Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32969 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32969 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31180-2019 proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura conferita in calce al ricorso, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo difensore, in ROMA, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
ISTITUTO RAGIONE_SOCIALEASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (INAIL), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, in virtù di procura rilasciata in calce al controricorso, dagli avvocati COGNOME, COGNOME, COGNOME, con domicilio eletto in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 882 del 2019 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata il 15 maggio 2019 (R.G.N. 103/2017).
R.G.N. 31180/2019
COGNOME
Rep.
C.C. 19/9/2024
giurisdizione Variazione dei premi INAIL e rettifica della classificazione delle attività aziendali.
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 882 del 2019, depositata il 15 maggio 2019, la Corte d’appello di Bari ha respinto il gravame di RAGIONE_SOCIALE e ha confermato la pronuncia del Tribunale di Foggia, che aveva rigettato il ricorso della società, volto ad accertare, con ogni statuizione consequenziale, anche in punto di risarcimento dei danni, l’illegittimi tà del verbale ispettivo del 15 luglio 2014 e del provvedimento del Presidente dell’INAIL del 3 marzo 2015.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che l’intervento dell’INAIL non è riconducibile alla rettifica d’ufficio delle classificazioni di rischio, ma all’àmbito delle normali verifiche successive alla denuncia aziendale del 28 dicembre 2006. Quanto al merito della pretesa, assoggettata a regole pubblicistiche inderogabili, generiche risultano le contestazioni della società appellante.
–RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione contro la sentenza d’appello, formulando tre motivi di censura.
-L’INAIL resiste con controricorso.
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1., primo comma, cod. proc. civ.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-In prossimità dell’adunanza, la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
-All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni (art. 380 -bis .1., secondo comma, cod. proc. civ.).
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo, la ricorrente denuncia «Violazione e falsa applicazione della legge. Travisamento dei fatti. Errata
interpretazione» degli artt. 11 e 16 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 dicembre 2000 (Nuove tariffe dei premi per l ‘ assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali delle gestioni: industria, artigianato, terziario, altre attività, e relative modalità di applicazione), adottato di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
La sentenza d’appello meriterebbe censura, in quanto non ha configurato l’intervento ispettivo dell’INAIL come rettifica d’ufficio, a dispetto del tempo trascorso (otto anni) dalla denuncia aziendale e delle stesse risultanze del verbale ispettivo, che alludono a una riclassificazione, al pari del parere espresso in sede centrale dalla Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione (CONTARP). Ne discenderebbe la «decorrenza della nuova contribuzione a far data dal mese successivo al provvedimento di rettifica adottato» (pagina 5 del ricorso per cassazione).
1.1. -Il motivo è infondato.
1.2. -I giudici d’appello hanno accertato che la società ricorrente, con denuncia di variazione del 28 dicembre 2006, ha dichiarato di esercitare, a decorrere dal primo gennaio 2007, soltanto l’attività classificata alla voce 3620 e di aver cessato di eser citare l’attività contrassegnata dalla voce 6561.
Anche dopo tale denuncia, la società ha corrisposto i premi sulla base del tasso medio ponderato tra le voci di tariffa 3620 e 6561.
La Corte di merito, in linea con quanto ha già statuito il giudice di prime cure, ha sussunto la fattispecie nelle coordinate dell’art. 11 del d.m. 12 dicembre 2000, che prescrive l’obbligo del datore di lavoro di presentare «apposite denunce per ogni variazione totale o parziale dell ‘ attività già assicurata (cessazione di una o più lavorazioni, modificazione di estensione e di natura del rischio, ecc.), inclusa ogni variazione soggettiva ed oggettiva che determini la variazione
dell ‘ inquadramento nelle gestioni tariffarie di cui all ‘ articolo 1» (comma 1).
In tale fattispecie, ove «la variazione comporti un inquadramento diverso da quello in precedenza applicato, l ‘ Inail provvede al nuovo inquadramento con decorrenza dalla data in cui la variazione stessa si è verificata», applicando con la medesima decorrenza «la classificazione delle lavorazioni e la tassazione corrispondenti alla tariffa della gestione nella quale è disposto il nuovo inquadramento» (art. 11, comma 2, del citato decreto ministeriale).
