Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17021 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17021 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16187-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2939/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/12/2020 R.G.N. 2677/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
1. la Corte di appello di Roma ha riformato la sentenza che aveva accolto la domanda proposta da NOME COGNOME
Oggetto
TFS – Direttore amministrativo dell’Agenzia Regionale per i Trapianti del Lazio
R.G.N. 16187/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 20/05/2025
CC
(dirigente della USL Tivoli fino al dì del collocamento in quiescenza in data 30/6/2012) diretta ad ottenere la riliquidazione del trattamento di fine servizio computato sulla base delle retribuzioni percepite durante l’incarico di Direttore amministrativo dell’Agenzia Regionale per i Trapianti e l e patologie connesse;
il ricorrente, ex dirigente della USL RM/G di Tivoli, aveva esposto di avere assunto l’incarico di Direttore amministrativo dell’Agenzia Regionale per i Trapianti in data 11/10/2005 e fino al 30/6/2012, e che, per tutta la durata dell’incarico dirigenziale, era stato posto in aspettativa senza assegni ex art. 3 bis d.lgs. n. 502/1992; tale aspettativa era durata fino alla data del pensionamento, avvenuto il 30/6/2012; alla cessazione del rapporto di impiego, l’INPS gli aveva liquidato il trattamento di fine servizio sulla base dell’ultima retribuzione percepita al momento del collocamento in aspettativa;
NOME COGNOME aveva quindi agito per il ricalcolo del trattamento di fine servizio;
la Corte di appello, nell’accogliere l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Tivoli, ha argomentato che la pretesa a un maggiore importo a titolo di trattamento di fine servizio non era fondata perché le disposizioni del d.lgs. n. 502/1992, come modificate dal d.lgs. n. 229/1999, trovavano applicazione, quale disciplina speciale, solo per i direttori generali, amministrativi e sanitari delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere; ed ha aggiunto che non v’era co munque prova del versamento contributivo alla gestione ex Inpdap da parte dell’Agenzia Regionale del Lazio per i Trapianti;
per la cassazione di tale sentenza il COGNOME propone ricorso affidato a due motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, 3 bis comma 11 e 4 del d.lgs. n. 502 del 1992 nonché degli artt. 4 e 11 della legge n. 152 del 1968; si sostiene l’applicabilità al direttore dell’Agenzia regionale per i Trapianti del comma 11 dell’art. 3 bis , cit., e la mancata considerazione da parte del giudice d’appello del disposto dell’art. 11 co. 4 della legge reg. Lazio 3.11.2003 n. 37 secondo cui ‘Il personale dell’agenzia gode dello stesso stato giuridico e trattamento economico del personale regionale’;
il motivo è infondato;
2.1 la norma specifica, che viene qui invocata, è rappresentata dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, aggiunto dal d.lgs. 16 giugno 1999, n. 229, che al comma 11 dell’art. 3 bis così dispone:
«La nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto. L’aspettativa è concessa entro sessanta giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali comprensivi delle quote a carico del dipendente, calcolati sul trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito nei limiti dei massimali di cui al d.lgs. 24 aprile 1997, n. 181, art. 3, comma 7, e a richiedere il rimborso di tutto l’onere da esse complessivamente sostenuto all’unità sanitaria locale o all’azienda ospedaliera interessata, la quale procede al recupero della quota a carico dell’interessato»;
questa Corte ha avuto modo di affermare, con la sentenza n. 11925 del 2008, che il servizio prestato da un dipendente
di un ente locale a seguito di nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario, è utile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, ai sensi dell’art. 3 bis d.lgs. n. 502 del 1992, come aggiunto dall’art. 3 del d.lgs. n. 229 del 1999, e per esso le amministrazioni di appartenenza effettuano il versamento dei contributi previdenziali commisurati al trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito; ne consegue che la misura dell’indennità premio di fine servizio, dovuta al dipendente, si determina, in tal caso, in relazione al trattamento retributivo di cui all’art. 4 della legge n. 152 del 1968, fruito dal dipendente in relazione all’incarico, nei limiti del massimale di cui all’art. 3, comma 7, del d.lgs. 181 del 1997;
