Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16804 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16804 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25030/2020 R.G. proposto da : COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO C/O STUDIO LEGALE COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 28/2020 depositata il 21/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 21.1.20 la corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del 28.2.17 del tribunale di Arezzo (tranne che sulle spese di lite, che ha, invece, compensato), che aveva rigettato la domanda della società di ripetizione dai suoi dipendenti delle somme pagate fino al 2015 ed al 2013, rispettivamente quali buoni pasto e premio di produttività. In particolare, secondo la corte territoriale la disciplina pubblicistica non era applicabile alle aziende speciali nella regolamentazione del rapporto con i dipendenti, che era -invece – di tipo privatistico, e che nessuna norma escludeva tale emolumenti, previsti da norma di origine collettiva aziendale o poi da uso aziendale.
Avverso tale sentenza ricorre la RAGIONE_SOCIALE (azienda speciale della CCIAA) per sei motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso i lavoratori.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce violazione dell’articolo 12 del contratto collettivo 20.9.99 e protocollo 23.7.93 nonché dell’art. 2099 c.c., per avere la Corte teritoriale ritenuto legittima la corresponsione degli emolumenti e per aver riconosciuto la facoltà di conservazione di somme previste dalla contrattazione aziendale anche dopo l’approvazione del contratto collettivo, sebbene l’articolo 12 dello
stesso si limiti ad aziende con più di 30 dipendenti (e tale non è l’azienda in questione) e, per altro verso, essendo la conservazione limitata alle erogazioni della contrattazione aziendale espressione di incrementi di produttività (e tali non sono i buoni pasto).
Il secondo motivo deduce violazione delle medesime norme e dell’art. 2103 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il diritto ai buoni pasto fosse intangibile per il futuro, sebbene non rientrasse nel principio di conservazione di cui si è detto nel precedente motivo.
Il terzo motivo deduce violazione delle medesime norme ex 360 n. 3 e 4 c.p.c., per assenza di motivazione in relazione ad una sentenza della Corte dei conti che aveva esaminato un caso analogo, escludendo ivi la rilevanza dei meri usi aziendali.
Il quarto motivo lamenta violazione dell’art. 2033 c.c., nonché dell’art. 1 legge 241 del 90, dell’articolo 12 contratto collettivo 20.9.99 e protocollo 23.7.93, per avere la sentenza impugnata ritenuto il regime privatistico del rapporto di lavoro e trascurato l’inefficacia dell’accordo integrativo aziendale del 1997 e il rilievo che la natura pubblica delle risorse dell’azienda speciale impedisce che l’erogazione dei buoni pasto venga legittimata come uso aziendale.
Il quinto motivo deduce violazione degli artt. 112, 161 e 354 c.p.c., ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di appello che denunciava un’omessa pronuncia in primo grado circa l’assenza dei presupposti degli emolumenti richiesti nel contesto normativo degli art. 9 d.l. 78/2010 e 1 co. 557 l. 147/2013.
Il sesto motivo deduce violazione dell’articolo 76 comma 8 bis decreto legge 112 del 2008, comma 557 legge 147 del 13, 1 dell’articolo 12 contratto collettivo 20.9.99 e protocollo 23.7.93, per aver ritenuto emolumenti anche del nuovo quadro normativo di cui all’art. 40 decreto legislativo 165 del 2001.
Ai fini del decidere è preliminare l’inquadramento della disciplina dei dipendenti dell’azienda speciale nell’ambito della disciplina privatistica o pubblicistica (oggetto del motivo sesto).
Al riguardo, la sentenza impugnata ha correttamente affermato che il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’azienda speciale è regolato per gli aspetti retributivi unicamente da norme di diritto privato.
