Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10311 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10311 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22555/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE -ISTITUTO NAZIONALE VALUTAZIONE DEL SISTEMA EDUCATIVO ISTRUZIONE E FORMAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende -controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 850/2021 pubblicata il 04/03/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n.850/2021 pubblicata il 04/03/2021, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con RAGIONE_SOCIALE
La controversia ha per oggetto l’accertamento della nullità, annullabilità, illegittimità, inefficacia dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa conclusi tra le parti tra lo 02/05/2002 e il 28/02/2009; l’accertamento di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno; il risarcimento del danno ex art.36 comma 5 d.lgs. n.165/2001, in misura pari alla perdita economica per il mancato godimento delle ferie, della tredicesima mensilità e del TFR; il diritto alla regolarizzazione delle posizione contributiva con la condanna generica al risarcimento dei danni ex art.2116 cod. civ.
Il Tribunale di Velletri riteneva la illegittimità dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa conclusi tra le parti e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, per il periodo dedotto in giudizio. Rigettava le altre domande proposte.
Per la cassazione della sentenza ricorre COGNOME con ricorso affidato a due motivi, illustrato da memoria. INVALSI resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 36 comma 5 del d.lgs. n. 165/2001 con riferimento all’art. 360 comma primo n. 3 cod. proc. civ.. Deduce che la indennità sostitutiva per le ferie non godute , la tredicesima mensilità e il TFR non sono
state pretese a titolo di retribuzione, ma a titolo di risarcimento del danno ex art.36 comma 5 d.lgs. n.165/2001, ed in particolare ai fini della quantificazione del danno da liquidare in via equitativa.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art.2116 comma secondo cod. civ. e della legge quadro n.388/2000, con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. Deduce che la corte territoriale ha errato nel pronunciare una sentenza di mero accertamento del diritto alla regolarità della posizione contributiva con riferimento al periodo dal 2000 al 2009 e una pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni nei confronti del datore di lavoro.
Il primo motivo è infondato. Nella materia in esame si intende dare continuità all’orientamento di Cass. 13/02/2023 n.4360, secondo la quale «in caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che, in seguito ad accertamento giudiziario, risulti avere la sostanza di contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non può conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la P.A., ma ha diritto ad una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all’art. 2126 c.c., nonché alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale ed alla corresponsione del trattamento di fine rapporto per il periodo pregresso».
Ciò premesso, la corte territoriale ha rigettato la domanda risarcitoria sulla base di due rationes decidendi tra loro concorrenti. Per un verso ha ritenuto che il danno ex art.36 comma 5 d.lgs. n.165/2001 «deve essere allegato e provato dallo stesso lavoratore, ma non coincide con la retribuzione ed i correlati oneri contributivi e previdenziali». Per altro verso ha rilevato che «l’appellante risulta stabilizzato presso l’Istituto (v. pag. 16 del ricorso di primo grado)», ed ha ritenuto che avendo conseguito il bene della vita tutelato dall’indennizzo nulla poteva essergli riconosciuto ex art.32 cit., richiamando Cass.16336/2017.
5. Quanto ai rapporti tra stabilizzazione e risarcimento del danno, si intende dare continuità a Cass. 03/07/2017 n.16336, nei termini che seguono: «l’effettiva intervenuta stabilizzazione, su cui le parti convengono, integra misura equivalente alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 5072 del 2016, idonea a sanzionare debitamente l’abuso, atteso che i soggetti lesi dall’abusivo ricorso ai contratti a termine in questione hanno, comunque, ottenuto, in ragione della procedura di stabilizzazione, il medesimo “bene della vita” per il riconoscimento del quale hanno agito in giudizio (…) Né l’equivalenza degli effetti potrebbe in sede di legittimità essere contestata sul rilievo che anche il ritardo nel conseguimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato è risarcibile, occorrendo che l’originaria formulazione della domanda nel giudizio di merito sia prospettata in questi termini, circostanza che nella specie non risulta dedotta. Non può trovare applicazione, pertanto, il risarcimento del danno previsto dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, come chiesto dai lavoratori (Cass., SS.UU., n. 5072 del 2016). Venuta meno l’agevolazione probatoria rimane impregiudicata, in applicazione dei principi affermati dalle SS.UU. nella richiamata sentenza n. 5072 del 2016, la possibilità del lavoratore che si ritenga leso dalla illegittima reiterazione di assunzioni a tempo determinato di allegare e provare danni ulteriori e diversi rispetto a quelli “risarciti” dalla stabilizzazione, con la precisazione che l’ onere della prova di siffatti danni ulteriori grava sul lavoratore, non operando il suddetto beneficio della prova agevolata e che detti ulteriori danni non possono identificarsi con
quelli “da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro” (citata decisione delle SS.UU.)».
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto applicabili alla materia in esame perché, in buona sostanza, ha escluso il risarcimento del danno ex art.36 comma 5 d.lgs. n.165/2001 a cagione della sopravvenuta stabilizzazione del ricorrente, ed il risarcimento del danno ulteriore per difetto di allegazione e prova dello stesso. Il primo motivo è dunque infondato.
E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso.
La corte territoriale, richiamando ex art.118 disp. att. cod. proc. civ. un suo precedente, ha rigettato la domanda perché non è stato convenuto in giudizio l’istituto previdenziale.
Dalle conclusioni trascritte nel ricorso per cassazione risulta che l’odierno ricorrente non ha proposto in giudizio una domanda di condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali, ma una domanda di accertamento del diritto «alla regolare posizione assicurativa e la parte convenuta tenuta agli adempimenti necessari a regolarizzare detta posizione».
Secondo Cass. 22/01/2015 n.1179 «l’omissione della contribuzione produce un pregiudizio patrimoniale a carico del prestatore di lavoro, distinguendosi due tipi di danno: l’uno, dato dalla perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale pensionistica, che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge l’età pensionabile; l’altro, dato dalla necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, attraverso una previdenza sostitutiva, eventualmente pagando quanto occorre a costituire la rendita di cui alla L. n. 1338 del 1962, art. 13. Ne consegue che le situazioni giuridiche soggettive di cui può essere titolare il lavoratore, nei confronti del datore di lavoro, consistono: una volta raggiunta l’età pensionabile, nella perdita totale o parziale della
pensione che da luogo al danno risarcibile ex art. 2116 c.c.; prima del raggiungimento dell’età pensionabile e del compimento della prescrizione del diritto ai contributi, nel danno da irregolarità contributiva a fronte del quale il lavoratore può esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 c.c., ovvero di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso».
La corte territoriale ha dunque errato nel ritenere inammissibile la domanda di accertamento spiegata dalla odierna parte ricorrente, in difformità dei principi di diritto sopra richiamati.
Il secondo motivo deve pertanto essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Sussistono i presupposti per la decisione della causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto. Deve quindi dichiararsi il diritto di NOME COGNOME alla regolarità della posizione contributiva per il periodo dal 02/05/2002 al 28/02/2009 e la parte controricorrente deve essere condannata agli adempimenti necessari per regolarizzare la posizione contributiva.
13. L’esito complessivo del processo impone la compensazione delle spese dei due gradi di merito. Le spese del giudizio di legittimità, poste a carico della parte controricorrente, vengono liquidate in euro 4.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo e, decidendo la causa nel merito, dichiara il diritto di NOME COGNOME alla regolarità della posizione contributiva per il periodo dal 02/05/2002 al 28/02/2009, condanna la parte controricorrente agli adempimenti necessari per regolarizzare la posizione contributiva. Compensa le spese dei due gradi di merito e condanna la parte controricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, a beneficio del ricorrente, liquidate in euro 4.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della