazione della legge n. 300 del 1970, art. 18 co. 4 anche in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc nonché la violazione dell’art. 54 CCNL Energia con la connessa erronea applicazione del codice disciplinare. Si sostiene che alcuna lesione del vincolo fiduciario era stata posta in essere con l’operato, sotto il pr ofilo oggettivo e soggettivo, perché non era stata mai scientemente violata la procedura di stabilimento al preordinato scopo di conseguire o fare conseguire alcun vantaggio a sé o ad altri e che non era stato mai determinato alcun danno alla impresa né conseguito alcun beneficio; si rappresenta che la Corte territoriale aveva effettuato una erronea ricostruzione della quaestio facti rispetto a quella del Tribunale e che non aveva considerato che il fatto contestato era da considerarsi insussistente perché giuridicamente non rilevante; si sottolinea, infine, che, conformemente al primo giudice doveva ritenersi che gli addebiti complessivamente considerati per le loro modalità, per l’elemento psicologico di esso lavoratore e per la irrilevanza penale non assumevano, in base ad una valutazione compiuta secondo i criteri di gradualità e proporzionalità, una connotazione tale ad assurgere alla gravità richiesta per la comminazione del licenziamento di cui all’art. 54 co. II CCNL.
Con il secondo motivo si eccepisce l’error in iudicando nonché la motivazione apparente e perplessa per violazione dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, in relazione all’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, per avere la Corte territoriale omesso di valutare, con acume critico, le prove offerte dalle parti per testare la veridicità dei fatti addotti e apprezzarli adeguatamente. Si ribadisce che esso lavoratore, dopo essere stato sottoposto ad intercettazioni telefoniche e ambientali, era stato indagato e prosciolto totalmente e che la relazione di servizio, su cui
era fondata la decisione aziendale, era stata sottoscritta da un collega di colui che era stato nominato nuovo capo della sicurezza e cioè, un ex ispettore di Polizia in forza al Commissariato di Priolo, all’indomani dell’intimato licenziamento. Si prospet ta una diversa interpretazione dei due addebiti oggetto dell’incolpazione precisando che un corretto esame degli stessi avrebbe sicuramente escluso ogni responsabilità.
Con un primo sub-motivo si lamenta la violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto: violazione e falsa applicazione dell’art. 18 co. 4 legge n. 300 del 1970 anche in relazione all’art. 1455 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc. S i reitera l’argomentazione che il lavoratore non aveva mai commesso alcun reato, non aveva recato danno ed il fatto contestato non era riconducibile ad una sanzione espulsiva e, pertanto, non si rientrava nell’ambito applicativo dell’art. 54 del CCNL di se ttore che faceva espresso riferimento a tali presupposti.
Con un secondo motivo sub-motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, così come rinovellato dalla legge n. 92 del 2012, dell’art. 1 della legge n. 604 del 1966 e della violazione degli artt. 4 e 35 della Carta Costituzionale e dei principi sanciti dalla carta Sociale Europea, dai quali si evince il diritto del lavoratore a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente e la necessità che il fatto materiale oggetto dell’incolpazione sia rifer ibile all’agente, sotto il profilo soggettivo e riconducibile allo stesso nell’ambito delle azioni giuridicamente apprezzabili come fonte di responsabilità.
Il ricorso non è fondato.
Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica deve essere esaminato preliminarmente il secondo motivo.
Esso presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
E’ infondato nella parte in cui si denuncia la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc.
Invero, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio
logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 22232/2016; Cass. n. 3819/2020; Cass. n. 6758/2022).
Nel caso in esame, invece, è chiaro l’iter logico -giuridico seguito nella gravata sentenza ove si è ritenuta, una volta limitata l’indagine unicamente alle prime due condotte addebitate e attraverso un puntuale esame delle risultanze istruttorie, la sussistenza della giusta causa di licenziamento costituendo le condotte attuate una grave infrazione alla disciplina e alla diligenza prevista dall’art. 54 parte II del CCNL che indica, tra le fattispecie punibili con il licenziamento senza preavviso, la violazione del codice etico quale violazione dei principi di lealtà e di correttezza nonché dell’obbligo di informare tempestivamente i responsabili della società al fine di ridurre il rischio di furti dei beni in azienda.
