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Tutela nome consorzio: no a uso esclusivo del nome

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un consorzio vinicolo che si opponeva alla registrazione di un marchio simile da parte di un altro consorzio. La decisione si fonda sulla mancata prova, da parte del ricorrente, del carattere non economico della propria attività, requisito essenziale per ottenere la tutela del nome di un consorzio ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. La Corte ha sottolineato che l’assenza di un fine di lucro non equivale all’assenza di un’attività economica.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

La tutela del nome di un consorzio non è automatica: la Cassazione fa chiarezza

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 13746/2024, offre spunti fondamentali sulla tutela del nome di un consorzio e sui limiti all’uso esclusivo di un segno che coincide con una denominazione geografica. La Corte ha stabilito che un consorzio, per poter beneficiare della protezione rafforzata prevista per gli enti non profit e impedire a terzi l’uso del proprio nome, deve dimostrare concretamente di non svolgere attività economica, un onere probatorio che va ben oltre la semplice attestazione di assenza di scopo di lucro.

I fatti di causa

La vicenda legale ha origine dall’opposizione presentata da un noto Consorzio vinicolo (Consorzio A) contro la domanda di registrazione di un marchio, contenente il medesimo nome, da parte di un altro consorzio operante in un’area storica della stessa denominazione (Consorzio B). Il Consorzio A, titolare di un marchio anteriore per la categoria ‘vini’, basava la sua opposizione sulla notorietà del proprio segno e sulla tutela accordata dalla legge ai nomi degli enti.

Inizialmente, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) aveva parzialmente accolto l’opposizione. Tuttavia, la Commissione dei Ricorsi ribaltava la decisione, ritenendo che il Consorzio A non avesse diritto alla specifica protezione richiesta perché, pur essendo un consorzio, svolgeva essenzialmente attività di natura economica. Contro questa decisione, il Consorzio A ha proposto ricorso in Cassazione.

La distinzione tra attività economica e fine di lucro nella tutela del nome di un consorzio

Il primo motivo di ricorso si basava sulla presunta violazione dell’art. 8, comma 3, del Codice della Proprietà Industriale, che protegge i nomi di enti e associazioni che non hanno finalità economiche. Il ricorrente sosteneva che la sua natura di consorzio di tutela, privo di scopo di lucro, fosse sufficiente per ottenere tale protezione.

La Cassazione ha respinto questa argomentazione, giudicandola inammissibile. I giudici hanno chiarito un punto cruciale: la legge non distingue tra ‘fine di lucro’ e ‘finalità economica’. Il ‘fine di lucro’ riguarda la destinazione finale degli utili, mentre il requisito per la tutela ex art. 8 è l’assenza di un’attività imprenditoriale gestita con ‘metodo economico’. Un’attività è economica quando è organizzata per coprire i costi con i ricavi, a prescindere dal fatto che generi un profitto da distribuire.

La Corte ha specificato che il ricorrente non aveva fornito alcuna prova dell’assenza di economicità nella gestione della propria attività, limitandosi a invocare la propria forma consortile. Questo non è sufficiente a superare la presunzione che anche un consorzio di tutela operi secondo un metodo economico per raggiungere i propri scopi di valorizzazione e promozione.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una pluralità di ragioni (le cosiddette rationes decidendi). La principale è che il ricorso non ha efficacemente contestato il nucleo della decisione della Commissione dei Ricorsi, ovvero la mancata prova del carattere non economico dell’attività del Consorzio A. Poiché questa ragione era di per sé sufficiente a sostenere la decisione impugnata, l’esame degli altri motivi di ricorso è stato assorbito.

La Corte ha ribadito che la protezione speciale riguarda la denominazione dell’ente nella sua interezza (es. ‘Consorzio del Vino Famoso’) e non una singola parte di essa (‘Vino Famoso’), specialmente quando questa coincide con un nome geografico, insuscettibile di uso esclusivo. L’incapacità del ricorrente di smontare questa prima e fondamentale ragione ha reso l’intero ricorso inammissibile.

Conclusioni

Questa ordinanza è un importante monito per consorzi, associazioni e altri enti. La sola assenza di uno scopo di lucro, tipica di queste organizzazioni, non garantisce automaticamente la protezione del proprio nome contro l’uso da parte di terzi. Per invocare la tutela prevista dal Codice della Proprietà Industriale per gli enti non economici, è necessario fornire una prova rigorosa che la propria attività non sia gestita con un metodo imprenditoriale. In mancanza di tale prova, il nome dell’ente, soprattutto se contiene indicazioni geografiche, non potrà essere opposto come un diritto esclusivo assoluto, aprendo alla coesistenza di marchi e denominazioni simili.

Un consorzio può impedire ad altri di usare parte del proprio nome come marchio?
No, non necessariamente. La Corte ha chiarito che la tutela riguarda la denominazione dell’ente nella sua interezza e non una sua singola parte. Inoltre, se il nome coincide con un’indicazione geografica, non è suscettibile di uso esclusivo.

Qual è la differenza tra ‘fine di lucro’ e ‘attività economica’ per la tutela del nome di un ente?
Il ‘fine di lucro’ attiene alla destinazione degli utili, mentre l’ ‘attività economica’ si riferisce alla gestione dell’attività secondo criteri di economicità (copertura dei costi con i ricavi), a prescindere dalla generazione di profitti. Per ottenere la tutela speciale prevista dall’art. 8 del Codice della Proprietà Industriale, l’ente deve dimostrare di non svolgere un’attività economica in questo secondo senso.

Cosa succede se una sentenza d’appello si basa su più ragioni e il ricorso in Cassazione ne contesta solo una in modo inefficace?
Se una delle ragioni è sufficiente da sola a giustificare la decisione, il mancato accoglimento del motivo di ricorso che la contesta rende l’intero ricorso inammissibile. Le altre censure vengono assorbite, in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe comunque portare alla cassazione della pronuncia impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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