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Uso aziendale: il superminimo non è assorbibile

Una grande società di telecomunicazioni ha illegittimamente ridotto lo stipendio di alcuni dipendenti assorbendo il loro superminimo individuale negli aumenti previsti dal nuovo contratto collettivo. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando che la prassi consolidata di non assorbire tale voce retributiva costituisce un “uso aziendale” vincolante. Tale uso può essere revocato solo con una comunicazione formale, chiara e giustificata, cosa che non è avvenuta nel caso di specie.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Uso aziendale: quando il superminimo diventa intoccabile

L’uso aziendale rappresenta una di quelle dinamiche del diritto del lavoro che, pur non essendo formalizzate in un contratto scritto, possono generare diritti e tutele concrete per i lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questo principio, stabilendo che un comportamento favorevole del datore di lavoro, se reiterato nel tempo, diventa vincolante e non può essere modificato unilateralmente a danno dei dipendenti. Il caso specifico riguardava l’assorbimento del cosiddetto ‘superminimo’, quella parte di stipendio che eccede la paga base contrattuale.

I Fatti del Caso: La Controversia sul Superminimo

Un gruppo di dipendenti di una grande società di telecomunicazioni si è rivolto al tribunale lamentando una riduzione illegittima della propria retribuzione. A partire dal gennaio 2018, in concomitanza con il rinnovo del contratto collettivo di settore, l’azienda aveva iniziato ad ‘assorbire’ i superminimi individuali dei lavoratori. In pratica, gli aumenti previsti dal nuovo contratto non si sommavano al superminimo, ma lo erodevano, lasciando di fatto invariato lo stipendio totale.

I lavoratori sostenevano che questa pratica violava un uso aziendale consolidato. Per anni, infatti, in occasione dei precedenti rinnovi contrattuali, l’azienda non aveva mai operato tale assorbimento, trattando il superminimo come una componente stabile e aggiuntiva della retribuzione. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione ai dipendenti, condannando la società a ripristinare la voce retributiva e a restituire le somme indebitamente trattenute.

La Decisione della Corte: l’Uso Aziendale come Fonte di Diritto

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali: la violazione dei principi sull’assorbimento dei superminimi, l’errata applicazione delle norme sull’uso aziendale e la sua presunta revocabilità. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura e la forza vincolante delle prassi aziendali.

La Natura Vincolante dell’Uso Aziendale

La Corte ha ribadito che un uso aziendale si configura quando un datore di lavoro adotta un comportamento favorevole in modo reiterato, costante e generalizzato nei confronti di tutti i dipendenti (o di una categoria di essi). Questo comportamento, anche se non basato su una volontà esplicita di obbligarsi, diventa una fonte di diritto che si integra nei singoli contratti di lavoro, acquisendo la stessa efficacia di un accordo collettivo.

Di conseguenza, la naturale ‘assorbibilità’ del superminimo può essere derogata non solo da un accordo individuale o collettivo, ma anche da un uso aziendale che, di fatto, ha sempre escluso tale meccanismo. Nel caso in esame, il mancato assorbimento del superminimo in occasione di plurimi rinnovi contrattuali passati aveva generato un legittimo affidamento nei lavoratori.

Limiti alla Revoca dell’Uso Aziendale da parte del Datore

Il punto più interessante della decisione riguarda la possibilità per l’azienda di ‘disdettare’, ovvero revocare, un uso aziendale. La Cassazione ammette questa possibilità, riconoscendo che un’azienda non può rimanere vincolata ‘sine die’ a una prassi che potrebbe non essere più sostenibile nel tempo. Tuttavia, questa revoca non può essere arbitraria o implicita.

Per essere legittima, la disdetta deve rispettare i principi di correttezza e buona fede e deve essere:

1. Giustificata: Basata su un mutamento sostanziale delle circostanze (es. una profonda riorganizzazione o il rinnovo del contratto collettivo).
2. Formalizzata: Comunicata in modo chiaro, esplicito e univoco a tutta la collettività dei lavoratori.
3. Trasparente: Le ragioni della disdetta devono essere rese note, permettendo ai dipendenti di comprenderne la portata.

Nel caso specifico, l’azienda non aveva mai formalizzato una disdetta. Aveva semplicemente iniziato ad applicare l’assorbimento, un comportamento che la Corte ha ritenuto insufficiente a superare l’uso aziendale precedentemente formatosi.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la mera prassi e l’uso aziendale quale fonte sociale del diritto del lavoro. L’assunto dell’azienda, secondo cui per escludere l’assorbimento del superminimo sarebbe necessaria una comune volontà delle parti, è stato ritenuto infondato. La giurisprudenza consolidata, infatti, considera sufficiente il fatto oggettivo della reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro. Questo comportamento genera un trattamento economico o normativo di maggior favore che entra a far parte del contratto individuale di lavoro. L’azienda non ha fornito prova di aver validamente revocato tale uso attraverso una dichiarazione formale e diretta alla collettività dei lavoratori, che esplicitasse le ragioni di tale cambiamento. L’aver semplicemente smesso di seguire la prassi non costituisce una valida disdetta, rendendo illegittimo l’assorbimento operato.

Conclusioni

Questa ordinanza è di grande importanza pratica. Conferma che i diritti acquisiti dai lavoratori attraverso consuetudini aziendali favorevoli godono di una tutela robusta. Un datore di lavoro non può decidere di punto in bianco di eliminare un beneficio consolidato, mascherando la revoca dietro l’applicazione di un nuovo contratto collettivo. Per modificare un uso aziendale, è necessario un atto formale e trasparente che rispetti i principi di buona fede. In assenza di ciò, la prassi favorevole continua a produrre i suoi effetti, e qualsiasi atto contrario, come l’assorbimento del superminimo, è da considerarsi illegittimo.

Un’azienda può iniziare ad assorbire il superminimo individuale negli aumenti contrattuali se non l’ha mai fatto in passato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il mancato assorbimento è stato una prassi costante, generalizzata e reiterata nel tempo, si è formato un ‘uso aziendale’ che lo vieta. Tale uso diventa vincolante per l’azienda e si integra nei contratti individuali.

Che cos’è un ‘uso aziendale’ e quale valore legale ha?
È un comportamento favorevole tenuto dal datore di lavoro in modo ripetuto e generalizzato verso i dipendenti. Pur non essendo scritto, acquista la stessa efficacia di una clausola contrattuale o di un accordo collettivo, creando un diritto per i lavoratori.

È possibile per un’azienda revocare un uso aziendale?
Sì, ma non in modo implicito o arbitrario. La revoca (o ‘disdetta’) deve essere giustificata da un mutamento delle circostanze e deve essere comunicata formalmente, in modo chiaro ed esplicito, a tutti i lavoratori interessati, spiegandone le ragioni. Un mero cambiamento di comportamento non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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