Le altre doglianze sono inammissibili perché tendono, in sostanza, ad ottenere la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto la Corte di Cassazione non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).
Il primo motivo nonché il primo ed il secondo submotivo, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro interferenza, presentano anche essi profili di infondatezza e di inammissibilità.
Essi pongono, in realtà, quattro questioni: la interpretazione dell’art. 54 parte II del CCNL; la sussistenza della giusta causa di licenziamento; la rilevanza dei fatti contestati, sia sotto il profilo materiale e soggettivo; la valutazione dell’elemento della proporzionalità connessa alla tutela eventualmente applicabile.
Con riguardo alla prima problematica, è opportuno precisare che, sul piano processuale, la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è stata parificata a quella delle nome di diritto; da ciò discende che le clausole del contratto collettivo devono essere interpretate in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 cc e ss.) che costituiscono un criterio interpretativo diretto e non più un canone esterno per verificare l’esattezza e la congruità della motivazione , senza che vi sia più la necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate né di indicare come il giudice di merito si sia discostato da canoni legali assunti come violati (Cass. 15934/2020; Cass. n. 5533/2016).
Inoltre, è stato affermato, sempre in sede di legittimità, che in tema di interpretazione del contratto collettivo, il senso letterale delle espressioni e la ratio del precetto contrattuale che costituiscono i canoni fondamentali sui quali si deve basare il procedimento ermeneutico, non sono ordinati secondo un criterio di priorità, ma devono essere ugualmente apprezzati dal giudice nella ricostruzione del significat o dell’atto negoziale (Cass. n. 2996/2023; Cass. n. 30141/2022).
Ciò premesso, avendo riguardo ai principi sopra evidenziati questo Collegio considera corretta e condivisibile l’interpretazione dell’art. 54 parte II del CCNL Energia e Petrolio del 25.1.2017, come effettuata dalla Corte territoriale.
Per quello che interessa in questa sede, la norma contrattuale collettiva (art. 54, parte II) prevede che: ‘ II. Licenziamento. Il licenziamento per motivi disciplinari potrà essere inflitto, con la perdita dell’indennità di preavviso, in tutti quei casi in cui il lavoratore commetta gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro o provochi
all’azienda grave nocumento morale o materiale o compia azioni che siano considerate delittuose a termini di legge. In via esemplificativa, ricadono normalmente sotto tale provvedimento, le seguenti infrazioni: -assenze ingiustificate prolungate oltre 3 (tre) giorni consecutivi o ripetute per 5 (cinque) volte in un anno nei giorni seguenti ai festivi o seguenti alle ferie; -diverbio litigioso seguito da vie di fatto avvenuto in luogo di pertinenza dell’azienda o che perturbi il normale andamento del lavor o; -recidiva nelle mancanze di cui alla precedente parte I, quando siano già stati comminati uno dei provvedimenti disciplinari di minore gravità o quando la gravità dell’inadempimento comporti l’applicazione diretta della sanzione prevista nella presente parte II; abbandono del posto di lavoro, quando da questo possa derivarne un pregiudizio alla incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti, o comunque compie azioni che implichino gli stessi pregiudizi; -atti, anche per negligenza, che possono comportare pregiudizio alla salute e sicurezza delle persone nonché alla produzione e agli impianti; -contravvenzione al divieto di accendere fuochi durante lo svolgimento dell’attività di lavoro e nelle sedi di lavoro, contravvenzione al divieto di fumare nelle sedi di lavoro, ove ciò sia espressamente vietato mediante apposito avviso; -riproduzione o asportazione di schizzi o disegni di macchine o di utensili o di altri oggetti o documenti dell’azienda o comunque asportazione di beni materiali o immat eriali dell’azienda o danneggiamento volontario dei beni stessi, nonché furto di beni di proprietà dell’azienda o comunque situati nei locali aziendali anche se di proprietà di terzi; -insubordinazione verso i superiori; -godimento abusivo da parte del l avoratore del trattamento economico previsto all’art. 47 (ad esempio: falsificazione di documenti destinati alle certificazioni di malattia; effettuazione di altra attività lavorativa per conto