Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24169 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24169 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15607-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
SESTO CARMINE, COGNOME NOME;
-intimati –
avverso la sentenza n. 5389/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/11/2018 R.G.N. 6964/2013; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto
Retribuzione rapporto privato
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/05/2024
CC
Con sentenza n. 5389/2018, pubblicata il 12.11.2018, la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Avellino, ha dichiarato il diritto dei lavoratori, in epigrafe indicati, ad essere retribuiti, nella misura da quantificarsi in separato giudizio, ai sensi dell’art. 17 lett. c del RDL 19.10.1923 n. 2328, per la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati, da una località all’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto, condannando in via generica la società al pagamento delle conseguenti differenze retributive.
La Corte ha osservato a sostegno della propria decisione che la norma di cui all’art. 17, lett. c), R.D.L. n. 2328/1923, facendo riferimento ai “viaggi comandati da una località all’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto”, presuppone che l’inizio della prestazione lavorativa presso una data località sia preceduto dall’obbligatoria preventiva presenza del lavoratore presso altre località ovvero che il lavoratore, dopo avere ultimato l’esecuzione della prestazione lavorativa in un determinato luogo, debba fare rientro in altro luogo, anch’esso indicato dal datore di lavoro e, inoltre, ha precisato che la stessa norma induceva a considerare viaggio comandato non solo lo spostamento previsto da una espressa disposizione aziendale ed effettuato con un mezzo gratuito di servizio, ma ogni trasferimento che fosse inevitabile per l’organizzazione dei turni, derivante evidentemente da disposizioni aziendali, generali o individuali. La Corte distrettuale ha concluso, pertanto, affermando che il presupposto per l’applicabilità della norma in esame alla fattispecie di cui è processo non è l’uso del mezzo gratuito di servizio né il fatto che il lavoratore si rechi a lavoro con un proprio mezzo ovvero con mezzi pubblici ovvero a piedi, bensì la non coincidenza del luogo di inizio della prestazione con il luogo della cessazione del lavoro giornaliero ed il fatto che questa non coincidenza sia determinata non da una scelta del lavoratore ma da una necessità logistica aziendale.
Avverso detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo; gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, lett. c), del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, e dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (RD 16.3.1942 n. 262); la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cc, nonché dell’art. 12 delle Disposizioni sulla Legge in generale; la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, norme lette uti singuli ed in combinato tra loro. La società deduce, sulla premessa che i lavoratori avevano chiesto in sostanza la retribuzione riferibile -ex art. 17 lett. c) RDL 19.10.1923 n. 2328al tempo necessario a spostarsi dal deposito al posto di cambio o viceversa per prendere servizio o tornare a servizio compiuto, quantificato nel 50% del tempo occorrente a percorrere il suddetto tragitto, che un corretta interpretazione del citato art. 17, contestualizzato nel periodo storico in cui fu emanato, esclude dal suo ambito applicativo le ipotesi, come quelle delineate nel caso di specie, in cui i lavoratori, quando iniziano la prestazione al deposito, non hanno l’obbligo di farvi ritorno, come pure nel caso opposto, in cui iniziano in linea e terminano al deposito, non devono passare per il deposito ad inizio turno: ciò perché alcuna direttiva o obbligo, in tali sensi, erano stati mai impartiti dalla datrice di lavoro.
Il ricorso non è fondato.
Un primo dato che deve essere precisato concerne il fatto che le problematiche riguardanti la sussistenza di un interesse ad agire in concreto dei lavoratori per la mancata precisazione delle circostanze utili a quantificare la frequenza dei turni ovvero le distanze tra i siti aziendali esulano dal presente giudizio (avente ad oggetto una azione di mero accertamento di un diritto) e, come già sottolineato dalla
Corte di appello, saranno valutate nel successivo giudizio di quantificazione.
Venendo allo scrutinio delle censure, va osservato che l’art. 17 R.D.L. n. 2328/1923 prevede che si computi “come lavoro effettivo … la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località all’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto” (lettera c) .