Al caso di specie -soggiunge la Corte d’appello di Bari non si attaglia la diversa disciplina che l’art. 16 del menzionato decreto ministeriale detta per la rettifica d’ufficio della classificazione delle lavorazioni, sul presupposto che la classificazione delle lavorazioni e la relativa tassazione siano errate (comma 1). In tal caso, la variazione ha effetto a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla comunicazione del provvedimento di rettifica (comma 2).
1.3. -Tali conclusioni , aderenti all’effettivo atteggiarsi del rapporto controverso e alla distinzione tracciata dal d.m. 12 dicembre 2000, meritano di essere condivise.
D ecisiva è la considerazione che il provvedimento dell’INAIL fa riscontro alla denuncia della società, che ha segnalato la cessazione dell’attività recante il codice tariffa 6561. È proprio dalla denuncia aziendale che scaturisce il provvedimento di riclassificazione dell’INAIL , coerente con quanto si desume dalla denuncia stessa.
Coglie nel segno, pertanto, il rilievo della Corte di merito, che ha così ricostruito la vicenda di cui si discorre: «l’INAIL ha soltanto proceduto ad adeguare la classificazione della tariffa sulla linea di quanto denunciato dalla stessa contribuente» (pagina 6, punto 12, della pronuncia d’appello).
Per contro, presupposto indefettibile della diversa fattispecie della rettifica d’ufficio, invocata a supporto del ricorso, è la verifica
dell’erroneità della classificazione delle lavorazioni e della relativa tassazione, della discrasia tra i dati denunciati e quelli reali.
Erroneità e discrasia che, nel caso di specie, non si riscontrano, in quanto la riclassificazione muove dalla premessa che sia corretta la denuncia di variazione e che a tale denuncia occorra commisurare i premi dovuti, in base al fondamentale principio di autoresponsabilità ( ex ore tuo te iudico ) sotteso alla disciplina dell’art. 11.
La Corte d’appello ha individuato in modo convincente il discrimine tra la fattispecie regolata dall’art. 11 del d.m. 12 dicembre 2000 e quella della rettifica d’ufficio, che la ricorrente reputa a torto applicabile al caso di specie.
La diversa interpretazione, perorata nel ricorso e nella memoria illustrativa, priverebbe d’ogni effetto quella denuncia, che ha, quale conseguenza indefettibile , l’applicazione dell’inquadramento, della classificazione e delle tassazioni corrispondenti, a far data dalla variazione denunciata. Conseguenza che il mero decorso del tempo, rilevante nei soli termini che l’ordinamento valorizza, non può rendere tamquam non esset , azzerando gli effetti che la denuncia per sua natura produce.
-Con il secondo mezzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 21 -nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e lamenta che la Corte di merito abbia considerato tempestivo l’intervento dell’INAIL, senza tener conto «dei principi oramai invalicabili di ragionevolezza del procedimento amministrativo», che impongono di concluderlo in tempi ragionevoli. Tempi che l’Istituto non avrebbe rispettato, come si potrebbe evincere da un accertamento intervenuto soltanto il 15 luglio 2014, a fronte di una denuncia del 28 dicembre 2006.
2.1. -Neppure tale critica si dimostra fondata.
2.2. -La Corte di merito (pagine 6, 7 e 8, punti 13, 14, 15 e 16 della pronuncia d’appello) ha evidenziato che l’Istituto ha fatto valere
la propria pretesa, nel rispetto dei termini di prescrizione, e che tale contegno «è conforme alla disciplina dettata dall’ordinamento in materia contributiva» (punto 13).
2.3. -Tali conclusioni non prestano il fianco alle critiche della ricorrente, ribadite anche nella memoria illustrativa.
Come ha diffusamente chiarito la sentenza d’appello, r iveste rilievo cruciale il carattere pubblicistico e indisponibile dell’obbligazione dedotta in giudizio, che sorge al perfezionarsi degli elementi tipizzati dalla legge e si riconnette all’esigenza di fornire la provvista necessaria per l’adempimento dei compiti istituzionali dell’ente .
