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Tutela legale dirigente: sì all’indennità per rinvio a giudizio

La Cassazione conferma il diritto di un dirigente all’indennità sostitutiva del preavviso se si dimette dopo un rinvio a giudizio per fatti legati al suo ruolo. La tutela legale del dirigente prevale se l’azienda, con il suo comportamento (es. rimborso spese legali), ha già riconosciuto la connessione tra i fatti e le funzioni svolte.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tutela legale dirigente: quando spetta l’indennità dopo un rinvio a giudizio?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un tema cruciale nel diritto del lavoro: la tutela legale del dirigente in caso di procedimento penale per fatti connessi all’esercizio delle sue funzioni. La pronuncia chiarisce che il comportamento dell’azienda, come il rimborso anche parziale delle spese legali, può costituire un’ammissione tacita del nesso tra i reati contestati e l’attività lavorativa, fondando il diritto del manager a specifiche indennità in caso di dimissioni.

I fatti di causa

Un dirigente di una società per azioni si dimetteva a seguito del suo rinvio a giudizio per reati asseritamente commessi nell’ambito di un cantiere gestito per conto dell’azienda. Sulla base di quanto previsto dall’art. 15 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per i dirigenti di aziende industriali, egli richiedeva alla società il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e di un’ulteriore indennità supplementare.

Mentre il Tribunale di primo grado respingeva la domanda, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, condannando la società al pagamento di oltre 400.000 euro. Secondo i giudici di secondo grado, la connessione tra i fatti contestati in sede penale e le funzioni dirigenziali era evidente e, soprattutto, era stata implicitamente riconosciuta dalla stessa azienda.

L’azienda, non accettando la condanna, proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo un’errata applicazione delle norme sull’onere della prova e un’errata interpretazione del contratto collettivo.

La decisione della Corte e la tutela legale dirigente

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando integralmente la sentenza d’appello. I giudici hanno stabilito che la valutazione della Corte territoriale era corretta e ben motivata, basandosi su un principio fondamentale: l’interpretazione del comportamento delle parti.

Il comportamento dell’azienda come ammissione tacita

Il punto focale della decisione risiede nell’analisi del comportamento tenuto dalla società datrice di lavoro. Era emerso, infatti, che l’azienda non solo aveva ammesso in una comunicazione scritta l’applicabilità dell’art. 15 del CCNL al caso del dirigente, ma aveva anche provveduto a rimborsargli, almeno in parte, le spese legali sostenute per il procedimento penale.

Secondo la Cassazione, tale condotta costituisce un esempio di facta concludentia. In altre parole, rimborsando le spese legali in virtù della norma contrattuale che prevede la tutela legale del dirigente, la società ha implicitamente e inequivocabilmente riconosciuto che i fatti per cui il manager era stato rinviato a giudizio erano direttamente connessi all’esercizio delle sue funzioni. Sostenere il contrario, come tentato dall’azienda nel ricorso, svuoterebbe di significato la protezione offerta dal contratto collettivo.

L’onere della prova e l’interpretazione del contratto collettivo

La Corte ha inoltre respinto le censure relative alla violazione dell’onere della prova. Non si è trattato di un’inversione dell’onere, ma di una corretta valutazione delle prove disponibili, tra cui, appunto, il comportamento concludente della società. Era l’azienda, a quel punto, a dover dimostrare la presenza di dolo o colpa grave del dirigente commessi a danno della società, unica condizione che, secondo il CCNL, avrebbe potuto escludere le tutele. Tuttavia, la società si era limitata a invocare un generico ‘bilanciamento di interessi’, argomento ritenuto insufficiente.

le motivazioni
La Suprema Corte ha basato la sua decisione sul principio che l’interpretazione di un contratto non deve limitarsi al senso letterale delle parole, ma deve tenere conto del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto stesso (art. 1362 c.c.). Il rimborso delle spese legali è stato considerato un atto che risolveva ‘a monte’ ogni dubbio interpretativo sulla connessione tra i fatti e le mansioni.

La Corte ha ritenuto che la valutazione operata dai giudici di merito fosse logica e coerente, e come tale non sindacabile in sede di legittimità. L’azienda, avendo riconosciuto con i fatti la riconducibilità delle azioni del dirigente al suo ruolo, non poteva successivamente esimersi dal pagamento delle indennità previste dalla medesima clausola contrattuale invocata per il rimborso spese.

le conclusioni
Questa ordinanza rafforza la tutela legale del dirigente prevista dai contratti collettivi. Le aziende devono essere consapevoli che le loro azioni possono avere conseguenze giuridiche significative. Un comportamento che appare come un riconoscimento dei diritti del lavoratore, come il pagamento delle spese legali, può precludere la possibilità di contestare in seguito la natura lavorativa dei fatti contestati.

Per i dirigenti, la sentenza conferma che la protezione contrattuale è effettiva e può essere fatta valere anche sulla base del comportamento tenuto dal datore di lavoro. La decisione sottolinea l’importanza di una gestione coerente e attenta delle controversie legali che coinvolgono i propri manager, per evitare ammissioni implicite che potrebbero rivelarsi vincolanti in un futuro contenzioso.

Quando un dirigente ha diritto a specifiche indennità se si dimette a seguito di un rinvio a giudizio?
Un dirigente ha diritto alle indennità previste dal CCNL (come quella sostitutiva del preavviso) quando i fatti per cui è stato rinviato a giudizio sono direttamente connessi con l’esercizio delle sue funzioni lavorative.

Il comportamento dell’azienda può essere considerato una prova a favore del dirigente?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il rimborso, anche parziale, delle spese legali da parte dell’azienda, in applicazione della clausola contrattuale sulla tutela legale, costituisce un comportamento concludente (facta concludentia) che dimostra il riconoscimento da parte dell’azienda stessa del nesso tra i fatti contestati e le mansioni del dirigente.

Cosa deve dimostrare l’azienda per negare le indennità al dirigente?
Per escludere le tutele previste dal contratto collettivo, l’azienda deve dimostrare la sussistenza di dolo o colpa grave del dirigente, ovvero che il suo comportamento è stato attuato non a favore, ma in danno del datore di lavoro. Un generico riferimento a un ‘bilanciamento di interessi’ non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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