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Tutela risarcitoria pubblico impiego: i limiti

Un dipendente pubblico, dopo aver ottenuto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a seguito di anni di contratti atipici e la successiva stabilizzazione, si è visto negare un risarcimento ulteriore. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10311/2025, ha chiarito i principi sulla tutela risarcitoria pubblico impiego: la stabilizzazione costituisce una sanzione adeguata che assorbe il danno standard, ma non pregiudica il diritto del lavoratore a ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva direttamente dal datore di lavoro.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tutela Risarcitoria Pubblico Impiego: Stabilizzazione e Diritto ai Contributi

La questione della tutela risarcitoria nel pubblico impiego in caso di abuso di contratti a termine è un tema di grande attualità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su due aspetti cruciali: cosa spetta al lavoratore che, dopo anni di precariato, viene finalmente stabilizzato? E come può tutelare il suo diritto alla regolarizzazione dei contributi previdenziali? Analizziamo la decisione per comprendere i principi affermati dai giudici.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un lavoratore che per quasi sette anni, dal 2002 al 2009, ha prestato servizio presso un ente pubblico di ricerca sulla base di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Il Tribunale di primo grado aveva accertato la natura subordinata del rapporto di lavoro, riconoscendo l’illegittimità dei contratti stipulati. Tuttavia, aveva rigettato le ulteriori domande del lavoratore volte a ottenere il risarcimento del danno, comprensivo di ferie non godute, tredicesima e TFR, e la regolarizzazione della posizione contributiva.

La Corte d’Appello confermava la decisione, negando il risarcimento sul presupposto che il lavoratore, essendo stato nel frattempo stabilizzato dall’ente, avesse già conseguito il ‘bene della vita’ principale, ovvero un contratto a tempo indeterminato. Inoltre, riteneva inammissibile la domanda sui contributi poiché non era stato convenuto in giudizio l’ente previdenziale. Il lavoratore ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Tutela Risarcitoria nel Pubblico Impiego e il Ruolo della Stabilizzazione

Il primo motivo di ricorso si concentrava sulla richiesta di risarcimento del danno. La Corte di Cassazione, nel respingere questa doglianza, ha ribadito un orientamento consolidato. Nel pubblico impiego, a differenza del settore privato, l’abuso di contratti a termine non può portare alla conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato, a causa del principio costituzionale dell’accesso tramite concorso pubblico.

La tutela per il lavoratore è quindi essenzialmente risarcitoria. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, l’effettiva stabilizzazione del lavoratore da parte della stessa amministrazione costituisce una misura ‘equivalente’, idonea a sanzionare l’abuso. Ottenendo il posto fisso, il lavoratore consegue il medesimo risultato a cui mirava, rendendo non più dovuta l’indennità risarcitoria standard prevista dalla legge (quella tra 2,5 e 12 mensilità). Ciò non esclude in assoluto la possibilità di richiedere il risarcimento per danni ulteriori, ma sposta l’onere della prova interamente sul lavoratore, che deve allegare e dimostrare specificamente il pregiudizio subito, diverso dalla mera ‘perdita del posto di lavoro’.

Il Diritto alla Regolarizzazione Contributiva

Il secondo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava il diritto alla regolarizzazione della posizione contributiva. La Cassazione ha ritenuto errata la decisione della Corte d’Appello che richiedeva la presenza in giudizio dell’ente previdenziale.

I giudici hanno chiarito che la domanda del lavoratore non era di condannare il datore di lavoro a versare i contributi, ma di accertare il suo diritto alla regolarità della posizione assicurativa e, di conseguenza, di condannare l’ente datore di lavoro a porre in essere tutti gli adempimenti necessari. Questa è una pretesa che sorge direttamente dal rapporto di lavoro e che può essere fatta valere nei soli confronti del datore di lavoro. Sarà poi quest’ultimo a doversi attivare presso l’ente previdenziale per sanare l’omissione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su principi giuridici ben definiti. Per quanto riguarda il risarcimento del danno, ha dato continuità all’orientamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 5072/2016), secondo cui la stabilizzazione, pur non essendo una conversione del rapporto, agisce come una forma di risarcimento in forma specifica, soddisfacendo l’interesse primario del lavoratore alla stabilità occupazionale. Rigettare la domanda risarcitoria si giustifica perché il ‘danno da perdita di chance’ di un’occupazione stabile è stato, di fatto, sanato. La Corte territoriale ha correttamente applicato questo principio, escludendo il risarcimento ex art. 36 D.Lgs. 165/2001 a fronte della sopravvenuta stabilizzazione e del mancato assolvimento dell’onere di provare danni ulteriori e diversi.

Relativamente alla questione contributiva, la motivazione dell’accoglimento risiede nella natura dell’azione proposta. L’azione di mero accertamento del diritto alla regolarità contributiva e la conseguente condanna del datore di lavoro a un ‘facere’ (cioè a compiere gli adempimenti necessari) rientrano pienamente nella controversia tra lavoratore e datore di lavoro. L’omissione contributiva genera un danno al lavoratore, e quest’ultimo ha il diritto di agire contro il soggetto inadempiente (il datore) per ottenere la rimozione della condotta illecita, senza la necessità di coinvolgere terzi, come l’ente previdenziale, nel giudizio.

Le conclusioni

La sentenza offre due importanti conclusioni operative. In primo luogo, un lavoratore del settore pubblico che subisce un abuso di contratti precari e viene successivamente stabilizzato non ha automaticamente diritto all’indennità risarcitoria forfettizzata. La stabilizzazione è considerata il rimedio principale. Per ottenere un risarcimento aggiuntivo, dovrà provare un danno specifico e ulteriore. In secondo luogo, il diritto alla regolarizzazione della posizione contributiva è un diritto che può e deve essere fatto valere direttamente nei confronti del datore di lavoro pubblico, il quale è l’unico obbligato a provvedere. Non è necessario citare in giudizio anche l’INPS o altro ente previdenziale per ottenere una pronuncia che accerti tale diritto e condanni il datore agli adempimenti conseguenti.

Un lavoratore pubblico, il cui rapporto precario è stato dichiarato illegittimo, ha diritto a un risarcimento del danno se viene poi stabilizzato?
No, di regola non ha diritto all’indennità risarcitoria standard. La Corte di Cassazione ritiene che l’effettiva stabilizzazione costituisca una misura sanzionatoria equivalente che soddisfa l’interesse primario del lavoratore, assorbendo la pretesa risarcitoria per la perdita del posto di lavoro.

La stabilizzazione esclude qualsiasi tipo di risarcimento?
No, non del tutto. La stabilizzazione fa venir meno l’agevolazione probatoria per il risarcimento standard, ma non preclude al lavoratore la possibilità di agire in giudizio per chiedere il risarcimento di danni ‘ulteriori e diversi’ rispetto a quelli ‘risarciti’ dalla stabilizzazione. In questo caso, però, l’onere di allegare e provare concretamente tali danni grava interamente sul lavoratore.

Per ottenere la regolarizzazione dei contributi omessi dal datore di lavoro pubblico, è necessario citare in giudizio anche l’ente previdenziale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’azione con cui il lavoratore chiede di accertare il suo diritto alla regolarità della posizione contributiva e di condannare il datore di lavoro agli adempimenti necessari può essere proposta esclusivamente nei confronti del datore di lavoro. Non è richiesto il litisconsorzio necessario con l’ente previdenziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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