è stato osservato che l’espressione “trattamento di quiescenza e di previdenza” è tale da comprendere la totalità dei diritti spettanti al lavoratore dipendente in derivazione dalla cessazione del rapporto di lavoro; d’altra parte, la natura previdenziale dell’indennità di fine di servizio è affermata dalle Sezioni unite della Corte (vedi sentenza 13 maggio 2005, n. 11329; Cass. Sez. L, sentenza 15 novembre 2018, n. 29408);
2.2 senonché, il ricorrente, ex dirigente dell’Azienda USL RM/G di Tivoli, nominato direttore amministrativo dell’Agenzia Regionale del Lazio per i trapianti e le patologie connesse, ha chiesto nella specie di poter usufruire del trattamento previdenziale previsto dall’art. 3 bis comma 11 del d.lgs. n. 502/1992, con calcolo dell’IPS nei medesimi termini stabiliti per il direttore generale, amministrativo e sanitario delle unità sanitarie locali;
la Corte territoriale, all’esito di un corretto ed approfondito esame della normativa, ha escluso l’applicabilità di detta norma alla figura del direttore amministrativo dell’Agenzia Regionale del Lazio per i Trapianti e le patologie connesse, trattandosi di disciplina speciale riferita ai soli direttori
generali, amministrativi e sanitari delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere del SSN e non anche ai dipendenti delle Agenzie Regionali;
2.3 tali conclusioni vanno accolte e confermate in questa sede;
non vale richiamare, come fa il ricorrente, l’art. 11 comma 4 della legge reg. Lazio n. 37 del 3.11.2003, laddove dispone che ‘Il personale dell’agenzia gode dello stesso stato giuridico e trattamento economico del personale regionale’;
a parte la novità della questione di cui non si fa alcun cenno nella sentenza impugnata, la locuzione adoperata dal legislatore regionale del 2003 non è di per sé idonea a ricomprendere anche il ‘trattamento di quiescenza e previdenza’ ed a consentirne in tal guisa l’assimilazione a quello previsto dal comma 11 dell’art. 3 bis per i direttori generali delle UU.SS.LL.;
e, peraltro, come evidenziato dall’INPS, questa Corte ha altresì precisato (Cass. n. 26841/2020) che la delega alle regioni prevista dall’art. 3, comma 1 quater d.lgs. n 502/1992 affinché determinassero “forme e modalità per la direzione e il coordinamento delle aree socio sanitarie”, non comporta anche il potere di estendere la disciplina previdenziale prevista dall’art. 3 bis, comma 11, d.lgs. 502/1992 a casi non previsti e di stabilire il regime previdenziale di dette figure di istituzione regionale, trattandosi di materia, quella previdenziale, attribuita in via esclusiva in base all’art. 117 Cost. alla potestà legislativa statale;
in definitiva, il regime previdenziale riconosciuto alle figure dirigenziali di cui all’art. 3 bis non rientra tra le materie estensibili ad altre figure in assenza di specifica normativa in tal senso (Cass. n. 26841/2020 cit.);
tale argomento deve guidare anche nel condurre l’esegesi della disposizione regionale, sicché le osservazioni di parte ricorrente vanno nel complesso disattese;
il secondo motivo, con cui si denuncia (art. 360 n. 5 c.p.c.) l’omesso esame di fatto decisivo costituito dall’allegato 2 (nota AUSL Roma/G) al ricorso di primo grado, dal quale si evinceva (a parere del ricorrente) che l’Agenzia regionale aveva provveduto a versare direttamente all’INPDAP la relativa contribuzione previdenziale, diventa conseguentemente inammissibile;
invero, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato l’orientamento secondo cui qualora la decisione impugnata si fondi (come nella specie) su una pluralità di ragioni, ciascuna idonea a sorreggere il decisum , i motivi di ricorso devono essere specificamente riferibili, a pena di inammissibilità, a ciascuna di dette ragioni (cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020; Cass. n. 10815/2019) ed inoltre l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata (cfr. Cass. n. 15399/2018);
l’argomento del mancato versamento dei contributi è stato all’evidenza introdotto nella motivazione della sentenza impugnata come seconda ratio decidendi, donde, col consolidarsi della prima, l’inammissibilità della censura in parola;
4. in conclusione, il ricorso è rigettato; spese di legittimità secondo soccombenza.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in €. 5.000 ,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio della Corte