L’affermazione è in linea con quanto statuito da questa Corte in materia (da ultimo, Cass. Sez. Lav. 28912 del 2023; cfr. S.U. n. 25207 del 10.11.2020), secondo cui le aziende speciali delle Camere di Commercio, pur non dotate di personalità giuridica propria, costituiscono comunque una struttura fornita di un’organizzazione autonoma, distinta da quella pubblicistica dell’Ente, che opera con modalità e strumenti non dissimili da quelli delle altre organizzazioni imprenditoriali (vedi, in particolare, Cass. SU n. 21503 del 2004), sicché il rapporto di lavoro del personale dipendente da tali aziende è sottratto all’ambito di applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001, perché non intercorre con Pubbliche Amministrazioni (vedi Cass. SU n. 12907 del 2003).
In riferimento alle aziende speciali delle Camere di Commercio si è ulteriormente evidenziato che esse sono caratterizzate da una organizzazione distinta da quella, tipicamente pubblicistica, dell’ente di riferimento, i cui tratti distintivi si sostanziano nel conferimento di pieni poteri deliberativi all’organo di vertice, in ampia libertà di azione, nella massima semplificazione delle procedure, in una notevole attenuazione dei controlli, in una quasi completa autonomia patrimoniale, finanziaria e contabile, nell’avere proprio personale, senza che rilevi, ai fini della separazione tra le due organizzazioni, il fatto che all’azienda non sia conferita una distinta personalità giuridica e neppure l’assenza del fine di lucro, siccome lo svolgimento dell’attività economica con modalità e strumenti tipicamente imprenditoriali vale a produrne l’equiparazione agli enti pubblici economici; ne consegue che il
rapporto di lavoro del personale dipendente dalle Aziende speciali delle Camere di Commercio, siccome non intercorrente con «pubbliche amministrazioni», è sottratto all’ambito di applicazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 165/2001 (Cass. n. 34619 del 16.11.2021; conf. Cass. n. 17601 del 21.6.2021).
Correlativamente, la sentenza ha implicitamente disatteso l’applicazione delle norme relative agli articoli 9 d.l. 78/2010 (che prevede dei tetti si spesa per le Pubbliche amministrazioni) e 1 co. 557 l. 147/2013 (che prevede la possibilità di introdurre, nella contrattazione di secondo livello, misure di contenimento della retribuzione da parte dell’amministrazione controllante), che la parte aveva invocato nel motivo di appello (cui fa riferimento oggi il quinto motivo di ricorso) ed ha ritenuto irrilevante il richiamo operato dalla parte alla sentenza della Corte dei conti relativa a caso simile (oggetto del motivo terzo di ricorso), operando peraltro un distinguishing tra il caso esaminato dalla sentenza (ove mancava un regolamentazione contrattuale o deliberativa dell’ente) e quello di specie.
Una volta chiarito il regime applicabile, gli altri motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati.
Occorre premettere che si tratta di richiesta di ripetizione di somme già erogate per anni in favore dei lavoratori sulla base dapprima di accordi aziendali e poi di usi aziendali, e dunque non solo con piena consapevolezza e volontarietà da parte dell’amministrazione, ma con la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai lavoratori e tradottosi in trattamento di maggior favore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo e individuale.
In tale contesto, la sentenza fonda il diritto agli emolumenti in questione, oltre che su accordo aziendale per un primo periodo, sugli usi aziendali, e sulla conservazione dei trattamenti economici
già goduti, che da un lato non sono stati in alcun modo esclusi dalla contrattazione nazionale (che non li ha previsti direttamente), e dall’altro lato sono stati attribuiti con deroga in melius del contratto collettivo, come consentito dall’art. 2077 c.c..
Come ritenuto da questa Corte (Sez. L, Sentenza n. 8342 del 08/04/2010, Rv. 613298 -01, e Sez. L, Sentenza n. 3296 del 19/02/2016, Rv. 638966 -01), la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e collettivi) integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d’azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
Ne consegue in rigetto del ricorso.
Spese secondo soccombenza, con distrazione.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese di lite, che si liquidano in euro 7.000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2025.