Riguardo a tale norma è stato precisato che per viaggio comandato deve intendersi “ogni trasferimento inevitabile per l’organizzazione dei turni derivante da disposizione aziendale, effettuato sia con mezzo gratuito di servizio sia con proprio mezzo di trasporto con onere di spesa a carico del lavoratore. A tal fine, il computo del tempo di viaggio presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva, da una necessità logístico-aziendale, restando irrilevante la scelta del mezzo usato per lo spostamento. Concorrendo tali condizioni, il lavoratore può ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma, il cui fondamento è insito nell’esigenza di compensare il tempo necessario al menzionato spostamento indotto dall’organizzazione del lavoro riconducibile all’azienda” (Cass. n. 26581/2011; conformi: n. 10020/2011; n. 3575/2006; n. 15821/2000).
A fondamento della norma è posta l’esigenza di compensare il tempo necessario per il menzionato spostamento, indotto dall’organizzazione del lavoro riconducibile all’azienda, e il diritto all’attribuzione patrimoniale dipende dal fatto oggettivo della separazione dei luoghi di inizio e termine della giornata lavorativa, predeterminata dalla programmazione del lavoro aziendale con l’inizio del lavoro in un determinato luogo e conclusione in un altro luogo. La connessione causale di questa separazione con le necessità aziendali non esige dimostrazione alcuna, come anche la necessità di spostamento supposta come normale (Cass. n. 26581/2011).
Il principio è stato successivamente ribadito da Cass. n. 9062/2014 (e dalle conformi n. 9063 e n. 9064/2014) e peraltro contestualmente precisato “con riguardo agli oneri probatori imposti al lavoratore” nei termini seguenti: “Il R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, art. 17 – nella parte in cui prevede, per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione, che si computa come lavoro effettivo ‘la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto’ – interpretato nel senso che il computo del tempo dei viaggi, regolarmente comandati ed effettuati anche con proprio mezzo di trasporto, presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva da una necessità logistica aziendale, va coordinato con i principi in tema di onere della prova, restando a carico del lavoratore, per ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma, la dimostrazione delle modalità della prestazione, e cioè del tipo di turno praticato, degli spostamenti effettuati, della non coincidenza dei luoghi di inizio e termine della prestazione e di ogni altro elemento idoneo”: ma la valutazione di tale questione, come detto, sarà oggetto del giudizio di quantificazione.
Ora, nella fattispecie, la Corte distrettuale ha dato atto che i ricorrenti avevano allegato la circostanza che era ormai normale che la fine del lavoro fosse in luogo diverso da quello di inizio e che, di conseguenza, il dipendente doveva spostarsi dal deposito al posto di cambio con un proprio automezzo e che tali spostamenti costituivano un onere aggiuntivo; di contro la società aveva argomentato solo che non era previsto un obbligo per il dipendente di recarsi nel luogo di inizio della prestazione, ove diverso dal deposito, senza però contestare tale modalità lavorativa, ma unicamente la configurabilità in tal caso del cd. ‘viaggio comandato’.
Sulla base di tali premesse, la decisione della Corte territoriale, in punto di diritto, si pone, pertanto, in linea con l’orientamento
espresso da Cass. n. 15821/2000; Cass. n. 3575/2006; Cass. n. 26581/2011; Cass. n. 9062/2014) e, quindi, l’indirizzo adottato merita di essere confermato in questa sede. Né è rilevante la questione, prospettata dalla società, della violazione con l’art. 3 della Cost. di una siffatta interpretazione rispetto alla sorte di altri lavoratori, in particolare di altre aziende di trasporto non esercenti un pubblico servizio, che si trovassero nella medesima situazione, perché la presente controversia non riguarda siffatta categoria di lavoratori, bensì quelli cui va applicato, come nel caso in esame, l’art. 17 lett. c) del RDL n. 2328/1923 e nel perimetro di tale ambito applicativo devono essere valutati i parametri di costituzionalità della norma.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 maggio 2024