proprio o di terzi; attività ricreative incompatibili con le prescrizioni mediche); -violazione della segretezza sugli interessi e sull’attività dell’azienda, profitto da quanto è nella conoscenza del lavoratore, abuso della propria posizione aziendale, ovvero attività contraria agli interessi aziendali; -uso di bevande alcoliche e/o sostanze stupefacenti durante l’orario di lavoro e nelle sedi di lavoro; richiesta e/o accettazione a/da terzi di compensi, a qualsiasi titolo, in connessione agli adempimenti della prestazione lavorativa; -comportamenti lesivi della dignità della persona o atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale; sistematici e reiterati atti o comportamenti aggressivi e/o ostili e/o denigratori che assumano forma di violenza morale o di persecuzione psicologica; qualsiasi condotta di natura discriminatoria in
relazione ad orientamenti che rientrano nella propria sfera personale; -alterazione o falsificazione del rendiconto per i rimborsi delle spese di trasferta; -violazione delle regole procedurali o di comportamento che incidono sul modello di organizzazione e gestione adottato ai sensi del D.lgs. n. 231/2001 mediante un comportamento diretto in modo univoco ad arrecare danno all’azienda o a compiere un reato, tale da determinare a carico della stessa, l’applicazione delle sanzioni previste dal D.lgs. n. 231/2001; -violazione del codice etico aziendale ‘.
Il codice etico aziendale prescrive al punto 4.1 che ‘il comportamento dei dipendenti nel perseguimento degli obiettivi e nella conclusione di ogni operazione deve essere ispirato ai principi di onestà, trasparenza, lealtà e integrità e correttezza’ e al punto 4.4 che ‘tutti i dipendenti devono anche operare al fine di ridurre il rischio di furti, danneggiamenti od altre minacce esterne alle risorse assegnate o presenti in Azienda, informando tempestivamente le Funzioni preposte in caso di situazioni anomal e’ .
La Corte territoriale, pertanto, non è incorsa in alcun errore interpretativo in quanto la violazione del codice etico aziendale è espressamente considerata dall’art. 54 parte II del CCNL quale infrazione che giustifica il licenziamento per motivi disciplinari con la perdita dell’indennità di preavviso e sono stati richiamati i punti del codice disciplinare da cui desumere la contrarietà ad essi del comportamento del Rizza.
Una volta, poi, accertato che la violazione del codice etico non è punita, per espressa volontà delle parti sociali, con sanzione conservativa, i giudici di seconde cure hanno verificato la sussistenza della giusta causa ritenendo che sia il primo episodio (violazioni dei compiti specifici connessi alle mansioni del COGNOME e al suo ruolo di responsabile della sicurezza) che il secondo (violazione dei doveri di informare i propri superiori al fine specifico di sottrarsi a eventuali rilievi da parte della società con coinvolgimento di un sottoposto a commettere una violazione dei doveri primari) costituissero appunto giusta causa di licenziamento, in quanto gravi infrazioni alla disciplina e alla diligenza nel lavoro.
22. Va ribadito il fondamentale principio affermato in sede di legittimità (per tutte, Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 6498/2012) secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
23. Orbene, nella fattispecie è senza dubbio condivisibile la sussunzione, operata dalla Corte di appello, dei fatti contestati e provati negli estremi della grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fi duciario e non in quelli della disattenzione o della negligenza (art. 54 parte I) perché effettivamente entrambe le condotte poste in essere sono state caratterizzate da una consapevole ed intenzionale volontà diretta a violare le specifiche norme di sicurezza che il COGNOME con qualifica di Quadro e responsabile della sicurezza del sito industriale denominato Polo Nord, doveva scrupolosamente osservare e fare osservare ai suoi sottoposti, connotandosi, quindi, quali ‘gravi infrazioni alla disciplina
e alla diligenza nel lavoro’, giusta quanto previsto dall’art. 54 parte II del CCNL sopra riportato,.
In ordine, infine, al giudizio di proporzionalità, deve osservarsi che, essendo esso demandato al giudice di merito (Cass. n. 26020/2018), sfugge al sindacato di legittimità se, come nel caso di specie, è stato adeguatamente motivato in relazione tanto alla gravità dei fatti quanto alla lesione irrimediabile del vincolo fiduciario.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2024