Né la violazione della normativa sul procedimento amministrativo può di per sé elidere un obbligo assoggettato a una disciplina cogente o conferire rilievo a un’asserita volontà abdicativa dell’Istituto. Per evidenti ragioni di certezza, connesse con il razionale impiego delle risorse pubbliche nell’attuazione dei compiti che la Costituzione affida allo Stato (art. 38 Cost.), i fatti estintivi, impeditivi e modificativi dell’obbligo possono essere soltanto quelli definiti dalla legge, che li subordina al ricorrere di presupposti rigorosi.
Neppure si può ravvisare alcun legittimo affidamento: il decreto ministeriale, deputato a specificare le prescrizioni del d.P.R. n. 1124 del 1965 ed esaustivo nel regolare i diversi procedimenti di variazione della classificazione, è inequivocabile nell’ancorare alla variazione, così come denunciata, la decorrenza del nuovo inquadramento, con tutti gli effetti che ne derivano in punto di classificazione e di premi.
-Con la terza critica, la ricorrente si duole, infine, della violazione o della falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 416 cod. proc. civ.
Il verbale ispettivo sarebbe privo delle motivazioni sulla riclassificazione del rischio e la Corte d’appello di Bari avrebbe errato nel recepirne le risultanze, pur nell’assoluta incertezza in ordine alla tempistica e alla tipologia dell’attività svolta. La sentenza d’appello, a
tale riguardo, sarebbe «fin troppo semplicistica, se non illogica» (pagina 11 del ricorso per cassazione) e si limiterebbe a recepire in modo acritico la prospettazione difensiva dell’Istituto.
3.1. -La doglianza è inammissibile.
3.2. -I giudici del gravame, lungi dal prestare un immotivato ossequio alle tesi propugnate dall’Istituto o dal sovvertire le regole che presiedono alla ripartizione degli oneri probatori, regole che hanno puntualmente richiamato e rettamente applicato al caso di specie (pagina 10, punto 23), hanno proceduto alla particolareggiata disamina di tutti gli argomenti enunciati dall’odierna ricorrente: la pretesa carenza di motivazione del verbale ispettivo e del provvedimento del Presidente dell’INAIL (pagina 8, punti 17 e 18); la portata dell’esito positivo delle verifiche svolte dal CONTARP provinciale (pagina 9, punto 19); l’incertezza dei fatti in relazione all’attività merceologica, alla tempistica, alla debenza a saldo (pagina 9, punti 20 e seguenti); l’omessa motivazione sugli elementi di fatto già valorizzati in primo grado (pagina 11, punto 27).
La Corte d’appello di Bari ha rilevato che nessuna rituale contestazione è stata formulata in ordine alla congruenza dell’attività denunciata con quella effettiva (punto 17).
Quanto al calcolo dei premi INAIL, esso s’incardina, ad avviso dei giudici d’appello, su «una semplice operazione matematica di applicazione del tasso di premio», in conformità alla denuncia presentata dalla stessa ricorrente (punto 21). La Corte territoriale rimarca, a tal proposito, che neppure sono state mosse contestazioni circostanziate in ordine ai conteggi prodotti e alle voci di tariffa applicate (pagina 10, punto 22).
All’esito di un’accurata indagine, che ha soppesato tutti gli elementi acquisiti al processo, la Corte d’appello di Bari , con motivazione tutt’altro che lacunosa ed illogica, ha concluso che l’Istituto ha
ottemperato all ‘onere probatorio , dimostrando tutti gli elementi costitutivi della pretesa dedotta.
3.3. -Dietro lo schermo della violazione delle regole sulla distribuzione degli oneri probatori e delle norme processuali (art. 416 cod. proc. civ.), il motivo di ricorso ambisce a ottenere una rivalutazione del compendio istruttorio, analiticamente esaminato dalla Corte di merito in consonanza con il giudice di primo grado.
Anche nei rilievi formulati nella memoria illustrativa, la critica si sostanzia nella riproposizione di argomenti che la sentenza impugnata ha già scrutinato, per confutarne la rilevanza risolutiva.
-Il ricorso dev’essere dunque, nel suo complesso, respinto.
-Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, alla stregua del valore della controversia e dell’attività processuale svolta.
-Il rigetto del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del la ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione