Una Tantum e Cambio Appalto: La Cassazione Chiarisce il Principio di Proporzionalità
L’erogazione di una somma una tantum a seguito del rinnovo di un contratto collettivo è una prassi comune per compensare i lavoratori per il periodo di vacanza contrattuale. Ma cosa succede quando, durante tale periodo, il lavoratore cambia datore di lavoro a seguito di un cambio appalto? La questione è stata al centro di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che ha fornito un’interpretazione chiara e destinata a orientare i futuri contenziosi.
La Vicenda Giudiziaria
Il caso nasce dalla richiesta di un gruppo di lavoratori, impiegati in servizi di pulizia, di ottenere il pagamento integrale di un’indennità una tantum prevista dal nuovo CCNL Mobilità – Attività Ferroviarie. I lavoratori erano stati assunti da una nuova società appaltatrice a seguito di un cambio appalto. La nuova azienda aveva corrisposto l’emolumento, ma lo aveva calcolato in proporzione ai soli mesi di servizio prestati alle proprie dipendenze, escludendo il periodo in cui i lavoratori erano impiegati presso le precedenti società appaltatrici.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione ai lavoratori, sostenendo che l’azienda subentrante nell’appalto fosse tenuta a versare l’intera somma, in quanto datore di lavoro al momento della stipula del nuovo CCNL. Secondo i giudici di merito, il diritto all’una tantum sorgeva in capo ai lavoratori in forza all’azienda in quel preciso momento, senza possibilità di frazionamento.
Il Principio di Diritto sull’Una Tantum
La società appaltatrice ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione della Corte d’Appello su tre fronti principali:
1. Errata interpretazione delle norme del CCNL, che prevedevano un riproporzionamento.
2. Mancata considerazione della natura retributiva dell’emolumento, legato alla prestazione lavorativa svolta nel periodo di riferimento.
3. Erronea assimilazione del cambio appalto al trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.), che avrebbe comportato una continuità giuridica del rapporto.
La Corte di Cassazione ha accolto tutti e tre i motivi, ribaltando la decisione dei giudici di merito e affermando un principio di diritto fondamentale in materia.
Le Motivazioni
La Corte Suprema ha chiarito che l’indennità una tantum ha la funzione di assicurare un parziale recupero del potere d’acquisto perso dal lavoratore durante il periodo di vacanza contrattuale. Essa è, quindi, ‘strutturalmente correlata all’effettuazione della prestazione lavorativa’.
Di conseguenza, non è giustificato porre l’intero onere a carico dell’ultimo datore di lavoro, il quale beneficerebbe solo in parte dei vantaggi economici derivanti dal mancato rinnovo contrattuale. L’obbligazione di pagamento, secondo la Corte, deve gravare su ciascun datore di lavoro per i periodi di attività prestata presso di esso. L’obbligo di versare l’importo ‘in proporzione ai mesi di servizio prestati nel periodo di riferimento’ è una conferma diretta di questa interpretazione.
In assenza di una specifica clausola contrattuale che ponga l’intero debito in capo all’ultimo datore, prevale la regola generale della proporzionalità. Far gravare l’intero costo sull’azienda subentrante significherebbe addossarle un onere relativo a periodi in cui il rapporto di lavoro era in essere con altri soggetti.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile. La sentenza viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi al seguente principio: l’indennità una tantum deve essere ripartita proporzionalmente tra i diversi datori di lavoro che si sono succeduti nell’appalto durante il periodo di vacanza contrattuale. Ogni azienda è responsabile solo per la quota maturata durante il proprio periodo di gestione. Questa decisione fornisce certezza giuridica e un criterio di equità nella gestione dei costi legati ai rinnovi contrattuali nei frequenti casi di successione negli appalti.
In caso di successione di appalti, l’ultimo datore di lavoro deve pagare l’intera indennità una tantum per il periodo di vacanza contrattuale?
No, secondo la Corte di Cassazione l’ultimo datore di lavoro non è tenuto a pagare l’intero importo. L’onere deve essere ripartito proporzionalmente tra i diversi datori di lavoro che hanno impiegato il lavoratore durante il periodo di riferimento della vacanza contrattuale.
Perché l’indennità una tantum deve essere riproporzionata tra i vari datori di lavoro?
Perché l’indennità è strutturalmente correlata alla prestazione lavorativa effettivamente svolta. Ha la funzione di recuperare parzialmente il potere d’acquisto perso durante il periodo senza rinnovo contrattuale. Pertanto, ogni datore di lavoro è responsabile solo per la quota corrispondente al periodo in cui il lavoratore è stato alle sue dipendenze.
Cosa succede se il contratto collettivo non prevede esplicitamente una regola per il pagamento integrale da parte dell’ultimo datore?
In assenza di una diversa e specifica previsione negoziale (ad hoc) che ponga l’obbligazione integralmente a carico dell’ultimo datore di lavoro, prevale il principio del riproporzionamento. L’obbligo di pagamento è quindi suddiviso tra i datori di lavoro che si sono avuti durante il periodo di riferimento.